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Milano d’inverno non è proprio il massimo. E Milano, in questo inverno piovoso, grigio, ghiacciato e soprattutto infinito, fa abbastanza schifo. Contro ogni teoria sui vari riscaldamenti globali. Quel poco cielo che si vede tra i palazzi non è mai di grande aiuto. Forse è anche per questo che poi basta poco e sembra tutto bellissimo. Così, appena usciti dalla città, vedere in lontananza verso ovest la fine del nero blocco delle nuvole e della pioggia ed l’abbagliante rosso del sole che tramonta, mette già di ottimo umore. Sarà anche che stiamo andando a prendere un aereo per Parigi.
Per la prima serata non abbiamo troppe pretese. Siamo solo io e Gisella, siamo abbastanza cotti dalla settimana, una bella cenetta potrebbe bastare. Certo che se poi la cenetta, dopo aver scartato tutti i ristoranti commercialotti dietro Place Saint-Michel con menù in vista con tanto di agghiaccianti foto dei piatti, è in una creperie da post discoteca, non è proprio la migliore possibile. Anche se le nostre risate ce le facciamo. Appena entrati sembra un posto normale, magari non di gran classe, ma normale. Dopo cinque minuti hanno iniziato a mettere musica house sempre più forte. Dopo altri cinque minuti hanno abbassato le luci e cominciato a servire mojiti giganti. E per chiudere hanno acceso i faretti con la palla argentata appesa al soffitto a riflettere i raggi colorati in giro per il locale. Il tutto mentre i cuochi ballavano in cucina. Ovviamente, le crepes facevano schifo.
Comunque. Girare a Parigi, oltre tutto con un po’ di sole, è, banalmente, splendido. Le cose da vedere, anche senza entrare nei musei, non finiscono mai. Tutto, quasi ogni piazza, le chiese, i palazzi, il fiume, anche i negozi ed i bar, tutto ha un fascino particolare. E con le bici del Comune che si trovano ogni due o tre incroci si riescono ad apprezzare anche gli angoli meno noti e più anonimi senza infilarsi sotto terra e passare da un metrò all’altro. Ovviamente, poi, i turisti sono ovunque. E la gente che prova ad approfittare di questo infinito pubblico che si muove per la città anche. C’è chi chiede soldi e basta. Ma c’è soprattutto chi cerca di guadagnarseli. Chi fa spettacoli comici davanti al Beaubourg facendosi aiutare da alcuni spettatori e prendendoli in giro davanti a tutti. C’è, sempre nel Marais, chi fa il giocoliere muovendosi a ritmo di musica. C’è chi suona qualsiasi strumento od oggetto, chitarre, ma anche didgeridoobreakdancers, dei suonatori di percussioni, un calciatore di colore con tanto di locandina pubblicitaria che palleggia e fa numeri assurdi su un metro quadrato di un pilastro della scalinata che porta al Sacro Cuore con tutta la città che si stende sotto di lui, e una specie di James Blunt con chitarra, amplificatori e microfono che sfida i Nirvana di “Smells Like Teen Spirit” con risultati indegni, passa da “Volare” e arriva poi, giustamente, a “You’re Beautiful” del suo alter ego.
Tutto questo ai piedi della Chiesa. Peraltro bellissima. A qualcuno potrebbe sembrare un po’ blasfemo. Soprattutto quando a pochi passi dai portoni i ballerini si cimentano su “Soavemente” scuotendo non poco i loro culi e simulando approcci abbastanza espliciti verso l’unico bianco del gruppo. Ma se poi all’interno della Chiesa ci sono delle macchinette automatiche giganti che vendono medagliette ricordo, in stile tabaccai o peggio bagni delle discoteche, allora forse non ha più troppo senso preoccuparsi del rispetto della spiritualità del posto.
Poi, dopo aver fatto chilometri, in bici e a piedi, torniamo verso l’albergo al di là del fiume, vicino alla Sorbona. Lasciare le bici non è mai facilissimo. I parcheggi nei posti più comodi e turistici sono sempre tutti pieni. Così saliamo un po’ verso Montparnasse per trovare qualche buco libero. Poi, giriamo ancora a piedi tra i vicoli intorno a Saint Sulpice. A mangiare un’altra crepe, questa volta ottima, in un posto in legno che sembra una vecchia barca. E poi in un vecchio negozio di dischi dove degli ex hippy comprano e vendono in una bottega piccolissima vinili e cd di tutti i tipi, dal jazz fino alla musica francese, dal progressive al rock. La musica francese mi fa abbastanza paura. Così prendo un doppio live di Ben Harper e un album di Lou Reed. Poco dopo, in albergo, mi ricordo che anche la musica italiana mi fa abbastanza paura. Prima di uscire, infatti, accendiamo qualche minuto sul festival. Qui si vede solo Raiuno. E ascoltiamo, per caso, proprio la canzone vincitrice. Chissà le altre.
La seconda serata è un minimo più attiva della prima. Andiamo a cena in un posto che ci hanno consigliato appena di fronte all’isola di Saint-Louis. L’atmosfera, al piano di sotto, merita. E il cibo anche. Qualche dubbio lo lascia il piano di sopra, dove prendiamo un aperitivo aspettando il nostro tavolo. Luci basse, divanetti zebrati, riviste da Playboy in giù in bella vista su tutti i tavolini e quasi solo gruppi di gay. Sinceramente non ci ho capito granché. Comunque poi, in giro a bere una birra nei vicoli del Quartiere Latino. Nel locale forse più particolare fanno del suonano al piano di sotto, ma è già troppo pieno. Ripieghiamo da un’altra parte e poi a dormire in vista dei chilometri del giorno dopo.
Alla fine, le due cose più belle, forse, succedono proprio nelle ultime ore. Prima, quando pedalando vicino alla Senna, sul lungo fiume chiuso al traffico, arriva da lontano il lamento di un sax. Ci accompagna per lunghi secondi, sempre più nitido. Poi ci fermiamo tra le impalcature di un ponte. Il suono ora è davvero vicino. Non vedo bene dall’altra parte, ma la musica viene da lì. La tristezza di quel blues arriva proprio dai pilastri sulla riva opposta. Sotto le macchine che passano senza accorgersene. E nascosto dalla gente. Senza bisogno di monete. Poi, quando ci arrampichiamo in bici sino al Pantheon, sulla collina dietro il nostro albergo. Dopo un rapido giro, torniamo giù. Come spesso succede, in pianura non c’è posto per le nostre bici. Gisella mi odia un po’. Vorrebbe cercare un posto sul fiume, ma secondo me è impossibile. Vabeh. Così torniamo su di nuovo per lasciare le bici. Tornando giù dal Pantheon, questa volta a piedi, c’è una piccola chiesetta nascosta tra due case. Incuriositi buttiamo un occhio dentro. Qui, tre ragazzi stanno provando con pianoforte, violino e violoncello delle musiche di Brahms. Stiamo in silenzio qualche minuto. Uno spettacolo inaspettato e intenso. E loro, suonano, si interrompono, commentano, preparano gli attacchi e, soprattutto, ridono e sembrano divertirsi parecchio. Anche la musica classica può essere, oltre che emozione, divertimento. Poi, uscendo, vediamo che il concerto sarebbe iniziato solo quaranta minuti dopo. Meglio per loro che riescono ad essere così tranquilli.
Poi, troppo presto, di nuovo in aeroporto. Certo, il rientro, tra stanchezza, ritardi e pensieri non è quasi mai bello. E ritrovarsi nell’inverno di Milano, sotto la stessa pioggia di qualche giorno prima, sapendo che non troppe ore di sonno dopo saremo di nuovo al lavoro, non è il massimo. Anche se almeno c’è il nuovo “Live From Mars” di Ben Harper da ascoltare senza parlare troppo.
Articolo del
27/03/2010 -
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