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La stessa sala (Santa Cecilia) che da poco ha ospitato Ute Lemper, per il suo show dedicato al tango, è adornata da piante esotiche (palme) e sedie pronte a ricevere Paco De Lucia e i suoi sette “accompagnatori”. Anche le gallerie sono piene per la discesa italiana del “dottore” in chitarra classica. I commenti, prima dell’inizio, sono caldi come lo è l’eccitazione, quasi palpabile.
Il concerto inizia subito con l’ingresso, in penombra, del nostro beniamino che, ancor prima di aprire bocca e metter mano allo strumento, viene accolto da un boato scrosciante. Pantaloni larghi neri, gilet in pendant, e camicia bianca sono la tenuta del chitarrista che non si separa mai dalla sua fedele e vibrante “compagna”. L’incipit è spettacolare, il suono della classica riempie l’intera sala riscaldandola con scale velocissime e passaggi molto intensi. Basta solo questo per far esplodere il pubblico in un secondo, potente, applauso. Poco dopo l’ingresso di tre coristi, e un percussionista, cambia volto alla scena, la loro voce richiama certi facili accostamenti alle melodie dei Gipsy Kings, ma qui siamo su un altro pianeta. Il solo ascoltare il pathos emanato da quelle corde vocali mi crea disagio interiore. Su tutti David De Jacoba sembra uno sciamano impazzito, percorso, in tutto il corpo, da fascicolazioni muscolari incontrollate. Il suo canto roco infiamma tutti i presenti mentre Piranha, alle percussioni, è un nastro trasportatore di ritmiche cangianti, crea un continuo tappeto sonoro su cui gli altri possono improvvisare. Lentamente il resto della band prende posto dietro gli strumenti. Niño Josele, alla seconda chitarra, sostiene e incalza Paco in un continuo braccio di ferro, senza né vincitori né vinti, mentre Alain Perez, al basso, irrobustisce la sezione ritmica. Tutti i musicisti, lentamente, vengono chiamati in causa da Paco per dar respiro ai loro strumenti in ottimi soli. Maestro, in tutto questo, è Antonio Serrano (harmonium) che, unendosi al resto del coro, esplode in quelle aperture classiche del flamenco, grazie alla sua snella e calda armonica. Ma è superata la metà del concerto che Farruco (anche alla voce), lascia la sua sedia lanciandosi in una danza sfrenata. Lunghi capelli e tutto in nero Farruco libra il suo corpo, snello, in una danza vibrante che fa esplodere l’Auditorium in un lunghissimo applauso. Il gentil sesso è incontenibile ed è tutto per lui, partono urla, fischi e applausi che spellano le mani. La sua danza è sinuosa, la figura scatta fulminea usando mani e piedi, le movenze disegnano cerchi e figure equilibrate. Dalla chitarra di De Lucia, intanto, vengono fuori dialoghi fra flamenco, musica brasiliana, e l’intera musica classica spagnola. Guardando quella scena, fatta palme sullo sfondo e atmosfere latine per un momento ho sentito la necessità di un ottimo mojto, da assaporare lentamente, magari fra un passaggio sognante e una scala eseguita ben oltre i limiti di velocità consentiti. Le lunghe suites, su cui tutti possono esprimere la loro bravura, sono però l’unico neo dello spettacolo, le lungaggini, tipiche di uno show di virtuosi, tendono ad appiattire il tutto. Ma le accelerazioni brucianti e la qualità artistica di ogni singolo elemento fanno dimenticare presto questo gap. Un capitolo a parte dovrebbe essere dedicato a Duquende, alla voce, che per quanto possibile amplifica, portandolo oltre il limite, il lavoro fatto dal suo collega ai cori. Il suo canto è pura sofferenza che viene dalle viscere e passa attraverso lo stomaco riecheggiando su per la gola. Un’interpretazione più che toccante.
Paco fa quasi due ore on stage e dopo essere uscito si fa attendere qualche minuto prima della pièce de rèsistance finale che coinvolge il pubblico in piedi per una standing ovation più che meritata.
Articolo del
02/03/2010 -
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