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È bello uscire da un live con un sorriso ebete stampato in faccia, apparentemente dissociati dalla realtà e con le orecchie che fischiano per il ronzio degli ampli con le valvole incandescenti. Ma questo di solito succede alla fine, quindi, riavvolgendo l’immaginario nastro su cui sono impressi i ricordi, andiamo a dare una sequenza temporale ai fatti.
Generation X nasce da un’idea di Maurizio Viola, con la collaborazione di Alberto Cobianchi, e si propone di ridare lucentezza allo stantio panorama musicale italiano attraverso band capaci di osare cambi di rotta governati da virate energiche. La Sala Teatro Studio, dell’Auditorium Parco della Musica, ospita i Bud Spencer Blues Explosion. Il loro nome è rimbalzato in tondo nel 2009 e dopo una fugace, ma incisiva, esibizione al Festival del 1° Maggio eccoli davanti al pubblico romano. Premesso che in due sono già capaci di rilasciare un’energia pari allo scorrimento di due ipotetiche faglie fra New Orleans a New York, e che sul palco sembrano in cinque, la band ha pensato bene di incrementare, nel finale del concerto, il suo numero con due ospiti d’eccezione, dei quali ci occuperemo solo più avanti. Il concerto viene aperto dai Muriél che si affidano alle sapienti mani del violoncellista Guglielmo Ridolfi Gagliano, già alla corte di Paolo Benvegnù, capace di colorire, con note speziate, la musica proposta dal duo. Quattro canzoni, molto intense, e via lasciando spazio agli headliner della serata.
La sala è piena e l’attesa è tutta per loro. Adriano Viterbini (chitarra /voce /omnichord) e Cesare Petulicchio (batteria /voce) salgono scaricando 100.000 volt sul pubblico, letteralmente folgorato da un incipit letale. L’adrenalinica, e instabile, aggressività di Adriano è l’immagine della loro musica, i continui cambi ritmici, del funambolico batterista, vanno ad incastrarsi perfettamente dentro il rifferama dell’axe-man, che appare totalmente rapito dal suono che il vibrare della sua “ascia” produce. La loro musica è pura fisicità, niente di cerebrale, ciò che scorre e irrora le loro vene, non è plasma ma blues edulcorato, contaminato, violentato ed elevato all’ennesima potenza. Impossibile stare seduti e fermi in sala, ad ogni brano le gambe ballano, le mani tengono il ritmo mentre la testa parte in headbanging. Viterbini passa dall’arpeggio allo slide richiamando, di volta in volta, il blues del Delta di R.L. Burnisde e Robert Johnson, citando la svolta elettrica di Muddy Waters (Frigido), e la slide guitar di Johnny Winter. La sezione ritmica è un rullo compressore che procede, potente e pesante, come un mammut. Blues dicevamo, ma scordatevi le pentatoniche e il classico giro che molte band amano sfoggiare, qui si vive di furiosi raid e di accessi di follia (in)controllata. Le sequenze fulminanti di slapping, pennate e feedback distorti sono asfissianti. La struttura del songwriting viene costantemente modificata, il suo crescendo è ansiogeno e genera elettricità palpabile. Impossibile staccare gli occhi dai due, l’ipotesi noia viene annullata totalmente. La quantità di rumore prodotto dal decollo, su un pesante dirigibile zeppeliniano, dei B.S.B.E scuote dalle fondamenta l’intera sala. Sono una rivelazione assoluta e non una ventata d’aria fresca ma un intero, devastante, ciclone. State pensando che i White Stripes (Blues di merda) lo hanno fatto molto tempo fa? È vero, non siete lontani dalla realtà, ma qui non ci sono emuli, il duo ha idee chiare e cristalline. Scomodano tutti i grandi triturandoli in un mix delirante. Siamo di fronte alla rinascita del blues, più estremo, irrobustito da sferzate hard rock, innesti danzerecci alla Chemical Brothers (Hey Boy Hey Girl) e irruenti stomp-boogie alla Link Wray / J.L. Hooker.
In sala c’è chi giura di aver visto i Blue Cheer, altri assicurano di aver notato gli Allman Brothers. Personalmente sono quasi sicuro di aver visto uno strano tipo, di colore con baffetti, capelli ricci e Fender Stratocaster, bianco panna, aggirarsi a destra del palco, mentre sornione se la rideva di gusto durante l’attacco della più volte accennata “Voodoo Child (Slight Return)”, totalmente costituita da bordate di wah wah acido, insieme a Saturnino al basso e Alessio Bertallot alla voce che eseguiranno anche “Insieme a te sto bene” di Lucio Battisti. Il non “blues” ultra del “plus”, o era il contrario? Ho “inavvertitamente” spostato le parole ma ci siamo intesi lo stesso, vero??!!
Articolo del
28/01/2010 -
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