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Echoes
Un viaggio dentro l’ES, dentro noi stessi
di
Domenico Capitani
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C’è un abisso in “Io”, l’ultimo album degli Echoes pubblicato da I Dischi del Minollo. Un abisso che non è solo sonoro, ma esistenziale. Questo disco è un’opera che si muove tra il doom e il post-rock, un viaggio in cui il dialogo dalle visioni cavernose dialoga con il linguaggio quasi poetico, malinconico, dove ogni traccia sembra affondare le radici in un terreno saturo di desolazione e introspezione. Eppure, come un raggio di luce che filtra da una crepa, si intravedono aperture in maggiore, momenti di fragile speranza che spezzano il buio con una dolcezza e qualche leggerissima visione pop. Gli Echoes — con Gianni Franchi e Andrea Beccaccioli a plasmare il cuore sonoro, e Giovanni Mavuli che porta una nuova dettami alla sezione di drumming — costruiscono un paesaggio sonoro che sembra respirare, alternando droni che si espandono come onde lente (mare in quieto ma mai in tempesta) e sintetizzatori che pulsano una vita che sa di artificiale e artificioso. Uno stile in bilico tra l’epico e l’intimo, fusione dei due fronti, composizioni che raccontano il lento sgretolarsi della civiltà contemporanea e l’isolamento dell’uomo moderno. Composizioni strumentali di un viaggio interiore che esplora la perdita — non solo di persone o beni, ma anche di certezze e identità. La musica si fa cruda e viscerale, con ritmi mai troppo martellanti e severi a corredo di distorsioni e istanti di quiete sospesa, come a sottolineare che persino nel caos può esserci bellezza. L’andamento shoegaze sembra una costante dentro questo mondo dispotico.
Eppure, la vera forza di “Io” non è solo nella sua densità emotiva, ma nella capacità di aprire uno spazio di riflessione. Ogni ascolto è un invito a confrontarsi con il proprio io interiore, a mettere in discussione ciò che si possiede, ciò che si è, e ciò che si desidera essere.
«L’idea di creare un concept album incentrato sull'uomo , ha preso piede solo dopo la stesura del Nomade. All'inzio avevamo la volontà di sviluppare canzoni che potessero incorporare allo stesso tempo elettronica e post-rock/sludge. Ci concetravamo soprattutto sulle dinamiche e sul poter creare qualcosa di particolare ma con il Nomade ha iniziato a prendere piede l'idea di costruire una storia o meglio un libro sotto forma musicale dove i vari capitoli descrivessero l'evoluzione ed involuzione dell'essere umano nell'attuale società. I brani Astio e L'Orco infatti hanno avuto una stesura più pensata a come i suoni potessero realizzare l'idea dei titoli. Ad integrazione del concept è nata l'esigenza di costruire dei video che enfatizzassero i titoli ed il concetto dell' album “Io”». Echoes
Articolo del
10/12/2024 -
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