C’è stato un tempo in cui un critico musicale veniva ascoltato e letto con cognizione di causa e con una soglia d’attenzione ben più alta di quella odierna.
Giustamente, in assenza di musica liquida, era quello di cui ti stavi fidando per investire i tuoi soldi, non esattamente robetta.
Per cui l’unico contraddittorio che un critico poteva avere, oltre a qualche collega, era quello del disco in sé e per sé. Ma parlare bene di dischi mediocri era come fare harakiri: se il lettore si accorgeva che avevi cannato una recensione, avrebbe, molto candidamente, smesso di leggerti.
Adesso il contraddittorio ci arriva dai profili Facebook di fan invasati di questo o quell’artista.
Ed è un contraddittorio che si limita ad essere qualcosa tipo “Eh, ma siete dei critici, dovreste essere oggettivi”.
Ecco, posto il fatto che no, non dobbiamo essere noi oggettivi, quanto, piuttosto il nostro pezzo, che deve essere perlomeno onesto e motivato nell’analisi, questo discorso regge fino ad un certo punto.
Perché, come è normale, ognuno di noi ha una sua formazione di provenienza.
Io vengo dalla canzone d’autore e dal punk rock alternativo, ed è altrettanto chiaro che quei linguaggi, per me, siano più comprensibili di quelli di certo pop o di certa trap, parlo non solo di linguaggi musicali, ma anche e soprattutto di linguaggi letterari.
Il linguaggio è il punto focale di questo discorso: un bravo critico cerca di comprendere tutti i linguaggi o, quantomeno, li ascolta per poterne parlare.
Anche perché poi, magari, becca anche qualche linguaggio interessante e ci rimane sopra.
Nonostante provenienze diverse dalla sua sfera di ascolti abituale.
Il punto è che bisognerebbe essere come astronauti in un mondo di alieni. Astronauti che però, per loro fortuna, hanno un traduttore multilingue a portata di mano e che quindi, pur incontrando linguaggi diversi dai loro, ci sguazzerebbero comunque, anche perché la musica è come un concetto, che poi tu lo esprima in greco antico o nel dialetto swahili, poco cambia, il concetto rimane.
Poi un altro grande problema è il costante passatismo del guardare la musica attuale con le orecchie dell’ascoltatore di ieri.
Per superare questo problema- fra i più scoraggianti, per quanto mi riguarda- basterebbe sentire il monologo di Stefano Accorsi, aka Ivan Benassi, in “Radiofreccia”, la parte in cui dice che crede che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà più, ma che non è detto che non ce ne saranno altre più belle.
Ora, a parte avermi fatto parlare dell’Inter, e questo non ve lo perdonerò mai, il punto è evidente: è chiaro che non ci sarà un altro “La voce del padrone” o un altro “Anime Salve” o un altro “La pianta del thè”.
E per fortuna, fra l’altro! Sono vette talmente alte che devono rimanere tali.
Ma è altrettanto chiaro che ci sono una infinità di dischi stupendi in modo diverso, di album che meritano tutti gli ascolti possibili ed il maggior numero di parole spese perché rimangono comunque ottima musica, costruita bene e con qualcosa da dire, mica cazzi!
Qui entriamo in gioco noi che stiamo a scrivere, forse nell’unico momento in cui serviamo a qualcosa, vale a dire proporre dischi del panorama attuale che abbiano qualcosa da raccontare e che, soprattutto, riescano a farlo con dei linguaggi, si torna al punto di partenza, abbastanza credibili ed interessanti.
C’è un altro elemento molto interessante che bisogna affrontare in questo caso: l’atavica questione fra “musica d’autore” e “musica d’autrice”.
Non ho mai fatto della musica e del parlare attorno ad essa una questione di genere, però- anche solo dalle proporzioni delle proposte che arrivano- è evidente che un certo gap ci sia.
Il fatto di parlare di “musica d’autrice” (strettamente collegata, appunto, alla musica d’autore, che- al netto dei vari e diversi linguaggi musicali- è un vero e proprio genere anche letterario, si licet), espressione che non mi fa impazzire, lo accetto e lo faccio mio come provocazione: c’è un universo intero fatto di cantautrici bravissime e con migliaia di cose da dire e di storie da raccontare.
Se, per sottolinearlo, serve ricorrere ad una espressione inutile nella forma e nel contenuto tanto quanto le poco meritocratiche quote rosa- se sai raccontare una storia in modo interessante lo sai fare e basta, puoi anche essere rettiliano/a- beh… non lesinerò sull’utilizzarla.
Anche perché più verrà sdoganata e minore sarà il bisogno temporale di utilizzarla, una volta sdoganato anche il concetto.
Proprio per questo, oggi parliamo un po’ di musica d’autrice, facendolo, come anticipato sopra, raccontando di due album.
In totale non sono nemmeno tre quarti d’ora di musica ma, c’è un tale carico di classe che ci si potrebbe fare un doppio album di Tommaso Paradiso ed averne ancora in rimanenza. E poi, cito Battiato quando gli fecero notare che “La voce del padrone” durava mezz’ora scarsa, “Quindi? Si vende al chilo, la musica?”.
Ad ogni modo, i due album in questione sono “Piano b”, ep di Cristallo, ed “Esistere”, primo lavoro di Serena Diodati.
E cominciamo proprio da Cristallo e dal suo ep d’esordio. Una manciata di brani, cinque per la precisione, che fanno da assaggio ad un album in arrivo, la cui uscita è stata bloccata dal gran bordello che ci portiamo appresso da ormai un anno.
Cinque canzoni che, tuttavia, fanno notare in modo inequivocabile quanta qualità ci sia nella scrittura di Francesca, in bilico fra belle suggestioni letterarie ed un tappeto elettrico molto interessante.
E proprio un bel tappeto elettronico apre “Dei due”, pezzo mosso ulteriormente da una linea di basso avvolgente e profonda e da un bel riff di chitarra in odor di funky, su un testo che è quasi un aut-aut e che ha nell’apertura del ritornello una perfetta aderenza musico- letteraria, con una rete di synth a scandire quell’ “Eppure non mi accontento/ deisdero tutto quanto/ desidero tutto ciò che non ho avuto mai”.
Un’altra linea di basso intrisa di groove introduce “Casa di vetro”, brano che trova la sua perfetta quadratura su una interessante base di synth e di elettronica. Interessantissimo ancheil bridge, a tratti disturbante e cupo. “Dalla mia finestra vedo / le strade che possono portarmi lontanissimo / coi miei cani neri le percorro tutte col pensiero / e posso immaginare dove arrivano”.
Altre suggestioni elettroniche cupamente interessanti aprono “Cosa c’è”, la solita linea di basso fotonica e caleidoscopica ed un gradevole solo di chitarra elettrica completano l’opera, trasportando il pezzo su un interessante e riuscita via di mezzo fra l’elettronica e e certe sonorità vagamente in odor di soul. Degno di nota il testo, “Resto qui da sola a riflettere / come vetro trasparente” è una similitudine ardita ma che non lascia indifferenti.
Penultimo pezzo di questo ep è “Falena”, canzone aperta da un bel riff di chitarra e completata da un gran bel pattern elettronico sotto, che si sposa alla perfezione col tappeto di synth su cui poggia il pezzo. “Io non chiedo enssun altro colpo di scena, io la notte torno ad essere una falena”.
“Cuore nero” parte con una linea di basso incessante, alla Alice Merton di “No roots”, che sostiene il pezzo. Gli squarci di elettronica e synth che colorano ulteriormente il pezzo ed un pattern ritmico che si inserisce alla perfezione sul basso rendono il pezzo un piccolo vademecum per un utilizzo intelligente ed interessante dell’elettronica.
Arriviamo, dunque, all’altro bell’esordio, quello, come detto, di Serena Diodati, che col suo “Esistere” tira fuori una splendida prova di eleganza e raffinatezza musicale, montata alla perfezione su un mondo poetico denso di immagini interessanti e di trovate letterarie notevoli.
Lavoro che si apre con “Dislessico”: a sostenerlo troviamo una chitarra acustica che sorregge la ritmica e che si staglia su un sottofondo molto rarefatto di elettronica, con dei piccoli contrappunti di piano a dare colore. “Là fuori c’è un mondo fantastico, ho un pensiero della vita dislessico e tu dammi una sola ragione per lasciare questa mia dolce prigione”.
Una chitarra elettrica sostiene anche “Noie”, pezzo a tinte fosche la cui atmosfera è ben accentuata dal leggero e confuso sfumato delle percussioni di sottofondo e dagli inserimenti di synth e piano. La bellezza delle parole nella forma- canzone sta, soprattutto, nella loro capacità di essere evocative e di creare mondi, e “Cammino tra il ballo/ con le scarpe slacciate/ una sera per giacca/ una bestemmia per bocca” sono versi ad alto contenuto fotografico.
Degno di nota è l’arpeggio che apre “Corro”, bella citazione all’arpeggio “al contrario” di “Le acciughe fanno il pallone”, che poggia su un tappeto elettronico, riuscendo a creare un bel vestito sonoro che fa da ponte fra due emisferi timbrici. Notevole, soprattutto nelle strofe, anche la metrica del pezzo, secca e quasi spigolosa, che incontra alla perfezione una bella prova interpretativa.
Quarta traccia è “Esistere”, title track del lavoro. Un pezzo raffinato nel suo essere quasi incessante, con un arpeggio di chitarra acustica a sorreggerlo ed un violoncello a dare colore e profondità. Molto belli gli accenti di graffiato sulla voce, perfettamente in tiro con un testo denso ed evocativo, da cui escono versi affilati come “Ho visto la morte due volte/ giocava a fare la madre/ l’ho vista seduta al mio fianco, parlava/ che strano, di vita”.
Altra traccia è “Custodisci”, brano in cui spicca un elegantissimo intreccio fra chitarra e violoncello, in bilico e quasi incerto, in perfetta aderenza alle atmosfere del testo: “Orfana di rabbia/ io cerco un’alleanza/ orfana di senso/ lo affido al vento e canto”.
“Sospesa” è un pezzo bifronte: tanto è solido il crescendo dell’impianto musicale, che poggia su una chitarra acustica dai sapori quasi mediterranei ed un tappeto di percussioni con delle spruzzate di synth, quanto è davvero sospeso ed in equilibrio instabile ma, al contempo, quasi titanista il testo.
A chiudere il lavoro è “Smetterà”, altro bell’esempio di duttilità stilistica, un brano che poggia su un delicato arpeggio di chitarra, che esplode lungo il crescendo ritmico del pezzo, sottolineato anche dagli squarci di elettronica che fanno da tappeto. Il crescendo musicale coincide perfettamente con l’esplosione del testo, un inno a vivere il presente, “Come una marea il silenzio è mistero/ come una magia ha il colore dell’oro/ come una poesia il passato è un vestito/ come una magia si trasforma/ smetterà questo ritorno”.
Credo che le conclusioni siano evidenti: ci troviamo di fronte a due lavori che meritano tutti gli ascolti possibili, parlo senza giri di parole almeno per una volta in quasi ventitrè anni.
Due lavori pieni di sfaccettature musicali da scoprire, e che hanno alla base idee chiare ed una scrittura più che solida.
Viviamo tempi burrascosi, e rimettere al centro la bellezza, con tutti i suoi distillati, è una delle poche cose che ci salverà.
Due di questi distillati ce li abbiamo a portata di cuffia, ascoltarli è un “Piano b” per riuscire ad “Esistere”.
Articolo del
29/03/2021 -
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