Una faida tra due famiglie camorriste napoletane, i Ricci e i Di Salvo; i loro figli, che si ritrovano ad ereditare un odio che non comprendono fino in fondo. E che soprattutto si ritrovano a condividere uno stesso spazio forzato, quello del carcere minorile di Nisida dove sono reclusi. Intorno a loro un mosaico di coetanei ai quali la vita ha riservato un destino segnato, che ha già presentato un conto altissimo. Fuori, dietro le sbarre e sotto il cielo, il mare. Un orizzonte infinito, che fa sognare, che fa sperare la ricostruzione di vite ancora recuperabili, se al carcere si riesce a dare una funzione rieducativa e non solo punitiva. Ed è questo che prova a fare Beppe, l’educatore sociale, convinto che creare una relazione tra ragazzi così diversi, spesso nemici, sospesi in un limbo dove ti hanno già rubato l’adolescenza ma dove la maturità puoi ancora provare a costruirla su un binario diverso, sia la strada giusta da percorrere. Così propone alla direttrice di organizzare uno spettacolo teatrale, immaginando di allestire i Promessi sposi. Una storia che si addice alla realtà di quel carcere, dove pian piano e tra mille difficoltà, l’amore penetra e avvolge gli eredi delle due famiglie nemiche, Rosa Ricci e Carmine Di Salvo. Un amore ostacolato dal boss della famiglia Ricci, ossessionato dal desiderio di vendetta per la morte del figlio ad opera di Carmine, che farà di tutto per impedire a quell’amore di realizzarsi. Sull’onda del grande successo delle quattro serie televisive già andate in onda (ne uscirà di sicuro una quinta), partite in realtà sulla Rai con un iniziale coinvolgimento di un pubblico quasi esclusivamente giovanile ed esplosa poi su Netflix con un pubblico più trasversale, il musical tornato per quattro serate al Brancaccio di Roma tende a sintetizzare la storia in tre ore di spettacolo. Che, nonostante qualche caratterizzazione evitabile che rischia di appesantire il racconto, funziona. La narrazione ha il giusto equilibrio tra il ballato, il cantato e il recitato; la trama è senza dubbio coinvolgente, anche e soprattutto per chi, come me, non ha visto le serie tv. I ragazzi protagonisti sono bravi nelle parti recitate, bravi nelle parti cantate, bravissimi nelle parti ballate, dove con estrema naturalezza incarnano corpi che esprimono passione, violenza, disagio, dolore, il tutto in maniera credibile. La scenografia è basata prevalentemente sui Ledwall (proiezioni di immagine sullo sfondo del palcoscenico), che risultano efficaci dando la sensazione di continuo movimento nonostante la storia si svolga all’interno di un carcere. Ed anzi è proprio da questa scelta tecnica che emerge forte e chiaro il messaggio principale dell’opera: dentro delle mura, dietro delle sbarre, all’interno di prigioni che sottraggono la libertà ai corpi, si può sempre coltivare la speranza che nessun muro, nessuna sbarra e nessuna cella possa impedire agli uomini di sognare la libertà.
Articolo del
04/02/2025 -
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