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Parte da Roma l’anteprima mondiale di "Rock Revolution", un viaggio fatto di musica e immagini trasportate su un ipotetico ponte costruito attraverso 50 anni di puro rock. È la Sala Sinopoli a trasformarsi, per l’occasione, in un enorme schermo, estensione, necessaria, della musica eruttata dal palco. La Rock Revolution Band è un ensemble di otto elementi di fine grana tecnica. Volendo descrivere, in ordine, i nomi delle band e tutte le canzoni eseguite non ci sarebbe più spazio per altro in questo report, opteremo quindi per una soluzione ibrida.
La sala si riempie in pochi minuti mentre lo show prova a decollare con “Magic Moments” (Burt Bacharach), ma qualcosa non quadra, il batterista è assente e senza questa propulsore l’aereo si arresta, con evidente imbarazzo generale. Tutto da rifare quindi. Il problema tecnico, tipico di una prima, costringe gli organizzatori a porgere qualche scusa, dovuta, mentre dietro le quinte si lavora freneticamente per rimettere questo Boeing in pista. Poco dopo si riparte nuovamente con la bella voce di Narayana, doppiata dopo pochi minuti, dall’arrivo di un secondo singer, potente e ben impostato. L’ingresso del granitico batterista, che durante la serata darà dimostrazione di forza e fantasia, lancia la folle corsa, di quasi due ore, che manderà il pubblico in visibilio. Da lì in poi la band non soffrirà di nessun altra incertezza o intoppo tecnico. Mentre la musica aggredisce i presenti le immagini scorrono da Che Guevara a Elvis Presley (Blue Suede Shoes), passando per il rock’n’roll di Little Richards (Lucille) e Chuck Berry (Johnny B. Goode), direttamente collegati a quello che, tutt’ora, è considerato il più grande raduno del rock di sempre: Woodstock. Ma non è finita perché ci sono stralci di Frank Zappa e le sue Mothers Of Invention e per gli Who (My Generation). Un capitolo a parte meritano l’immenso Jimi Hendrix, la scelta ricade su “Fire” e “Manic Depression”, immerse in un fiume di wah-wah e dagli intensi duelli chitarristici, ma su tutti brilla il necessario omaggio a quella che, forse, è stata la più grande band del ROCK. Stiamo parlando dei Led Zeppelin: “Communication Breakdown”, con solo finale del batterista, e “Rock And Roll”, durante la quale il cantante, dagli acuti più vicini al metal che al rock, si scortica le corde vocali per raggiunge le vette dell’inarrivabile Robert Plant, vengono eseguite con rigore tecnico e potenza tellurica. Con l’abbattimento dello Zeppelin si chiude una decade, il pilota vira verso territori punk dove Ramones, Sex Pistols e Clash (Should I Stay Or Should I Go, London Calling) la fanno da padrone. Nel frattempo la curva, a destra del palco, non resiste alla tentazione di alzarsi in piedi e ballare per il resto dello show, timidamente emulata, ma solo nel fine, dalla curva opposta.
L’energia sprigionata dal binomio musica/immagini ha come propellente la fisicità del rock, la sua motrice è formata da: Narayana, Alessandra Ferrari, Alessio Spini, Angelo Del Vecchio. Il loro talento è indiscutibile, il resto della serata fila via fra continue citazioni: Beat Generation, Black Panthers, Angela Davis, Janis Joplin (Mercedes Benz, ben cantata da Narayana in solo), l’immarcescibile “Roadhouse Blues” dei Doors, i Cream (Sunshine Of Your Love), l’irruenta “Proud Mary” (C.C.R) e le immancabile pietre che rotolano in “Jumping Jack Flash”, preceduta da “Respect” di Aretha Franklin.
Il tutto è condito dalle caleidoscopiche, e psichedeliche, immagini sparate a nastro continuo sulle pareti della sala. Fra le grandi assenti spiccano alcuni capisaldi come “Smoke On The Water”, il rock monumentale dei Pink Floyd e “We Will Rock You”, ma, come spesso accade in molte scalette, è impossibile mettere d’accordo tutti. In questo caso sarebbe stata un’impresa di proporzioni titaniche.
Articolo del
03/02/2010 -
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