Probabilmente la fortuna più grande per Edward Hopper, al di là dei risaputi meriti artistici, è stata che a un certo punto hanno inventato il cinema e i suoi lavori ispirato registi del calibro di Alfred Hitchcock, Michelangelo Antonioni, Dario Argento, Wim Wenders, Todd Haynes e David Lynch. Si spiega così perchè oggi è un'icona popolare conosciuta ed amata ad ogni latitudine e le stampe dei suoi quadri campeggiano nei salotti di mezzo mondo.
Ma le opere maggiormente legate al cinema, nella retrospettiva sul grande artista americano che si tiene al Complesso del Vittoriano di Roma (Ala Brasini) fino al 12 febbraio, paradossalmente mancano. E' presente solo una sezione filmata in cui la correlazione tra la sua arte e il mondo della celluloide è spiegata in modo peraltro abbastanza esauriente.
C'è tutto il resto, però. Dai lavori durante i suoi soggiorni parigini agli inizi del secolo scorso, dov'è chiara l'influenza degli impressionisti francesi, da Degas a Manet, a quelli newyorchesi seguendo la scia di uno stile che si svilupperà nel corso degli anni.
Ed è stato proprio il Whitney Museum di New York, città dove si stabilì definitivamente dal 1913, a prestare eccezionalmente i 60 capolavori che compongono la mostra. Opere realizzate tra il 1902 e il 1960 che vanno da Le Bistrot or The Wine Shop a Second Story Sunlight passando per Summer Interior, New York Interior e South Carolina Morning. Sei sezioni composte da ritratti e paesaggi, disegni preparatori, incisioni e olii, acquerelli e immancabili immagini di donne.
Ma è l'America il vero soggetto di Hopper. Svelata apertamente o appena suggerita, l'ha dipinta cogliendone l'essenza più profonda. Un racconto delle radici in chiave moderna. A ricorrere nei suoi lavori sono spesso paesaggi bucolici, strade desolate, ponti semisconosciuti, pompe di benzina sperdute nel nulla, casette di campagna o in riva al mare. Il suo è uno sguardo rivolto verso quella provincia americana lontana e dimenticata. Ma anche le scene urbane si concentrano spesso sui bassifondi, il più delle volte rappresentati di notte: strade buie, sale di cinema, bar malfamati prossimi alla chiusura, tavole calde semideserte.
Hopper è stato un outsider della tela e l'immaginario da lui espresso fu fatto proprio non solo dalla letteratura e dal cinema ma anche dalla fotografia, dalla musica, dalla pubblicità, dai fumetti. Hopper è in moltissimo di ciò che vediamo e sappiamo, perchè il mito americano che da settant'anni permea le nostre vite si è nutrito della linfa dei suoi colori. A posteriori, è stato forse il vero anticipatore della pop art. Tanto che nel 1956 finì pure sulla copertina del Time.
Ma forse possiamo chiamarlo anche pittore beat, perchè come Borroughs e Kerouac cercava in pittura quello che loro cercavano nella pagina scritta: liberazione, nuove strade, speranza e movimento. Un road painter ? Forse. Anche perchè spesso furono proprio i suoi viaggi ad ispirarlo, come quelli a Gloucester (Massachussets), nel Maine, a Truro (Cornovaglia), per lui nato e cresciuto a Nyack, piccola cittadina a una ventina di miglia da NY. Viaggi che ci hanno regalato opere che evocano storie pur immortalando singoli e fuggevoli attimi, come fossero scatti fotografici. Nei suoi quadri le azioni dei personaggi sono appena suggerite ma si capiscono subito da una semplice posa o da uno sguardo. Il capoufficio che, seduto alla scrivania, si scambia un'occhiata fugace con la segretaria in Office At Night - nell'esposizione romana ne è in mostra un bozzetto preparatorio - apre un mondo e prefigura quello che avverrà tra poco, su quella scrivania. Ipotesi avvalorata anche dall'ambiguità, voluta, del titolo dell'opera. Anche la rappresentazione di certi interni d'appartamento, spesso intravisti dietro le finestre, solleticano quella passione voyeuristica tipica della società contemporanea. Hopper “parlava” attraveso le sue tele e il suo taglio cinematico nel raccontare i soggetti più comuni si è fatto cifra stilistica immediatamente riconoscibile. Tanto che il suo nome è diventato un aggettivo: hopperiano, parola che rende l'idea meglio di qualsiasi spiegazione. E la cosa è appannaggio solo di chi è leggenda.
Articolo del
17/12/2016 -
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