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Immaginate Roma, per una sera, libera dal peso del suo provincialismo, e che, per un misterioso motivo, l'intera città venga spostata di molti chilometri verso ovest, facendola combaciare con le coordinate geografiche di New York. Aggiungete un uomo in camicia rossa, l'ultimo grande esponente dell'hard bop, sul palco dell'Auditorium, impegnato a produrre fluide note per incantare il pubblico con il suo sax, e avrete una vaga idea di cosa è successo stasera nella città capitolina.
Sonny Rollins, accompagnato da Clifton Anderson (trombone), Bob Cranshaw (contrabbasso), Kobie Watkins (batteria), Victor Y. See Yuen (percussioni) e Bobby Broom (chitarra), guadagna il palco con l'andatura precaria, imposta dagli anni che gravano sulle sue gambe. Nonostante ciò l'uomo appare ancora in ottima forma, lucido, e capace di entusiasmare il pubblico con, inaspettate, improvvisazioni. Il "colosso" conserva intatta una forza invidiabile, le note delicate, a volte irruente, percorrono l'aria andandosi a piantare, come un coltello di precisione lanciato da una mano esperta, nelle orecchie dei presenti. Avere la grinta e la passione di un ventenne sono due caratteristiche fondamentali di questo performer dal curriculum impressionante. La sua musica ha attraversato mezzo secolo arrivando a noi ancora splendente. Il concerto parte sulle note di uno standard jazz sul quale Rollins applica i suoi saliscendi armonici. Il sassofonista è qui per aggredire la musica, i suoi interventi non si limiteranno a inserti fugaci lasciando che gli altri facciano il grosso del lavoro, la sua presenza è continua, le dita scorrono veloci sui tasti dorati del sax. Poco dopo si passa da blues lenti, dove ognuno degli strumentisti rilascia il meglio di sè, a ballate ricche di note multicolori. Nella Sala Santa Cecilia, vicino a Sonny, danzano gli spettri di Miles, Charlie, Theolonius e John facendo rivivere al pubblico i fasti di un'epoca irripetibile. Questa magia, ricreata da questo alchimista del jazz, ha permeato la nostra anima annullando la cognizione del tempo e dello spazio. i rimanenti membri del sestetto si inseriscono fra un intervento e l'altro del loro mentore mentre un capitolo a parte merita Kobie Watkins, alle pelli, capace di interagire con Rollins in un incontro ravvicinato del quinto tipo. Ritmiche sincopate, controtempi, stop and go brucianti sono il punto di forza della sezione ritmica della band. Sonny gioca con le note esaltando i refrain"Don't Stop The Carnival", dalla durata mastodontica, sfruttando le abili e potenti bordate del batterista, impegnato in un calypso da urlo, dentro cui inserire i suoi velocissimi soli.
Nessun bis concesso, non serve neanche sottolinearlo. Tutto è detto in un distillato di storia ed emozioni brucianti, filtrato dalla sapiente esperienza e capienza polmonare di Rollins che, come la nascita di una supernova, sprigiona energia ad alto potere distruttivo. In occasione della quarta serata del Roma Jazz Festival, le quasi due ore di concerto (ci) fanno volare alto, la musica è interrotta, raramente, dalle parole e affiancata, spesso, dagli applausi insistenti di un pubblico rapito dall'emozionante esibizione.
Settantanove anni sulla pelle, segnati da grande musica, da problemi con le droghe e dalla morte della moglie, non sono bastati a soffocare la passione bruciante per il sax. Rollins ha ancora qualcosa da dire e l'amore per il jazz è un propellente ad alto potenziale energetico che lo incalza a continuare ad imparare. La voglia di scoprire nuovi territori non si è esaurita con il tempo. La sua etichetta pubblicherà inediti registrati dal vivo negli ultimi trent'anni, seguiti dal prossimo album, che registrerà in trio, la cui uscita è prevista per il suo compleanno nel 2010, Stay tuned!! Un mercoledì da leoni!!
Articolo del
15/11/2009 -
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