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Serata affollata quella di giovedì 25 febbraio al Circolo degli Artisti, sia per la partecipazione del pubblico, che per la line up della serata. Arriviamo al solito trafelati e in ritardo (oramai le serate iniziano ad orario aperitivo, anche qui, nell'accidiosa Roma!), che Gianni Music spaccano con i loro beat sincopati: suoni tra il digitale del laptop al centro della scena, l'elettricità di basso e chitarra, i colpi potenti e precisi della batteria live. L'ambiente si riscalda e mentre si riassesta il palco noi andiamo in cerca del nostro primo Negroni.
Buio in sala ed ecco che Attilio Bruzzone alle macchine – laptop, mixer & synth – e Sieva Diamantakos ai visuals lanciano in orbita il suono potente e perfetto, con immagini epiche ed evocative, di Port-Royal. E sin dal primo pezzo si capisce che il set prenderà la splendida piega (deca-)dance che da un po', sempre meno timidamente, traspare sia nei live che nei recenti lavori in studio di questo ensemble genovese proiettato nel mondo e da anni sintonizzato sulle migliori tendenze sonore in circolazione.
C'è quasi timore a spingere subito sull'acceleratore dei beat, tanto che The Photoshopped Prince, il pezzo di apertura, viene accompagnato da note di comprensione, dell'eventuale stupore del pubblico, proiettate sullo schermo video. Ed in effetti si ha la sensazione di entrare direttamente nel cuore di un rave, stilizzato, oscuro e malinconico, come solo Port-Royal saprebbe suonare. Quindi si prosegue tra pezzi nuovi – la spia comunista Richard Sorge, dall'ultimo EP Afterglow in compagnia di Millimetrik – e gli oramai classici Anna Ustinova e Eva Green. Le tradizionali sonorità sinfoniche e digitali si adattano a un tappeto di battiti cavernosi, nitidi e millimetrici. Anche il pubblico, solitamente immobile e refrattario alle danze, sembra smuoversi, barcollare, agitarsi. Eppoi il live prende il volo con il rifacimento, dilatato e spinto verso beat per minute assai frequenti, dell'inno epocale Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope). È quasi un'opera a se stante, prossima ai venti minuti, di ripensamento in chiave schiettamente post-Idm della versione originale. E così ci sembra che accada con Putin vs. Valery. In entrambi i casi rielaborando anche l'apparato video, oramai perfettamente in grado di raccontarci un'estetica emozionale dell'era tardo-globale, tra gelidi paesaggi est-europei, nuove, solitarie singolarità metropolitane, sprazzi di alleanze sentimentali nell'epoca del solipsismo esistenziale.
Senza facili entusiasmi: siamo dinanzi ad una prova di definitiva maturità di Port-Royal, che chiudono il set di appena un'ora con l'evocata Deca-Dance finale; e così ci sembra di essere ulteriormente al di là delle altre ottime prove live cui avevamo assistito negli ultimi anni. Come se il meglio delle radici dance-sinfoniche della Hacienda degli 80s, passasse per l'electro danese dell'età di mezzo, per giungere alla caverna dub-step di fine 00s, mantenendo un nitore digitale iper-techno. È forse un momento di svolta per il futuro di questo collettivo di artisti, che dovrà scegliere una via autonoma, ma mainstream e probabilmente fuori da questo paese, in cui la scena elettronica sembra troppo frammentata, isolata e diffidente, rispetto anche ad epoche recenti. Sappiano che in ogni caso e definitivamente: we're not afraid to dance anymore...
La nottata è poi proseguita con l'incrocio tra il violino (forse un po' sacrificato) di Davide Rossi e il mix digitale/analogico di Jon Hopkins: una buona sperimentazione, che percorre un sentiero prolifico, di un altro valente artista italiano non a caso costretto a fuggire tra Londra e Copenhagen; eppoi riconosciuto collaboratore di gente del calibro di Röyksopp. Decisamente questo non è un paese per innovativi sperimentatori elettronici. E non solo per loro, purtroppo.
Articolo del
07/03/2010 -
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