Londra. Sono le 9:45 del mattino e un gruppo di persone (tra cui la sottoscritta) attende l’apertura del Victoria and Albert Museum per assistere alla mostra The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains. Più che l’attesa per vedere un museo, sembra quella per entrare nell’area di un concerto. Siamo tutti frenetici ed eccitati, abbiamo il sorrisone curioso stampato in faccia. Dopo aver letto i numerosi commenti positivi su internet, abbiamo tutti delle grandi aspettative. La mostra è aperta da metà maggio e potrà essere visitata fino all’1 ottobre.
Per noi attendenti l’ora X arriva e le hostess del museo (con scarpe eleganti tre volte più grandi dei loro piedi) ci porgono delle cuffie per lasciarci intraprendere il viaggio in un mondo fatto di suoni, parole e immagini. L’idea è grandiosa: siamo in tantissimi dentro le sale, assorti, ci guardiamo tra di noi, ma nessuno parla, perché siamo immersi nel fantascientifico “fluido rosa”.
All’inizio, il senso colpito di più è la vista: sul muro della prima sala alcuni diagrammi ad albero mostrano la storia della formazione, le date fondamentali e i fatti salienti. Colpiscono molto le lettere e le foto di quando il nome Pink Floyd non era ancora uscito dalle labbra di Syd Barrett, il periodo in cui un gruppo di studenti dell'Istituto di Architettura londinese aveva fondato una band chiamata Tea Set. Gli studenti in questione erano Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright e Bob Klose. Dall’altra parte della sala alcune illustrazioni di Aubrey Beardsley mostrano l’influenza che l’autore e artista inglese ha avuto negli anni Sessanta sulla musica underground made in London.
Proseguendo nel cammino l’esperienza sensoriale diventa sempre più magica: passano in rassegna davanti ai nostri occhi pezzi d’interviste inedite poi una sala dedicata interamente a Syd Barrett e al ruolo cruciale che ha avuto per il successo del gruppo. Scappano le lacrime quando Roger Waters afferma:«Se lui non ci fosse stato, non avremmo mai fatto questa musica, probabilmente avremmo continuato a suonare blues».
Arriva il momento di Nick Mason, di David Gilmour e di Live at Pompeii. Nell’ala dedicata, in vetrina possiamo osservare i pezzi di batteria, le chitarre originali, le bacchette che volano via dalle mani di Nick in One of These Days. Un video divertente, risalente al periodo di Pompei, mostra la band intenta a ingozzarsi di cozze (Gilmour pareva molto soddisfatto!). Oltre ai momenti culturali, troviamo anche intermezzi ludici. Ad esempio, una delle sale è completamente buia e ha un’installazione luminosa in cui il triangolo di The Dark Side of The Moon ruota insieme alle luci colorate che lo circondano. I bambini restano estasiati e anche noi adulti. Un altro momento ricreativo è quello in cui i visitatori possono usare dei sintetizzatori per produrre la propria versione del brano Money.
Un occhio di riguardo va anche alla tecnologia, a quello che ha rappresentato per la creazione del sound caratteristico dei Pink Floyd. L’architettura del suono e delle immagini che non ha mai abbandonato la personalità degli artisti. Arriva poi una ricca esposizione delle pianole di Richard Wright, del suo modo di comporre e degli effetti utilizzati.
Nelle ultime sale sono presenti delle spettacolari riproduzioni degli stage di alcuni tour come ad esempio quelle di The Wall e di The Division Bell. Per quel che riguarda , ad esempio, troviamo quel che resta del palloncino gigante a forma di maiale che fu fatto volare sulla Battersea Power Station di Londra e che all’epoca spaventò le mucche di alcuni allevatori nelle aree limitrofe. Si arriva poi alla storia di The Endless River e all’ultima sala in cui comodamente seduti su una moquette, i visitatori ammirano attraverso quattro maxischermi posti sulle pareti alcuni video live
Articolo del
22/10/2017 -
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