Un colloquio di lavoro in una grande azienda; sei personaggi in cerca della loro collocazione professionale. Risorse umane altamente qualificate, dai curricula corredati da lauree e master appetibili in un ipotetico mondo del lavoro che privilegi il merito. Ingegneri, filosofi, matematici, economisti. E, naturalmente, non manca il figlio di, quello dal cognome altisonante che getta subito tra i candidati l’ombra del sospetto della raccomandazione. Percorsi universitari e forma mentis molto diversi, ma che portano tutti nello stesso luogo: quella stanza nuova, asettica, dove è ancora vivo l’odore della vernice e dove attorno al tavolo al quale si siederanno per il colloquio emergeranno, in fase di presentazione, tracce di storie personali che in realtà non interessano allo psicologo che conduce il colloquio. Perché ciò che interessa l’azienda è la capacità dei candidati di competere, risolvere, raggiungere obiettivi, anche e soprattutto se a discapito degli altri. Ha inizio quindi la battaglia feroce, la formalità estrema nei confronti dello psicologo che rappresenta l’azienda, delle risate forzate e false di fronte alle battute banali dell’amministratore delegato. Fallire nel colloquio sarebbe deprimente, avrebbe conseguenze nell’autostima personale anche e soprattutto nella vita quotidiana. Cosi ognuno dei candidati prova ad esprimere quelle che ritiene le proprie caratteristiche migliori. Ma ovviamente quelle caratteristiche si scontrano con quelle degli altri, dando vita ad una lotta fratricida che anticipa le dinamiche del mondo del lavoro che si troveranno ad affrontare una volta assunti. Poi, tutto prende una piega inaspettata: dietro la formalità dell’azienda si celano rapporti perversi tra lo psicologo e l’amministratore; si nascondono oscure frustrazioni sessuali che sgretolano l’immagine dell’azienda dal volto umano, trasparente. E tutto diventa caos, lotta dura, colpi bassi, tutti contro tutti: e da quel caos, proprio come nella vita, qualcuno vincerà ed avrà l’ambito contratto, e qualcuno sarà sconfitto.Le dinamiche aziendali, la perdita del senso di comunità, il trionfo dell’individualismo, la lotta senza scrupoli per il raggiungimento di obiettivi personali; tematiche sociali sempre più drammatiche, un capitalismo carnivoro che divora senza scrupoli un umanità sempre più fragile. L’uomo che tenta di difendersi dal mostro rinchiudendosi in un individualismo dove ilnessuno si salva da solo è puro slogan utopico. Fortuna che tutto questo lo si può raccontare in forma ironica, e la commedia Il colloquio ci riesce bene. Evidenziando il dramma, del singolo come della comunità ferita, con il paradosso, la forzatura scenica, la caratterizzazione dei personaggi che, in quella lotta per la sopravvivenza, sono in grado di strappare risate per la loro grottesca somiglianza ad ognuno di noi. Poi, ovviamente, quando si chiude il sipario, ritraiamo quelle risate che diventano malinconia. E ci portiamo a casa qualche amara riflessione sul mondo attuale, su ciò che siamo diventati, su dove stiamo andando e su dove dovremmo evitare di andare.
Questo è uno dei nobili compiti dell’arte del teatro. E Il colloquio svolge bene questo compito!
Articolo del
22/09/2022 -
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