Recensire un disco puramente strumentale non è un compito affatto semplice, ma al contempo è un lavoro che può regalare tante emozioni e interpretazioni assai differenti. Prendiamo Archetype dei Coma Berenices ad esempio, l’ultima fatica discografica pubblicata il 17 aprile da La Lumaca Dischi e firmata dal duo musicale formato da Antonella Bianco e Daniela Capalbo, divenuto poi trio con l’ingresso di Andrea De Fazio (Nu Guinea e Fitness Forever).
Il secondo disco del gruppo campano è giunto a noi a quattro anni dall’album d’esordio Delight, con Archetype che accoglie al suo interno quella tipica fermentazione derivata dalle esperienze maturate sulla propria pelle, fatta di scambi di idee, condivisioni di emozioni e palchi con chi parla (e suona) la medesima lingua, assimilate poi in questo nuovo LP dei Coma Berenices.
Nei ventidue minuti (e venti secondi) che compongono Archetype, le sei tracce strumentali mettono in primo piano le composizioni musicale partorite dalle chitarre dell’accoppiata Capalbo-Bianco e le percussioni di De Fazio. Verba volant, musica manent, verrebbe piuttosto da dire. Appurata l’assenza di qualsivoglia parvenza vocale ci si immerge dunque in un sogno sonoro che si apre con “Archè”, una title track troncata nel nome ma non nella sua essenza, laddove la preziosa collaborazione del clarinettista di Gabriele Cernagora addolcisce le mirabolanti chitarre del duo femminile, sorrette dall’energica batteria di Andrea De Fazio.
In “Silent Days” gli ascoltatori vengono cullati ed educati alla speranza attraverso quello che appare ormai un consolidato patto musicale tra i principali protagonisti di questo espressivo viaggio sonoro. Pur dividendosi in una prima e seconda parte di differente durata, le due anime di “Keep your Feet on the Stars” formano insieme un mix bilanciato e perfettamente coeso tra chitarre e percussioni, dove ogni tanto s’affacciano leggiadri sprazzi di clarinetto.
Archetype, così come il precedentemente disco che ho recensito (Qui i grattacieli erano meravigliosi di Cabeki), fa dell’astinenza al proferir parola proprio il suo punto di forza e di rottura con la stantia scena musicale italica. Ma vi dirò di più, c’è una certa assonanza sonora dal punto di vista dell’ideologia musicale, con tappeti acustici talvolta mutevoli, come nel caso di “À L’Improviste”.
Sì, perché le atmosfere sognanti (e segnanti) non seguono mai un pattern musicale definito, e in questo i Coma Berenices sorprendono per una varietà sonora inoppugnabile. In chiusura troviamo la stilosa “Riyad” che rapisce con i suoi ritmi ipnotici fuoriusciti da un’altra, meravigliosa epoca passata, riportata in auge con eleganza e sano anticonformismo musicale.
Come un libro cosparso di immagini astratte ma prive di qualsivoglia testo e didascalie, per assimilare l’operato dei Coma Berenices bisogna lavorare di fantasia e abbandonarsi totalmente alla propria sfera emozionale. Applicato questo concetto in chiave musicale, Archetype diventa così un album da sfogliare con l’immaginazione durante questa sensoriale traversata cosmica, dove a risplendere in queste depurate notti primaverili è lei, la scintillante Chioma di Berenice
Articolo del
07/05/2020 -
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