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Iniziamo col dire che Joakim Bouaziz è prima di ogni altra cosa un dj, uno di quelli che quando entra solo soletto nei club parigini manipola house e quando li abbandona per entrare in studio di registrazione, reinventa tracce recuperando ciò che ha perso per strada, ovvero come un tempo disse il ragazzo ‘mix-and-blend’ pop songs alla Beatles. Ma tra le mani di Joakim passa anche una certa Tigersushi nota per essere non solo un’etichetta francese alquanto cheap & chic ma anche una scuderia a gestione quasi familiare e dai confini molto porosi. Chi vi passa, tipo The Chap, Poni Hoax, My Sister Klaus, Principles Of Geometry gestisce l’elettronica (o ciò che ne resta) nel miglior modo possibile che nella pratica suona nel suo minor utilizzo possibile. Quando poi quel bel personaggio di Joakim rinvigorisce con la propria band, che di ‘disco’ ha beffardamente solo il nome, accoglie i germi espressionisti dell’epopea settanta/ottanta: come dire, l’album più post-punk di Joakim fu Monsters & Silly Songs (2007, !K7) e quello più wave, Milky Ways (2009, !K7).
Ma la serata romana tanto attesa non è da Circolo, cioè non è per la cronaca tra le migliori. Troppa poca gente ma soprattutto testoline che preferirebbero vedere Joakim in altri posti e sotto altre vesti. In apertura arrivano i Sea Dweller. La loro è la presentazione di debutto di Love Is Coming pubblicato lo scorso novembre per l’etichetta tedesca Two And One Records. I quattro ragazzi romani, bravi e intimiditi, sul palco ci suonano tutto il loro esordio esattamente come ce lo ricordavamo su disco. Unica nota negativa è che forse i Dweller possiedono al momento poca tecnica ma le loro coordinate sono più che buone: Broken Social Scene, Pastels, Telescopes e Charlatans su tutti. Di qui in avanti meritano di essere seguiti con attenzione.
Veloce cambio di palco e all’arrivo dei francesi dai cinque presenti in sala passiamo ad essere in quaranta, non male. In apertura gli otto minuti di Back To Wilderness fungono da varco di contatto tra il maestro e i suoi discepoli. I momenti magici arrivano grazie ad alcune ‘silly songs’ piuttosto conosciute. Pezzi come I Wish You Were Gone, Travel In Vain o Ad Me sono guidati ad un’andatura mediamente più veloce, senza sottrarre nulla alla magia delle versioni originali. Ma il gruppo si svela nella sua compiutezza solo quando torna nel proprio ovile suonando i grandi singoloni di Milky Ways. Medusa, Spiders e Fly Like An Apple si innalzano alla loro più pura cristallizzazione electro. E a questo punto si capisce bene che l’omino che possiede tra le braccia una chitarra o quello seduto alla batteria sono, sfortunatamente, dei semplici accessori.
A fine serata si dice in giro che sia stato un concerto molto groovy, disco o anche krautrock. Forse ma magari il tutto è anche stato eseguito col freno a mano molto tirato, ancheggio sì ma niente calore, nemmeno le lievi interazione con il pubblico riscaldano l’atmosfera. E con l’arrivo, poi, dei pezzi più diluiti l’acclamato spirito rock dei Joakim & The Disco diminuisce notevolmente, reinventandosi al massimo come djset. Ma la gente appare contenta, è Joakim perché cercare di più? Beh, forse perché essendo un live un po’ più di divertimento o magari un fuori programma da ‘stupor mundi’ ci sarebbe anche stato bene. Intendiamoci, il tutto è stato interpretato con il gusto del saper suonare mischiando il più possibile, e noi non abbiamo mai avuto la sensazione di trovarci di fronte ad un gruppo che abbranca al pateticamente retrò. Joakim e soci hanno, indubbiamente, ereditato la ricercatezza di chi detiene i codici della conoscenza. E questo può anche bastare a farceli piacere ma sicuramente più su disco che dal vivo.
Articolo del
15/02/2010 -
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