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L’arrivo di Ute Lemper nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica è accolto da un quasi sold-out. “Last Tango In Berlin” è come un ponte immaginario che unisce Berlino a Buenos Aires, attraverso la scelta di una scaletta, dal respiro internazionale, che va da Brel a Piazzolla, passando per Edith Piaf e molti altri.
Mentre la sala si riempie lentamente di persone, di ogni età, l’attesa diventa febbrile, l’abbassamento delle luci lascia presagire l’arrivo della band che senza fretta, e in silenzio, prende posto dietro agli strumenti. Il silenzio è squarciato da una manciata di note introduttive, mentre una sinuosa figura fa il suo ingresso in sordina, cammina lenta, ma sicura, in confidenza con il palco, e subito dopo con il pubblico, caldissimo stasera. La Lemper è in forma smagliante, il suo corpo è snellito dal lungo vestito nero, che le scopre le spalle, spezzato da un boa di piume scarlatte, funzionale alle sue movenze voluttuose e volutamente provocanti. In pochi minuti questa attrice e singer, dalle doti indiscutibili, catalizza l’attenzione del pubblico con due fulminanti perle iniziali. L’opener diventa una lunga suite legata, da un filo invisibile, alla successiva take interrotta solo dai due, lunghi, interventi di presentazione. I tre uomini, al suo servizio, si occupano del contrabbasso, cuore pulsante della sezione ritmica, del pianoforte, qui usato come contraltare della voce, e del bandonéon, piccola fisarmonica che, inserito efficacemente fra la voce e il resto dei componenti, intarsia note calde arricchendo quest’opera di nuovi colori e sensazioni. Inventato da Heinrich Band, il bandéonon viene introdotto ai presenti da un prolisso intervento della Lemper. Sfortunatamente, con rare eccezioni, nel pubblico romano si annidano spesso elementi di disturbo che, convinti di parlare a nome di tutti, rasentano spesso la maleducazione. L’intervento di un decerebrato, insofferente alle lunghe digressioni della cantante, infatti incrina la magia di una serata in piena fase di decollo. L’attrice, dall’alto della sua esperienza e del suo rigore teutonico, non si lascia deconcentrare, anzi sfrutta a suo favore quest’elemento. Il pubblico, dal canto suo, non può che sostenerla totalmente inveendo energicamente con fischi e cori di sdegno. Personalmente non avrei voluto trovarmi seduto su quella poltroncina, nella galleria a destra, per nessuna ragione al mondo. Quasi sicuramente il “signore” avrà avvertito l’impellente bisogno di sprofondare per la vergogna, sentendosi molto piccolo e altrettanto stupido. Da li in poi Ute svilupperà una forma, garbata, di idiosincrasia nei confronti del poveraccio, bersagliandolo per il resto della serata.
Superata l‘impasse la fredda serata romana si trasforma in un’intensa sessione di tango e ballate, come se le coordinate geografiche capitoline fossero state dislocate, per un paio d’ore, verso lidi infuocati (Buenos Aires?). La temperatura della sala Santa Cecilia (e non solo) sale vistosamente man mano che ci si addentra in questo mood avvolgente. La Lemper cambia personalità, modo di camminare e voce a seconda delle esigenze, emulando, di volta in volta, le first ladies di turno in un siparietto ironico. A volte sembra di vedere la fatale Marlene, altre la fragile Piaf, prova definitiva di un’attrice completa e proteiforme.
Il tango è fisicità, passione e dolore e lei conosce l’argomento nei minimi dettagli. Si muove con fare seducente, ammicca, scopre le gambe con un’eleganza disarmante, gioca con il cappello mentre dalla sedia si distende languida sul pianoforte. Tutta l’attenzione è per lei, gli applausi, dirompenti, esplodono ad suo ogni stacco, dopo i quali, le successive presentazioni diventano quasi un’esegesi della filosofia del tango. La voce, dotata di buona estensione, raggiunge vette alte e ridiscende su tappeti di note vellutate, adattandosi perfettamente ai brani scelti. Il continuo passaggio dal francese all’inglese rende questo spettacolo ancora più affascinante. Molti i brani eseguiti: si va dalla frizzante “Lola” (Hollaender) a “Maria De Buenos Aires” (Piazzolla) omaggiando con una world premiere Nino Rota ("Amarcord"), autore amato, dall’attrice, per il suo pathos e per l’arte poetica. Immancabile la straziante “Ne Me Quitte Pas” (Brel) che avvia la serata verso i conclusivi bis, decisi in base alle richieste in sala. Sono tanti i nomi urlati, cosi Ute si rivolge all’insofferente spettatore, definendolo ironicamente my special friend, per chiedere un consiglio con l’ennesimo sberleffo. Infine si opta per una delicata “Lili Marlene” (Shulze/Leip), al cardiopalmo. Gli ultimi saluti, prima di dirigersi nel camerino, sono accompagnati da applausi fragorosi del pubblico, completamente rapito da questo blaue engel caduto qui dal cielo.
Giù il cappello per Ute Lemper che le s(f)a proprio tutte!
Articolo del
23/01/2010 -
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