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Organizzata nell’unico rifugio felice della città, la serata del due marzo all’Init, vorrebbe essere tra quelle un po’ indie: una festa di villaggio tra ragazzine in short stracciato e tipi rigidamente alternativi. Prendiamola allora da addetti ai lavori e diciamo pure che la noia ci ha invaso fino alla venuta dei Bombay Bicycle Club, unico motivo per cui valeva la pena presenziare all’evento della serata.
L’arrivo in Italia di Jack, Suren, Ed e Jamie, è sospeso fra molte aspettative. Da un lato c’è quella buona prima prova di I Had The Blues But I Shook Them Loose, album grazie al quale sono stati scritturati lo scorso luglio dall’Island Records; dall’altro, c’è la solita esaltazione dalla stampa britannica che li ha eletti come il miglior gruppo esordiente dell’anno. Tutto questo potrebbe bastare a rendere più o meno incredula l’attesa di quel centinaio di paia di gambe riunitesi tutte per comprovare nel live l’avvenuta consacrazione della band di Crouch End. Ma l’esecuzione dei Bombay Bicycle Club è talmente appassionata e calda da asfaltare ogni tipo dubbio in merito. I nostri quattro compagni di scuola, infatti, non hanno nulla fuori posto, anzi. La loro condotta sul palco ha un piglio decisamente rock e le loro espressioni dimesse e non curanti diventano a poco a poco talmente cariche di entusiasmo che assorbono la nostra attenzione per tutta la durata del concerto. Suonano poderosi, melodici e freschi per una buona oretta. La batteria è rombante e quelle linee di basso così affilate e regolari vengono continuamente addolcite dall’accorata voce di Jack Steadman che come tirata a metà da un filo bianco consente ai quattro lo scatto di personalità sperato. L’apertura è affidata, non a caso, a Dust On The Ground che oltre ad essere un ottimo ventaglio delle soluzioni strumentali proposte della band, è anche il pezzo in cui Steadman meglio si esprime per voce e scrittura. I Broken Social Scene sono a tratti dietro l’angolo, ma non è poi un grave peccato. E se con Open House e Magnet pare di ascoltare dei Tokio Police Club più carezzevoli e raffinati, è con Always Like This che i Bombay schiudono la possibilità di una più sincera fascinazione sonora. Ma il meglio è custodito nella fase finale. Evening/Morning li ricorda per come ci si sono dichiarati tre anni fa all’uscita del loro primo ep: ‘I am ready to owe you anything’. Un po’ declamatori, un po’ abrasivi, un po’ fragili, i Bombay Bicycle Club hanno in parte rinsaldato il dovere di quel ritornello. L’impressione finale che ricaviamo dalla loro esibizione è, infatti, quella di un gruppo dotato e molto versatile ma, forse, ancora un po’ legittimamente acerbo. Concediamogli la possibilità di padroneggiare più compiutamente quella che ci è apparsa (nel live più che su disco) come una genuina spontaneità molto espressiva e complessa, e sicuramente ne usciranno ancora delle grandi cose.
Molto poco convincenti sono stati, invece, i due gruppi spalla. C’è da scommettere, infatti, che tanto le camerette dei The Gravity quanto quelle degli Ancien Régime strabocchino di foto di Tom Smith o di Ian Curtis. O forse più semplicemente contano di essere la reincarnazione di quest’ultimo. Entrambe le band sono accumunate da un abbondante riciclaggio delle sonorità wave, e questo basta a renderli delle caricature che si trascinano dietro un effetto musicale abbastanza grottesco. Non ci resta che dar loro un caloroso consiglio: toglietevi la ‘divisa’ ed investite i minuti del vostro tempo imparando prima a suonare e poi a fraseggiare. Sarebbe tanto di guadagnato per tutti, comuni mortali compresi.
Articolo del
13/03/2010 -
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