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Jazz, swing, blues, musica popolare, poesia, teatro, un po’ di Paolo Conte e di Gaber, ma rispetto a questi due il sarcasmo toscano che deriva loro dal fatto di esser nati all’ombra della Torre di Pisa: sono i Gatti Mèzzi, duo formato da Tommaso Novi e Francesco Bottai, orgogliosamente pisani e adorati a Livorno dove, nel 2007, si sono aggiudicati il Premio Ciampi, dedicato appunto al cantautore livornese.
Li abbiamo incontrati prima di un loro concerto al porto turistico Cala de’Medici di Rosignano Solvay, dove, di fronte ad una sala gremita, hanno dimostrato che in Italia si può far musica d’autore accessibile a tutti, ovviamente in vernacolo pisano.
Partiamo dal titolo del vostro ultimo album, “Struscioni”: significato del termine e il perché della scelta.
Francesco: Gli struscioni sono i balli lisci, in cui ci si tocca, ci si “sente”, ma il termine è metafora anche dell’antidinamismo, noi consideriamo il fatto che l’antidinamismo ci possa essere, è giusto pensare che prima si viveva senza cellulare, internet, e si andava avanti lo stesso.. magari con la socialità forzata dal bisogno, dalla necessità degli altri.
Tommaso: Poi dal punto di vista dei testi e della musica rispetto ai primi due album s’ è voluto fare una cosa più morbida, più calma, anche come tempistica... è diventato quindi un approccio da proporre alla gente... la lentezza come stile.
F: Ma non è che si dice che prima si stava meglio di ora, sia chiaro: il concetto del “si stava meglio quando si stava peggio” ci sembra una gran idiozia, la mia nonna è nata nel '18, ha preso tutta la seconda guerra mondiale, il fascismo... come si fa a dire che si stava meglio prima?
T: Forse non aveva l'artrosi, e stava meglio per quello.
F: Sarebbe miope considerare i tempi attuali solo come corrotti.
Com’è stato il passaggio dall’ autoproduzione dei primi due album alla produzione dell’ultimo con Mirco Mencacci?
T: Devo dire che non ci ha vincolato così tanto, noi ragioniamo a due teste più l’aiuto di due amici che co noi suonano contrabbasso e batteria, a volte eravamo noi a sentire la necessità che Mencacci intervenisse, perchè ci arenavamo su alcune scelte... e forse per intelligenza lui preferiva non intervenire. Dal punto di vista del “confezionamento” noi volevamo restare legati all’approccio legato alla presa diretta, lui invece è un fonico del cinema, il suo stile è totalmente diverso.
F: Io da chitarrista ero sommerso dai microfoni... è stato un cambiamento che io ho sofferto più di Tommaso, io ho un approccio un po’ più naturale alla cosa, questo tipo di professionalità più che suonare ti costringe a concentrarti sul non sbagliare, che è diverso.
T: Ma è stato un salto necessario, che doveva succedere.
F: Sicuramente, abbiamo smussato alcune incomprensioni e divergenze, ora si inizia a essere una squadra che spinge verso una direzione comune.
T: In sintesi, un cambiamento traumatico, anche in positivo... ci sono stati momenti anche triviali, una lentezza a cui non siamo abituati.
F: Sono meccanismi che vanno oliati, capisci, non può tornare tutto subito come uno vorrebbe... e più persone ci sono più opinioni ci sono da mettere d accordo.
Il fatto di esser nati a Pisa, aldilà dell’aspetto linguistico, quanto influisce nel vostro fare musica e quanto cambierebbe se foste nati in altri posti?
F: Cambierebbe tutto.
T: Anche secondo me
F: Il ragionamento è più sulla toscanità che sulla “pisanità”: è un modo di relazionarsi alla vita. I popoli più lontani in toscana sono livornesi e lucchesi: livornesi commercianti, aperti, partenopei, i lucchesi più chiusi, quasi nordici... ma ti dico che tutti abbiamo dei tratti in comune, il toscano ha dei tratti a sé, è quasi una razza. E’ un approccio di vita che si riflette anche nella musica, il fatto che s’ abbia un'altra ironia rispetto a un emiliano, ad esempio.
T: Quando fa le battute un bolognese, per esempio, noi difficilmente si ride, anche se sono ganzissimi, i bolognesi, ma hanno un ironia diversa.
F: Anch’io quando vado in Lombardia c’ ho grande difficoltà, perché è proprio un problema capire la loro ironia.
Premio Ciampi: lo avete vinto nel 2007, un premio a Livorno dedicato ad un artista livornese. Cosa ha significato?
T: Tanto. Alcune cose sono cambiate, ma la cosa migliore è stato rendersi conto che, nonostante i nostri timori, a Livorno siamo amati, forse anche perchè i livornesi non erano mai stati presi in giro in maniera diretta. Alcuni c’ hanno detto “non ho mai sentito i pisani ironizzare sui livornesi”, e a Livorno a volte abbiamo avuto un accoglienza superiore che a Pisa, a loro piace scherzare su sé stessi, ne godono.
F: Poi il Ciampi è stato un attestato di credibilità, non ci ha cambiato la vita ma ha portato prestigio e qualche data, e il consenso di cui parlava Tommaso.
Ho letto una frase di Sofri, che si riferisce ad un presunto scarso campanilismo di Pisa, rispetto alle altre città toscane, e al fatto che mentre le altre città hanno un proprio vernacolo, Pisa sembra averne uno in cui confluiscano varie fonti. Che ne pensate?
T: Io non sono così d’accordo... Pisa ha un 40% di abitanti che sono studenti o ex studenti, e questo ti porta ad avere una città multiculturale. Sofri lo dice con provocazione, io credo che la cosa stia cambiando, noi abbiamo visto, anche grazie a internet, alle chat, a vari siti, che la gente, i ragazzi , stanno ricominciando a parlare in vernacolo.
F: Quindici anni fa questo mancava, a parte in alcuni ambienti in cui il gusto del popolare è sempre rimasto..i bar, alcuni quartieri. Io penso che Pisa abbia grandi aspetti: l’ aeroporto, lo snodo ferroviario, la caserma, l’ università. Poi dove c’è un livello culturale un po’ più alto spesso si tende al ridicolo, al pensare che sia necessario usare italianismi forzati per dare onore alle parole spese. Ci sono luoghi comuni su Pisa, come su Livorno: i livornesi non hanno voglia di lavorare, ai pisani non chieder nulla perchè si nascondono..sono luoghi comuni che c’hanno stancato, come quello che dice che a Pisa non c’ è satira... ma chi lo dice? Non è questione di campanilismo, è questione di obiettività, prima di parlare per sentito dire sarebbe necessario conoscere dal dentro le varie realtà. Generalizzare è stupido, è come il classico “i livornesi rubano le biciclette”...sono cose legate a dei pensieri che ormai sono ridicoli.
Chiaro. E’ divertente il campanilismo goliardico. Su alcuni siti che parlano di voi ci sono grosse liti virtuali tra ascoltatori pisani e livornesi.
T: Io voglio sperare che tutto ciò faccia parte di un substrato che va allo stadio, con tutto il rispetto per chi va allo stadio per divertirsi, perché ama il calcio, come lo amiamo noi. Certe cose rappresentano l’imbecillità totale, ma è gente che a noi non interessa, che per quanto ci riguarda non ci interessa venga a sentirci, che può stare a casa.
F: Anche questo forse è frutto dei tanti luoghi comuni, del non voler andare a indagare sulle situazioni reali.
T: Noi comunque gli estremismi si cerca sempre di sedarli.
F: Aldilà delle liti di certe persone, a noi a Livorno ci vogliono bene, forse una causa è anche la nostra amicizia con Bobo Rondelli, c’è tanta risposta...quest’anno a Effetto Venezia c’ erano 3000 persone a sentirci, è il segno che anche da voi siamo apprezzati.
Parliamo delle vostre collaborazioni.
T: Dunque, con Bollani abbiamo avuto non una vera e propria collaborazione ma ci ha ceduto un riff di un pezzo suo senza voler nulla in cambio, poi proprio oggi all'una su Radio Rai Tre eravamo ospiti con lo stesso Bollani e Riondino, è stato divertente.
F. Si è suonato Cacciucco Blues con Bollani e Guerrini al sax...bella soddisfazione, questa è gente che suona come pochi.
Progetti futuri?
F: Ragionare un pò con Luporini, che ha scritto per lungo tempo i testi di Gaber, non pensando al fatto che lui scriva per noi... è un occasione di confronto, di sentire cosa ti può dire uno così, vedere se ci apre qualche “squarcio” nel cielo.
T: Altro progetto che stiamo portando avanti è una collaborazione con le scuole, su richiesta loro e su un idea nostra si affronta un lavoro con gli istituti superiori sulla lingua, sul toscano, allargato poi alla canzone, che secondo noi è fondamentale... a scuola servirebbe cominciare a leggere De Andrè, Gaber, il primo De Gregori, Tenco... ma anche qualche scrittore di romanzi contemporaneo, non necessariamente cantautorato.
F: Ovvero, serve sapere che c’ è stata la peste nel ‘600, ma non si può arrivare a fine scuole superiori bloccandosi sulla prima guerra mondiale... bisogna relazionarsi un po’ di più con l’alto ‘900. Generalmente non s’ arriva nemmeno alla Seconda Guerra Mondiale, non si studia una cosa come il fascismo, che a scuola dovrebbe esser studiato per forza. Comunque qualcosa si sta muovendo, abbiamo saputo che su alcune antologie scolastiche si trovano testi come Bocca di rosa, Carlo Martello, brani di questo genere.
T: Altra speranza: un disco entro il 2010, per Natale.
F: Io spero di riuscirci, ma ci credo poco, spero che quest’ estate ci sia da darsi da fare sui live, ci sia da far tante date.
La critica peggiore che avete ricevuto?
T: Tante volte: “dovete scrivere in italiano perchè non andate da nessuna parte, non vi considererà mai nessuno”.
F: In realtà la critica era una cosa tipo: “ragazzi, non è che il vernacolo forse vi limita? Vi impedisce di andare avanti?”
T: Sì, apparte la forma la critica era di questo tipo.
F: Ma comunque non ce ne frega nulla, la risposta che si ottiene è buona, non s’ ha intenzione di cantare in italiano.
Poi credo dipenda anche dalle ambizioni che uno si pone, la vostra non credo sia quella di arrivare a Sanremo, mi par di capire... F: No, si spera di scansare quei percorsi lì: l’idea nostra è che l’ uso del vernacolo ci distingua, è una matrice che ci caratterizza, e che il toscano ti apra delle porte ad un’ironia, ad un’immediatezza e un’evocatività che l’italiano non ha.
T: Per noi scrivere in pisano è un’esigenza, ci permette di farci capire esattamente per quello che si vuol dire.
F: Poi te l ho detto, non c’è cosa peggiore di voler raffinare la lingua a tutti i costi, quasi come fosse una vergogna possedere un vernacolo, saperlo parlare; l’idea è “come faccio veramente a rendere un concetto con un suono?”: noi si usa il vernacolo pisano.
T: Noi si pensa in pisano, e si parla in pisano, si salta la fase della traduzione in italiano, ma questo non vuol dire che un testo debba avere una ricerca forzata del pisano, ci sono situazioni in cui un termine italiano calza meglio che un espressione in vernacolo.
F: L’integralismo è sbagliato dalle due parti, ma la ricerca linguistica, come quella che facevano Pavese, Calvino, che usavano termini dialettali, è fondamentale.
T: E anche Calvino nelle scuole non c’ arriva, si fa alle elementari solo Marcovaldo, forse il Barone rampante...
Articolo del
03/04/2010 -
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