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È Fernando Corona aka Murcof in persona che ci accoglie all'entrata del Brancaleone, in un orario insolitamente antelucano per il posto, neanche mezzanotte, che il tam tam della rete ci dà il nostro in apertura di serata e non in chiusura di nottata, come sarebbe da aspettarsi. E allora eccolo lì Murcof, che si intrattiene con chi gli si avvicina: sorriso timido, ma aperto e accogliente, sguardo profondo, cappello di lana e giubba a ripararsi dall'umidità della notte; soprattutto grande disponibilità ai saluti e alla chiacchiera.
Mezz'ora dopo inizia il suo set, dinanzi a qualche centinaio di persone, molte delle quali solitamente avvezze a sonorità con maggiori beats rispetto a quelli che presumibilmente ci proporrà il barbuto messicano. È anche un esperimento questa prima serata denominata Brancalimone: come combinare la profondità classica e sinfonica di un nuovo maestro dell'elettronica contemporanea, con le notturne moltitudini fanatiche di suoni digitali e frenetiche danze.
Murcof è seduto dietro al suo laptop (che non sembra nascondere nessuna mela), giacca nera abbottonata, sguardo fisso sullo schermo, mani intente a manipolare mouse, mixer ed effetti. E si inizia subito con ancestrali e ruvide interferenze in crescendo, fino a uno stridio, che è una vibrazione così profonda da colpire anche la cordiera del rullante della batteria montata alle spalle di Murcof, per la performance del gruppo successivo. E poi entrano archi e sinfonie, che non ha più tanto senso definire come digitali e campionati: sono suoni rarefatti, echi a volte celestiali, più spesso apocalittici. Un tappeto di bassi, cavernosi, oscuri, minacciosi si alternano con fraseggi di archi appena accennati. Quindi arrivano anche i primi battiti ritmici, colpi secchi e precisi, che suggeriscono solo movenze frammentate e sghembe. È un minimalismo di classica e beats che Corona tira fuori da quel capolavoro che era Remembranza (2005), accompagnandoci in un susseguirsi di momenti prossimi al silenzio e indizi di opere sinfoniche; sonorità che evocano spazi infiniti nel cosmo, desolati notturni metropolitani e la potenza immane della natura. Tutto questo lo immaginiamo, che non ci sono video ad accompagnare il live (come era invece lisergicamente avvenuto a Dissonanze): gli schermi sono spenti e la solitudine del compositore sul palco si mescola a un brusio di sottofondo che a momenti accompagna i fruscii di base, in altri stride con il nitore di alcune melodie. E Murcof appare adesso un po' spaesato, così la performance finisce dopo neanche un'ora, con un affettuoso e timido inchino alla platea.
Fernando Corona conferma il suo genio già classico alla ricerca di sonorità sempre più lontane da Terrestre, suo side project più elettronico e ritmico di inizi anni 2000, per giungere in quelle lande sonore che a noi paiono evocare le sperimentazioni orchestrali degli SPK di Zamia Lehmanni (1986), l'ascetico silenzio musicale di Arvo Pärt, rumorismi elettronici a metà tra Coil e Pan Sonic.
Poi il palco è già pronto per il live di Mokadelic e il clima cambia definitivamente: bella performance di post-rock, spesso a tre chitarre, nel solco di Mogwai e i nostrani Giardini di Mirò. Eccellenti le proiezioni video alle loro spalle, che giocano con animali in corsa tra aria e acqua, sospesi in loop, rallentamenti e circolarità del tempo, ad accompagnare il magma incandescente delle cavalcate musicali di Mokadelic. La nottata è proseguita quindi con il dj set electro-rock di 2gether.
Articolo del
21/01/2010 -
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