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Preceduta dal set acustico prevalentemente strumentale di Victor Herrero, giovane chitarrista spagnolo, torna ad esibirsi dal vivo a Roma, l’incantevole Josephine Foster, giovane donna al di fuori di ogni moda e senza tempo, polistrumentista, compositrice ed interprete che ha pubblicato sul finire dello scorso anno per la Fire Records Graphic As A Star, un album interamente dedicato alla figura di Emily Dickinson, nota poetessa americana dell’Ottocento, che ci ha lasciato poesie di grande intensità e un forte anelito verso il trascendente, verso l’estremo, anche per quanto riguarda l’esperienza religiosa. La Dickinson parlava con Dio e gli scriveva poesie, la Foster quelle poesie le ha trasformate in canzoni, scarni ed essenziali, ma con uguale forza sul piano lirico ed evocativo. Cresciuta in Colorado, ma da tempo ormai residente a Chicago, Josephine Foster entra in scena quasi scusandosi della sua stessa presenza.
Ci sono soltanto posti a sedere questa sera al Circolo, la situazione ideale per porsi all’ascolto di questa interprete che già a quindici anni cantava in chiesa durante le funzione religiose, tanto per i matrimoni quanto per i funerali. Josephine ha un incedere lento e a suo modo solenne, è vestita in modo antico, un abito semplice, lungo, che nasconde il suo corpo. Sembra essere proprio lei la reincarnazione della Emily Dickinson di cui canta le poesie. Imbraccia la chitarra, gli arpeggi acustici sono squisiti, dettano subito l’atmosfera, catturano l’ascolto, finchè comincia a cantare, e allora l’esperienza musicale diventa estasi, si trasforma in un qualcosa di mistico. Indelible Rainbows è fantastica così come She Sweeps With Many Colored Brooms, il primo brano tratto dall’ultimo disco. Nel suo canto c’è un po’ di tutto: il lirismo classico di una Shirley Collins, l’approccio folk per chitarra e armonica che fu di Bob Dylan e le tonalità della vecchia Tin Pan Alley, la culla della canzone U.S.A. dei primi del 900. Riconosciamo le note di A Thimble Full of Milk, poi ancora poesie di Emily Dickinson come I Could Bring You Jewels e Loaded Gun, rielaborate con note scarne ed essenziali, senza cambiare una virgola rispetto al testo originale. Josephine non vuole foto, sopporta un po’, poi chiede di smettere con queste “cose elettroniche”. Non parla molto, quasi mai, e quando succede è durante gli applausi che riceve al termine di ogni sua esecuzione. Alla fine neanche si riesce a capire quello che dice, parla essenzialmente a se stessa, ma non è arrogante, è solo molto timida, tutto il contrario di quanto ci si potrebbe aspettare da lei, un astro nascente dell’indie folk. Che ha gia sette album all’attivo. Non gradisce interviste, evita incontri, vuole solo far parlare le sue composizioni. Vuole abolire ogni separazione fra musica colta e musica giovanile, la cosiddetta musica pop. Stupenda I Love You, semplicemente ancestrale Only A Shrine, but Mine, tratta ancora una volta da Graphic As A Star. Dopo l’esecuzione di The Garden of Earthly Delights, un altro brano di ispirazione religiosa, questa volta appartenente a This Coming Gladness, album del 2008, la Foster sorride con grande delicatezza e si siede al pianoforte, volgendo le spalle al pubblico. Poco importa, riusciamo ugualmente ad intravedere il suo volto riflesso dal piano e ascoltiamo le sue interpretazioni di lieder e di arie classiche del romanticismo tedesco dell’800. A quanti fossero interessati a rintracciare l’album dove Josephine canta in tedesco, raccomandiamo l’acquisto di A Wolf In Sheep’s Clothing del 2006. Restiamo davvero impressionati, la Foster ha doti vocali fuori dall’ordinario, è cantante folk, sa fare del buon blues acustico, e si trasforma adesso in un eccellente soprano, che spazia lungo variazioni micro-tonali che partono dalla musica classica fino ad arrivare al minimalismo moderno. La musicalità della Foster ha un qualcosa di innato, di primitivo e al tempo stesso raggiunge momenti di complessità tipici della musica contemporanea. E’ difficile da catalogare, non vuole Lei essere catalogata, le sue sono folgorazioni improvvise, come le intuizioni della Dickinson. Figura austera, talvolta introversa, la Foster è poco incline verso le regole dello show biz.
Torna sul palco giusto il tempo per eseguire insieme a Victor Herrero Anda, una vecchia canzone tradizionale spagnola, e poi sparisce nel backstage lasciandoci un qualcosa di suo. Al cuore, alla mente, il compito di espanderlo e farlo parlare ancora.
(La fotografia di Josephine Foster al Circolo degli Artisti è di Giancarlo De Chirico)
Articolo del
01/04/2010 -
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