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Dopo l’entusiasmante tappa del 24 settembre al Circolo degli Artisti, Scott Matthew è tornato a Roma per uno show gratuito, quasi segreto, promosso per lo più dal passaparola dei suoi fans che in Italia stanno diventando sempre più numerosi.
Australiano d’origine, il “quiet noise maker” (così come ama definirsi) comincia la sua avventura solista a New York e, dopo una breve parentesi con gli Elva Snow assieme all’ex batterista di Morrissey Spencer Cobrin, conquista una certa notorietà grazie alla colonna sonora del film culto del regista John Cameron “Shortbus” del 2006, accolto con enorme entusiasmo da tutta la critica internazionale. Da allora ha pubblicato due dischi intrisi di poesia e di delicate malinconie e girato il mondo con la sua voce vellutata e la sua insolita barba. Non è una meteora di passaggio ma bensì un songwriter destinato a lasciare il segno.
Nel più puro spirito carbonaro, lo show non poteva che cominciare intorno alla mezzanotte dove circa un centinaio di fans avevano assiepato, con riverente compostezza, la piccola ed accogliente sala-bomboniera del Teatro Alba. Ci si aspetta che esca Lui da un momento all’altro ed, invece, le sorprese sembrano proprio non finire mai quando, un po’ disorientati, vediamo entrare una misteriosa creatura efebica e carismatica dal nome di Estasy (ex Montecristo) che con tanto di maschera e parrucca ci apre una porticina immaginaria e ci fa entrare nel suo mondo sospeso, onirico e fiabesco fatto di streghe, folletti, loop elettronici, Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire su cui vibra tenue il suo canto fragilissimo ed estatico. I quattro brani presentati sono ricchi di geniali intuizioni e rivelano tutta l’originalità e la potenzialità di questa giovane promessa.
Scott Matthew salirà sul palco venti minuti più tardi, camicia jeans avvolta da una delle sue coloratissime tuniche stile hippy postmoderno, per donarci un imperdibile set unplugged di circa quaranta minuti. Solamente voce e chitarra (e ukulele) senza alcun supporto di amplificatore e microfono. Questa è’ stata l’ennesima occasione per tuffarci nelle note del suo folk delicato e struggente e per ascoltare le canzoni tratte dall’ultimo bellissimo album "There Is An Ocean That Divides...” uscito in Italia su Sleeping Star/Self a fine maggio. La sua musica è pura, intima, fragile e crepuscolare. Le melodie e liriche delle sue canzoni richiamano alla mente paragoni illustri senza, peraltro, sfigurare: da Antony a Bonnie "Prince" Billy, da Nick Drake a Jeff Buckley, dall’Elvis Costello più melanconico al David Bowie pre glam. Nonostante un’introversa personalità il parnassiano di Sidney, forte di una solida esperienza live, è riuscito a stabilire, fin da subito, una relazione intima e diretta con il pubblico. I brani proposti sono brevi, piccoli cammei resi unici dalla presenza scenica, dal pathos, dagli arrangiamenti scarni e, soprattutto, da una voce straordinaria che ha letteralmente rapito e commosso le anime dei presenti che alternavano un religioso silenzio a numerosi arrestati di affetto. Si comincia con “Little Bird”, brano tratto dal suo disco di esordio, così romantica ed onirica al tempo stesso, seguita da “White Horses” e “Community”“In the End” e quindi con il dolce folk pop di “Upside Down”. Scotty ci regala un brano sulla speranza “Buried Alive” per poi scomodare artisti del calibro dei Radiohead con l’intima e soffusa esecuzione di “No Surprises” per voce e ukulele. Per concludere, l’artista australiano ci dedica un’ennesima perla: “You Belong To Me”, un traditional Americano degli Anni Venti: “My honey I know with the dawn / that you will be gone / but tonight you belong to me / just to little ol’ me”. L’emozione trattenuta dal silenzio si libera, per l’ultima volta, in un caloroso applauso.
SETLIST:
Little Bird White Horse In The End Upside Down Community Buried Alive No Surprises
BIS Silent Night Tonight You Belong To Me
Articolo del
09/11/2009 -
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