The Dodos The Dodos live @ Circolo degli Artisti - Roma, 8 dicembre 2009 Roma  8/12/2009 di Maria Francesca Palermo

Mi dispiace deludere le comuni aspettative ma l’indie rock non è morto, il cervello pulsa nel petto e il cuore scervella nel folk. Non è un’impresa facile ma se la West Coast tumultua l’indie efebico, i Dodos si posizionano sotto il muro del nemico con immensa classe.

Arrivano precisi, costanti e "for the first time in Rome", rammenta sul palco del Circolo degli Artisti Meric Long (voce e chitarra). Il sound dei Dodos unisce il modernismo roots-rock ai tratti più postmoderni del folk lo-fi. L’energia celestiale delle chitarre e della voce insistente di Long, il forsennato drumming di Logan Kroeber e Joe Haener innescano nel live romano scintille psichedeliche da un corteggiamento sperimentale che a tratti conduce la memoria al Santo Graal di Ok Computer.
Nonostante l’anima acustica i Dodos invadono la scena con una consistenza decisamente rock, non più di una decina di pezzi che per una buona oretta destano i presenti in bilico tra l’osservanza reverenziale e la goliardia muscolare. Iniziano pacati a colpi di xilofono per rispolverare Visiter (French Kiss, 2008) album grazie al quale si accesero definitivamente i riflettori sulla band di San Francisco. Esemplare l’iniziale “Fools”, compulsivo folk psichedelico notevolmente accelerato rispetto al solito e arginato melodicamente sul finale ("I've been, I've been silent..."). Si innalzano in marcia verso “Paint The Rust” che li pone all’estremo più rumoroso. Raggiungono il meglio con “Joe’s Waltz” e “The Season”. Strumentalmente costanti, deflagrano quasi sempre all’improvviso cambiando velocemente passo e atmosfere. Il mood ovviamente è il medesimo dall’inizio alla fine. Che tradotto significa un suono che dipende principalmente da una sezione ritmica ‘sofferta’ e da percussioni ‘contorsionistiche’ di rullati caotici, rapidi e continui. Subito dopo arriva anche il momento di "Time To Die" (French Kiss, 2009) pubblicato la scorsa estate e prodotto da Phil Ek, non a caso già a lavoro con The Shins e Fleet Floxes. Album da pezzi senz’altro appassionati ma laterali almeno rispetto al gioiellino che fu "Visiter". Da "Time To Die" emergono nel live i dettagli più riusciti. I Dodos diventano ora oggetto di una sorta di modificazione prog-folk, amplificando, notevolmente, i pezzi in aperture più vorticose e bilanciate con le sempre classiche armonie vocali. Salgono di brutto con “Longform” che si mischia all’esplorazione più pacata di “The Strums”. Seppur in territori già abbondantemente scandagliati il lirismo è totalmente raggiunto con “God” e “Small Deaths”. I Dodos diventano capaci di regalare imponenti squarci evocativi attraverso assalti sonici molto fisici che lasciano ‘mentalmente’ stremati. Tra gli applausi del pubblico chiudono in bellezza con "Jodi".

Forse eccessivamente controllati, ma altrettanto raffinati laddove la relativa pesantezza che a tratti si respira fa della dinamica evolutiva del suono la vera differenza. Il frastuono dell’esecuzione è praticamente la loro regola. Questi sono i Dodos capaci di coniare filastrocche imbrattate di soul-rock e dalla misteriosa eleganza country-pop. Autentiche forze della natura, non tradiscono la fiducia riposta in loro e anzi spingono a pretendere parecchio di più.

(Si ringrazia Rachel Pellarini per la gentile concessione della foto dei Dodos in concerto al Circolo degli Artisti)
Articolo del  12/12/2009 -  ©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati