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Prima volta per la Dave Matthews Band (DMB) nella Capitale, sperando che non sia l’ultima. Questo sarà il sunto di qualcosa che va oltre la semplice esibizione di un gruppo. Una miscela di emozioni difficilmente paragonabile ad altri eventi musicali.
I sette musicisti (e che musicisti) si presentano sul palco alle 21.30: David John Matthews (chitarra e voce), Stefan Lassard (basso), Tim Reynolds (chitarra), il mitico Carter Beauford (batteria), Boyd Tinsley (violino), l’immenso (nel vero senso della parola) Rashawn Ross (tromba e cori) e il superlativo sassofonista Jeff Coffin, elemento dei Flecktones di Bela Fleck, entrato al posto dello storico LeRoy Moore, scomparso nel 2008, a cui la DMB ha dedicato l’ultimo album uscito nel 2009 Big Whiskey And The GrooGrux King (Moore era soprannominato King). La band entra con molta calma si sistema e partono con Lying In The Hands Of God: che dire, sconvolgenti già dall’inizio! È difficile riuscire a descrivere quello che questi sette “alieni” della musica hanno creato. Coreografie al minimo indispensabile: ci pensa la loro musica ad abbellire il palazzetto, creando immagini che cento maxischermi messi insieme non riuscirebbero a ricreare neanche il 10% di quello che è stato fatto al PalaLottomatica. La cosa sconcertante è che ci troviamo davanti ad una jam band, sette “mostri” che collaborano tranquillamente per tutto il concerto, con cambi di scaletta improvvisati e canzoni che toccano i 10 minuti, che non annoiano, anzi, incantano il pubblico. Un misto di folk, rock, blues, jazz e country che trasporta l’ascoltatore in giro per il mondo. Lo spettacolo non c’è. Lo spettacolo sono loro, uomini normali (e ve lo dice uno che ha avuto l’onore di incontrarli davanti all’albergo e che, oltre alle foto, è riuscito a parlarci) che impiegano loro stessi in quello che è la loro passione, la loro vita: la musica. Non è business ma bellezza, amore, passione, sofferenza e gioia. Canzoni intime e conviviali allo stesso tempo che coinvolgono il pubblico e loro stessi. Momenti toccanti come Why I Am, dedicata non al musicista ma all’amico, o meglio, “fratello” scomparso Le Roy. Si perché questa è una famiglia; i sette oltre a collaborare durante l’esibizione si divertono, si salutano e si fanno i complimenti a vicenda alla fine di ogni canzone. Uno dei pochi concerti dove non vai li pensando: oddio adesso ci tocca sorbirci le canzoni dell’album nuovo... ma le faranno le vecchie?!, perché le canzoni sono belle e, anche se non lo sono, loro le rendono tali. Tanto belle da non far sentire la mancanza di #41 o Ant Marching, classici del loro repertorio, e incantarci con i singoli nuovi che in Italia non vengono promossi e che quindi non sono fruibili alla massa. Difatti la DMB a dispetto della fama paurosa di cui godono in USA e Canada, può quasi essere considerata poco famosa in Europa e semisconosciuta in Italia. Paradossalmente questo gruppo è uno dei gruppi che fattura di più al mondo grazie ai concerti nonostante quello che è stato detto prima. Non stiamo parlando di buone operazioni pubblicitarie o altre manovre tipiche dell’ambiente mainstream, ma di gente che si spezza le ossa a furia di concerti, i quali aumentano costantemente ogni anno vista l’alta richiesta.
David canta benissimo e interpreta ancora meglio, coinvolgendo e divertendo il pubblico con i suoi simpatici siparietti durante i vari soli degli altri membri, i quali si cimentano in assoli che non sono una semplice esibizione di tecnica, ma una vera e propria lezione di cosa sono il gusto e la musicalità. Chiaramente ogni tanto il virtuosismo eccede, in senso buono, come nel caso di Coffin che verso la fine si cimenta in un solo con due sax contemporaneamente, l’uno che armonizza l’altro; senza parlare di Carter Beauford che, scusate la parola, fa schifo per quanto è bravo! Controtempi suonati con una “nonchalance” veramente imbarazzante, stacchi terzinati, o duinati, come se piovessero, un uomo che durante una ballata esegue rullate in sessantaquattresimi oppure trentaduesimi con doppio pedale senza storpiare o intaccare l’atmosfera coinvolgente di una canzone delicata. Un esempio di quello che può essere la bravura di Beauford è Spaceman, canzone presente nel nuovo album. Questi sono solo due esempi di quello che sono la DMB in ambito tecnico musicale.
Il concerto dura due ore e tre quarti (bis compreso) ben lontano dal favoloso concerto dell’anno scorso a Lucca, dove la DMB ha estasiato il pubblico per tre ore e mezzo, il concerto più lungo della loro carriera, che inorgoglisce il pubblico e i fan italiani (un po’ come il concerto che fece Springsteen a Milano negli anni ottanta il quale ancora viene citato dal “Boss”, nelle interviste internazionali, come uno dei suoi preferiti). Con la Dave Matthews Band siamo davanti all’esempio più lampante di quello che è l’arte vera: la tecnica musicale, lo studio, la pratica dello strumento che viene fusa con la genialità, la creazione artistica e la poesia.
Articolo del
27/02/2010 -
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