Non capita spesso che la linea che separa il pubblico dagli artisti in scena vada in frantumi, si spezzi, in un arco relativamente breve quale quello di un balletto di danza contemporanea. Ci riesce Fear Party, uno spettacolo realizzato e diretto da Enzo Cosimi, interpretato da due straordinari ballerini che rispondo ai nomi di Paola Lattanzi e di Pablo Tapia Leyton, originario del Cile. L’esibizione di stasera fa parte di una trilogia in cui Enzo Cosimi esplora le passioni dell’anima. Questa sera va in scena la paura, che viene raccontata con verità estrema dai corpi martoriati e dalle espressioni sofferte dei due danzatori, che fanno proprie le angosce esistenziali, l’incertezza e il dolore di una umanità che disperatamente combatte contro se stessa. Atmosfere oscure infarcite da rumori di fondo e da un fumo denso che quasi nasconde gli interpreti: questo lo scenario pensato da Enzo Cosimi che si avvale dell’apporto delle musiche inquietanti realizzate da Chris Watson. Frammenti di realtà e ricordi di storia recente si sovrappongono all’incedere disperato ma al tempo stesso epico dei due ballerini sul palco: la voce di Salvador Allende - poco prima di soccombere al golpe di cui rimase vittima nel Settembre del 1973 - risuona in sala. E’ il solo momento parlato, è l’unico testo fisico riconoscibile: il resto sono gemiti e grida che filtrano dal microfono che passa continuamente di mano fra i due ballerini, che si cercano, si rincorrono, si toccano, si stringono per tutta la durata dello spettacolo. E’ il loro corpo che parla, non c’è bisogno di discorsi. Quel continuo avvinghiarsi di Paola e di Pablo contiene tutto quello che c’è da capire: c’è angoscia, c’è sesso, c’è desiderio di protezione, ricerca di rifugio sicuro, al caldo, sebbene dentro le pulsioni frenetiche del vivere quotidiano, della nostra dimensione sociale. I due protagonisti cercano rifugio infilando la testa in un secchio, indossano i guanti, quasi a non volersi far contaminare dalla realtà che li circonda e un piccone è il solo strumento di difesa. Soltanto nel finale il rumore assordante di una locomotiva sembra spezzare l’assedio: è il segno di una ideale via di fuga, è il richiamo al viaggio, a una vita diversa, sogno forse impossibile per una umanità ormai stremata, priva di forze. Poi, come d’incanto, sulle note di “Where Are We Now” di David Bowie, spuntano fuori due binari e vengono messi in funzione due trenini, ricordo di un sorriso, di un gioco di infanzia, unico momento di felicità, nonché inatteso segnale di speranza.
Articolo del
11/07/2016 -
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