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L’ultima volta che li avevamo visti dal vivo era nel 1982, un mucchio di anni fa, si consumavano ancora i riti del punk, anche se quel periodo d’oro, così fertile e vivace, era finito da tempo. Si cercavano soluzioni nuove, che fossero però sempre in grado di contenere la rabbia, la disillusione e l’ironia del ’77. Loro erano originari di Dusseldorf, Germania Ovest, ma avevano una propensione innata per i suoni che venivano dagli U.S.A. Si chiamavano Gabriel "Gabi" Delgado-López, vocalist di grande personalità, e Robert Görl, perfido batterista, molto accanito. Nel 1978 avevano formato un gruppo, davvero innovativo e sperimentale per quell’epoca, i D.A.F., o Deutsch-Amerikanische Freundschaft ("Amicizia Tedesco-Americana"), un concentrato di punk esplosivo e di elettronica frenetica ed inquietante, che però a tratti sapeva anche diventare godibile. I sintetizzatori diventavano padroni della scena, producevano una quantità di suoni da lasciare senza fiato, sui quali bene si innestava la vocalità al vetriolo di Delgado-Lopez. In breve tempo i D.A.F. diventarono il gruppo di punta della new wave tedesca , inventori della Electronic Body Music, un genere musicale che sta alle radici dell’odierno electro-clash di Peaches e di La Roux. Raggiunsero il successo internazionale con la pubblicazione di “Alles Ist Gut” nel 1981. In seguito la formazione si sciolse per poi tornare insieme nel 2003 e ricominciare daccapo, senza però modificare la formula che li aveva resi famosi.
E così questa sera al BlackOut ci troviamo in presenza di un godibilissimo deja vu che - grazie alla riproposta di brani come “Ich Will”, “Golden Spielzeug“, “Sex Unter Wasser“ e “Liebe Auf Den Ersten Blick“ - ci permette di godere pubblicamente in una sorta di danza liberatoria. E’ un techno-pop minimale infarcito dell’energia del punk originario, è una sorta di modern dance dissacratoria e ribelle, ben evidenziata dal singolo “Der Mussolini”, il loro successo più grande, eseguito sia nella prima parte che alla fine della loro esibizione. Le invocazioni a Mussolini e a Hitler avevano suscitato scandalo all’epoca, ma in realtà le tematiche affrontate nelle liriche dei D.A.F. sono al di fuori di ogni logica politica, tendono soltanto a riaffermare il nichilismo di un gruppo che non crede a niente e quindi può permettersi di giocare su tutto. Splendide ed inquietanti “Der Räuber Und Der Prinz“, “Sato Sato”, da brividi poi “Ich Und Die Wirklichkeit“ all’interno di un concerto che procede senza pause lungo il sentiero della dissacrazione e dell’annientamento, malgrado le bizze di un microfono che funziona a tratti e che fa arrabbiare non poco il vocalist dei D.A.F.
Una serata ricca di good vibes e di beat elettronici, che ha riproposto qui a Roma, lungo via Casilina gli umori e le atmosfere di un club berlinese. Alles ist gut! Yeah!
Articolo del
24/11/2009 -
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