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Sei euro per un concerto di tre band e cosi poca gente, Roma a volta è strana. Sarà dipeso dalla quantità di eventi sparsi in giro, o dal gelo che ha stretto la sua morsa attorno alla città, ma stasera siamo davvero in pochi cosa che, per certi aspetti, rende più piacevole l’ascolto di queste band.
Sul palco salgono per primi il Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta. Dal vivo convincono con il loro sound pieno e potente. Loro sono in quattro, il batterista dalla capigliatura hendrixiana si contorce dietro le pelli mentre il resto della band si produce in un suono fluido ed efficace. Il loro è un post rock a volte elegante in altre scolastico, con qualche svisata che sfiora la pischedelia, la corteggia da lontano ad occhi bassi.
Purtroppo assisto solo alla parte finale dello show, causa ritardo dovuti ai mezzi, ma non perdo i Bologna Violenta. Dico i Bologna perché, sebbene sia il solo Nicola Manzan l’uomo sul palco sembrano un’intera band. Forte di un disco, “Nuovissimo Mondo”, che ha riscosso forte consenso dalla critica e dal pubblico, Manzan sale sul palco vestito di nero. Imbraccia una Gibson Les Paul che provvederà prontamente a rompere per imbracciare successivamente la Diavoletto con la quale, sempre sullo stesso palco, aveva infiammato il pubblico con il Teatro degli Orrori. L’esibizione è come te l’aspetti. L’intero disco eseguito nei particolari, i cut up chirurgici, gli interventi alla chitarra sferzanti, si susseguono mentre tu ringrazi di essere per una sana dose di determinata follia. Nicola dal vivo è un mattatore, fa tante di quelle facce che non basterebbe un servizio fotografico per catturarle tutte. Durante l’ascolto si materializzano nella mente le immagini di trapianti di pene, torture, aborti e scimmie morte. Tutta l’ultra violenza, tanto cara ai poliziotteschi, viene costellata da quei riff che hanno reso immensi Carcass e Napalm Death, commovente. Poi si passa, per un attimo, al violino maestoso e delicato, omaggio a Bach, si sogna prima degli ultimi, e devastanti, pezzi conclusivi, mentre Nicola sfida il pubblico a scoprire quale brano, di un inesistente film di Lino Banfi, sta scorrendo sotto la sua voce. Il concerto si conclude con il suo sorriso sornione e il tuo da ebete, contento della mazzata sonora che ti aspettavi, e c’è stata tutta signori, in ogni senso.
Non avevo mai visto dal vivo i Ronin di Bruno Dorella. La loro musica ti fa dimenticare titoli e nomi, ti perdi semplicemente in quello che fanno mentre le ragazze ballano come se stessero ascoltando Bob Marley. All'inizio il combo produce note quasi logore, intime, come se volessero bastare a se stesse, qualcuno in sala suggerisce i Madrugada. Il sound strumentale, a volte desertico altre malinconico, ha quel sapore cinematico, quell’effetto visivo disarmante. I pezzi languiscono, richiamando i Calexico, in altri momenti contengono il blues in nuce. Bruno Dorella si è sempre fatto notare positivamente, per l’ecletticità delle sue creature. Anche in questo caso non possiamo esimerci dal toglierci il cappello per questa band precisa, i suoi ingranaggi girano alla perfezione dal vivo, mentre a fine concerto mi allontano rimane una lunga scia di immagini che scorrono lente per la mente cullata dalla lentezza.
Articolo del
20/03/2010 -
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