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A meno di una settimana dal ritorno del vecchio leone Sonny Rollins, esibitosi alla soglia degli ottant’anni e dimostrando che si può ancora invecchiare bene, alla Casa del Jazz ritroviamo un artista legato alla vita del vecchio sassofonista. Stiamo parlando di un altro gigante assoluto del jazz Al Foster, l’uomo seduto dietro le pelli nei dischi di Miles Davis, Wayne Shorter, McCoy Tyner e molti altri.
Accompagnato per l’occasione da tre elementi, rodati, Eli Degibri sax tenore, Danny Grissett pianoforte, Doug Weiss contrabbasso, quest’ultimo esponente del jazz non ha perso né la forza né la voglia di osare. Ma andiamo per ordine. La band sale sul palco poco dopo le nove e, mentre i musicisti si sistemano, eccolo spuntare, piccolo e sorridente, con la maglietta di Miles Davis “The Birth Of Cool”. Appena accomodato dietro la batteria, e quasi totalmente coperto dai ride, si parte sulle note di “So What”, un classico che non ha bisogno di presentazioni, letteralmente aggredito dal portentoso sassofonista che, in più di un’occasione, ruba letteralmente la scena al resto della band, Foster compreso. La sua capacità di spingere sugli ottoni incanta la piccola sala della Casa del Jazz, strappando moltissimi applausi. Il concerto diventa un vero e proprio duello fra questi due mostri: Degibri sembra non “rifiatare” mai, i suoi soli sono costruiti su crescendo che appena raggiunto il “climax” esplodono in mille colori, costringendo il pubblico a spellarsi le mani. Quando è il funambolico batterista a prendere le redini in mano, dettando tempi dispari a velocità metronomi quasi insostenibili, è il pubblico a rimanere con il fiato sospeso. Le accelerazioni sono violente, i cambi ritmici continui, i controtempi quasi una necessità. Non esiste punto della batteria che non venga percosso, Foster cambia impugnatura, passando dall’americana a quella europea, usa la punta delle bacchette e, allo stesso tempo, la coda per dare un suono più potente e compatto. La sua tecnica è spaventosa, eleganza e forza vanno di pari passo. Al blocca il suono impuntando le bacchette sulla pelle, poi lo rilascia impattando su “crash” e “ride”. Per i brani più lenti sceglie le spazzole, poi parte per sfuriate velocissime mentre, incrociando le mani per colpire qualunque cosa gli sia a tiro, il suo solo viene affiancato da rientro dei tre giovani musicisti. Miles lo aveva voluto con sé per il suo groove e la capacità di portarlo avanti all’infinito. Danny, al pianoforte, ha un tocco delicato e tecnico mentre Doug, al contrabbasso, s’impegna più volte in soli energici e fantasiosi, sostenuti dagli ingressi di Foster.
Dopo quasi due ore, il quartetto concede un unico bis dedicato alle “ladies” lasciando i presenti ampiamente soddisfatti. Grande dimostrazione di classe.
Articolo del
25/11/2009 -
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