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Belle and Sebastian
Days Of The Bagnold Summer
2019
Matador Records
di
Enrico Pietra
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C’è un adolescente dai lunghi capelli e lo sguardo totalmente dissociato che affonda sotto il pelo dell’acqua della sua vasca da bagno. La madre non lo comprende e continua ad assillarlo mentre il suo disarmante tentativo di fuga si dipana coccolato dal più intimista pop possibile. Sono pochi secondi di un clip del primo luglio tratto da Days of the Bagnold Summer, esordio alla regia per il giovane attore britannico Simon Bird e trasposizione cinematografica del romanzo a fumetti del 2012 di Joff Winterhart, con il figlio di Nick Cave (Earl) nella parte del protagonista.
Impossibile fare a meno di andare con la memoria alla sequenza che vedeva Il Laureato, Dustin Hoffman, fuggire al garrulo chiacchiericcio del mondo scomparendo sotto l’acqua della piscina ammantato da sub. E mentre cinquant’anni fa Simon & Garfunkel suggellavano per sempre quella storia di incomunicabilità e brama di senso, oggi guarda caso sono gli scozzesi Belle And Sebastian con il loro raffinato chamber pop a musicare un soggetto che meglio non potrebbe confarglisi.
La pellicola, che uscirà nel 2020 e vede come co-protagonista Monica Dolan (già premio BAFTA nel 2012), narra del difficile rapporto madre-figlio tra un’apprensiva bibliotecaria separata e un teenager amante della musica metal totalmente incapace di relazionarsi col mondo. La band di Stuart Murdoch, qui al decimo capitolo della propria discografia e al secondo tentativo con le colonne sonore dopo l’inadeguato Storytelling, convince riappropriandosi delle radici e probabilmente dell’ispirazione dei giorni migliori.
Tredici brani, di cui due ripescaggi dei tempi che furono (Get Me Away From Here I’m Dying e I Know Where The Summer Goes) incisi ex novo, fanno di questo Days Of The Bagnold Summer uno dei capitoli più vividi della parabola artistica dell’ensemble di Glasgow che ricavò il nome dall’omonimo romanzo di Cécile Aubry.
I Belle and Sebastian risorgono dalle ceneri della non propriamente elettrizzante produzione recente puntando forte su ciò che gli riesce meglio: dipingere delicati acquarelli evocativi, istigare il sogno e le immagini conseguenti, condurre con grazia l’ascoltatore a spasso per un mondo immaginifico, finanche taumaturgico, agevolati anche dal procedere necessariamente visionario della scrittura per il grande schermo.
Certo i 42 minuti dell’album non percorrono lo stesso crinale qualitativo, qua e là si ha pure la sensazione del riempitivo, ma laddove l’intenzione è forte per l’ascoltatore è gaudio e libidine. La strumentale “Jill Pole”” è deliziosa nell’incedere raffinato, le inserzioni di tromba sordinata e mellotron di “This Letter” sono da maestri del pop, per non dire delle tessiture d’archi sapientemente disseminate senza mai compiacersi di barocchismi fini a sé stessi. Il finale “We Were Never Glorious” è un breve viaggio tra psichedelia e surrealismo tascabile e perfino il singolo “Sister Buddha” brilla per sorniona orecchiabilità ed energia bianca.
“Did The Day Go Just Like You Wanted” si domandano Stuart Murdoch e Sarah Martin cantando all’unisono, mentre altrove organo e pianoforte riecheggiano insieme. In fondo non è così difficile scrivere un buon album anche oggi se si posseggono gusto e competenza. Gusto e competenza? Hai detto niente
Articolo del
23/09/2019 -
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