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Ian Brown
Ian Brown live @ Magazzini Generali - Milano, 19 gennaio 2010
Milano
19/01/2010
di
Marco Jeannin
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Quella di Ian Brown ai Magazzini Generali è la più classica delle date “dell’ultimo minuto”, quelle a cui fino ad un giorno prima non sai se andare o se magari hai di meglio da fare e allora pace e amen. Poi però pensi che Ian Brown non è l’ultimo arrivato e che con i suoi Stone Roses ne ha combinate di tutti i colori quando ancor i Gallagher si volevano bene come due fratelli. E alla fine ti ritrovi sotto il palco ad aspettare che il tutto abbia inizio, nella speranza che la serata riservi qualche sorpresa giusto per dare un po’ più di spessore ad una decisione fin troppo sofferta (e che i Magazzini Generali non ci mettano del loro per rovinarti la vita).
Questa volta però la colpa non è della scarsa voglia, della presenza a denti stretti o dell’acustica: quello di Ian Brown ai Magazzini è stato in assoluto uno dei peggiori concerti a cui mi sia mai capitato di assistere. E non mi importa se in patria questo tizio è un idolo, non mi importa se in passato ha fatto cose che noi umani eccetera eccetera. Ian Brown mi ha rovinato una serata inanellando una serie di stecche impressionanti, rovinando pezzi che potrebbero essere più che interessanti (e che su disco guarda caso funzionano) cantando – parola grossa – come peggio non si può. Scene pietose che fanno strabuzzare gli occhi alla non foltissima platea milanese, scioccata per questa tortura protrattasi per un’ora e mezza fin troppo abbondante. Non ci si deve stupire se a metà concerto c’è chi abbandona scuotendo la testa e chi preferisce starsene al banco del bar ad affogare i dispiaceri. Il signor Brown se ne sta imperterrito a fare il suo show vergognoso senza battere ciglio, cercando di aizzare la folla con un inglese incomprensibile e qualche mossetta che non fa altro che rincarare la dose di imbarazzo tra chi cerca di mettercela tutta per dargli un’occasione di riscatto. Per dovere di cronaca i pezzi in scaletta sono un buon numero, e a dirla tutta la scaletta stessa non sarebbe male. L’evidenza però è talmente palese che non conviene e non mi sembra corretto scagliarmi contro i pezzi quando la responsabilità di questo disastro è imputabile solamente alla voce di Brown. Che poi vai a sentire i pezzi dal vivo in rete e ti accorgi che lui è davvero uno così, che il suo modo di – non – cantare è noto da tempo, ma questo non giustifica il persistere e il ripetersi di questo scempio. Io non ti ho fatto niente per la miseria, perché vuoi farmi del male? Me la sono davvero andata a cercare? Per non parlare degli sguardi della validissima band che accompagna Brown, persi nel tentativo di sollevare la situazione accompagnando gli stacchi più rischiosi con una seconda e a volte una terza voce di supporto.
Niente da fare, la serata si chiude nell’incredulità generale (un crescendo di bocche aperte) e mentre Brown saluta e ringrazia le prime file inspiegabilmente calorose – per buona parte composte da inglesi sbronzi, tanto per rendere l’idea - abbandono il luogo del delitto chiedendo in giro se per caso sono io che non vado bene o se la cosa è stata percepita da tutti. E ottengo un campionario di risposte che vanno dall’insulto esplicito alla compassione verso un monumento decaduto che non sa dire basta quando è troppo, che sembra non avere ritegno e che evidentemente se ne sbatte altamente di cosa significa cantare per davvero. Che ci si creda o no alla fine i primi a starci male siamo noi che un tempo lo abbiamo amato, stimato e apprezzato. Forse domani mi pentirò di esserci andato così pesante, ma non mi era mai capitato di voler lasciare un concerto a metà con questa frustrazione dentro.
SETLIST:
Crowing Golden Gaze T.I.M.E. All Ablaze Keep What Ya Got Save Us Fountain Corpses Laught Now Vanity Kills Own Brain Longsight M13 Marathon Man Sister Rose F.E.A.R.
Fools Gold Stellify Just Like You
Articolo del
22/01/2010 -
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