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Prima di questa recensione bisogna fare due premesse: la prima è che Joe Bonamassa è davvero uno degli uomini più brutti visti sulla faccia di questa triste terra, la seconda invece è legata alla mia memoria, ormai completamente andata.
In soldoni, per quanto mi riguarda, Joe ha suonato, per quasi due ore, una lunga jam session attraverso la storia del blues. Oggi non vi parlerò dei titoli dei suoi brani ma della sua capacità tecnica che, di sicuro, non ha tradito le aspettative, né la fama che lo precede. Questo enfant prodige, che a soli 12 anni ha suonato in un tour con Mr. B.B. King, e l’anno scorso alla Royal Albert Hall con Clapton, si presenta all’Auditorium Parco della Musica registrando un quasi sold out. L’evento, svoltosi nella Sala Sinopoli, inizia puntualmente alla 21.00 e vede sul palco un classico quartetto blues, basso, batteria, organo Hammond e tre chitarre Gibson che Joe alterna per ogni brano. Il suo stile è nevrotico e potente, basato sul rifferama tipico di chi ha passato anni sulle tablature dei classici del blues e sui video dei più grandi maestri del genere, il che per certi versi risulta un’arma a doppio taglio che tradisce i contro di questo genere, sfruttato fino al midollo. Ci vorrebbe un mandato di cattura per fermare le sue agili dita che scorrono ora velocissime, ora lente e delicate, sul manico che non ha angoli inaccessibili per questo funambolico chitarrista. Il resto della band segue le accelerazioni repentine e i cenni del leader, ma una menzione speciale va fatta per il batterista che, in alcuni magici momenti, meno didattici, riesce a ritagliarsi degli spazi privati dove lascia esplodere i suoi colpi con precisione chirurgica e possenza. Il suo drumming è massiccio e potente, le variazioni stilistiche efficaci, le sua capacità di variare è fluida. Bonamassa, a sua volta, pesca a piene mani dal suo repertorio e infiammare il pubblico con un’azzeccata scelta di cover, immense, come “Young Man Blues”. Il suo stile sull’elettrica è impeccabile, e anche quando decide, per una breve pausa, di passare alla chitarra acustica i presenti non possono che gioire di fronte alla sua jam che corre dal country-western al fingerpicking spagnoleggiante.
Verso la fine dello show, dal fondo della sala, parte un simpatico: “bravo Giovanni!!” e giù tutti a ridere mentre Bonamassa s’inorgoglisce spronando tutti ad avvicinarsi. Da li in poi l’intero concerto si svolgerà tutti ammassati sotto il palco con Joe incollato al wah-wah, completamente pervaso dal demoniaco spirito hendrixiano. Questo temibile axeman non fa in tempo ad esorcizzare Jimi che un secondo, ma solo per ordine, spettro s’impossessa delle sue dita: il grande Jimmy Page viene omaggiato dalla sanguigna versione di “Dazed And Confused” che la dice lunga sulla duttilità di questo ottimo chitarrista. Il finale è un tripudio di mani che battono, autografi su chitarre sbucate dal nulla e sorrisi a trentadue denti.
Articolo del
22/12/2009 -
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