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Ciao ragazzi, benvenuti su Extra! Domanda d’obbligo, dato che siete una formazione estremamente recente: com’è nato il vostro progetto? Ciao e grazie a voi! E’ vero, siamo una formazione ed un progetto recente, anche se solo sulla carta…in realtà Ciclope è l’evoluzione naturale dei We Were Onoff, band attiva già da alcuni anni e con svariate esperienze alle spalle. Se come We Were Onoff preferivamo esprimerci in inglese e ci indirizzavamo più verso un post rock spigoloso, il progetto Ciclope ha tentato di coniugare la lingua italiana ad un noise rock più ruvido e minimale, sempre attento agli intrecci ritmici e melodici, ma soprattutto spesso dispari…
… Alla fine siete arrivati alla collaborazione con la Greenfog Si, beh, la collaborazione con Green Fog è iniziata qualche anno fa con la pubblicazione di “What Does A Fish Think About Water?” dei We Were Onoff ed è proseguita rinsaldandosi negli anni fino ad arrivare ad “Una notte l’inferno”; ci piace dire di essere fortunati - nella nostra piccola realtà e soprattutto in un periodo di crisi globale che coinvolge anche chi i dischi li fa e ci crede davvero - ad aver trovato casa Green Fog, che ha fiducia in noi e che fa il possibile per supportarci. Naturalmente i sacrifici li facciamo tutti, noi e le altre band per primi, ma ne vale la pena, per vedere il frutto del proprio lavoro ben recensito, ben distribuito e, speriamo, ben accolto dal pubblico!
La cosa che colpisce di più nelle vostre canzoni sono senza dubbio i testi: come nascono? E lavorate a partire da un riff o da un ritmo, o preferite avere sotto mano un testo su cui comporre? Ciclope è nato essenzialmente per questo: rendere comprensibile in lingua italiana un cantato “importante” e distante dalle tematiche “pop” di quello che radio, tv e giornali ci propinano. Normalmente i nostri brani nascono prima come strumentali, anche se poco strutturati; la voce viene impiegata come un vero e proprio strumento che si inserisce negli intrecci creati da chitarre e bassi e che va un po’alla volta a definire la struttura generale del pezzo, arricchendolo di senso e significato. Capita comunque che in alcuni casi sia una melodia vocale con le sue cadenze ritmiche a indirizzare il suonato, magari in qualche stacco, cambio o passaggio.
Tutta questa rabbia, la forte critica della miseria e della limitatezza degli esseri umani, che si nota nelle vostre canzoni… Chiaramente scaturisce da osservazioni ed esperienze di vita vissuta, ma c’è dietro anche un vostro punto di vista, un vostro “pensiero” particolare? Questa è “la” domanda che ci aspettavamo di ricevere e a cui rispondiamo volentieri: per sintetizzare potremmo dire che il nostro lavoro non parte da esperienze personali, ma arriva al personale. Abbiamo sentito la necessità di questo “concept” per andare oltre la superficialità e al voyeurismo malato che un po’ ci affascina e inchioda tutti; la rabbia che traspare non è “quella voglia superficiale di rompere tutto, di fare i rivoluzionari, di abbattere il sistema”, ma è un richiamo all’intimo delle proprie emozioni e sentimenti, è una constatazione del fatto che ciascuno di noi prova frustrazioni quotidiane, sconfitte, dolori fisici e non….e non basta per stare meglio sentirsi dire “Beh, vedrai che andrà tutto bene, è solo un graffio, te la caverai”, non basta richiamare alla mente scene di film o serial tv e cercare di immaginare come si comporterebbe questo o quel personaggio. Il male, la depressione e lo sfinimento esistono e sono reali, e hanno diritto ad una dignità e ad un percorso personale che tutto deve essere tranne che mediatico e superficiale. Abbiamo cercato di dare importanza agli stati d’animo e ai momenti che dividono e che rendono ciascuno di noi unico, qui ed ora, piuttosto che cercare di trovare un denominatore comune per sentirsi tutti dei “nessuno”, che comunicano pur senza avere nulla da dire. In sostanza, in un momento in cui assistiamo, comodi nei nostri divani, a finti omicidi efferati di ogni fattezza e tipo, risolti da agenti governativi di ogni fattezza e tipo, alla realtà raccontata con i ritmi da thriller, ai vari casi clinici risolti da cinici personaggi onniscenti, alle globali adunate di fedeli ignoranti, ipocriti e privi di pensiero critico, noi abbiamo voluto soffermarci e dare voce alla realtà limitata, oscura e relativa dell’intimo personale, in alcuni casi frutto anche delle nostre esperienze vissute.
Avete collaborato anche con Toyshirt Design, come è andata? Toyshirt è parte di noi e la realizzazione dell’artwork e del video della title track dell’album sono stati il frutto di un duro lavoro che ha coinvolto tutti noi dal punto di vista stilistico, ma che ha impegnato soprattutto uno di noi, Leonardo (chitarra/basso), il cervello dietro a Toyshirt, nella realizzazione tecnica e pratica. E’ un rapporto di collaborazione che ci rende in qualche modo unici, nonché fortunati ad avere con noi un professionista che possa, vivendo lui stesso il processo creativo musicale tout court, interpretarci graficamente e stilisticamente.
Ci parlate un po’ del vostro video? Il video è nato come un esperimento un po’ di tempo fa, in corrispondenza con la decisione di intraprendere un esperimento e una strada diversa da We Were Onoff. Ci ha da sempre stuzzicato l’idea di fare un video senza apparire come musicisti o suonando i nostri strumenti, ma volendo in qualche modo raccontare una storia; “Una Notte l’Inferno” è un momento di insonnia, quel mondo, la notte, che ciascuno interpreta a modo suo, il sogno, le atmosfere cupe di una breve parentesi di sonno agitato tra lenzuola nemiche. La maschera protagonista, che in questa fattispecie è anche un richiamo alle nostre origini lagunari, per noi significa intendere la notte come la possibilità di sfuggire all’oblio del sonno per lasciarsi andare ad esperienze torbide e nuove, con curiosità per il mondo e con la sicurezza che deriva dal nascondere la propria identità. O magari anche solamente sognare tutto questo!
Che importanza date alla parte visuale nelle vostre canzoni, e quindi alla possibilità di tradurre la musica in immagini, video, ecc.? Credo che ciascuno di noi nelle fasi iniziali di composizione tenda a crearsi mentalmente delle figure e dei modi che possano rappresentare le strutture ritmiche; il tutto chiaramente diventa più completo ed omogeneo con la definizione melodica data dalla voce. E’ comunque un aspetto “artistico” che ci ha interessato da sempre e al quale abbiamo cercato di prestare la massima attenzione, e che, anche se in misura sicuramente minore si riflette negli artworks dei nostri dischi.
Il vostro album tocca vari stili, dal noise al crossover, cosa che si nota particolarmente nelle parti vocali di Igor… Che musica ascoltate? Noi ascoltiamo un po’ di tutto, singolarmente ognuno di noi proviene da ascolti differenti e porta avanti i propri interessi musicali, anche se poi ci sono dei capisaldi che tutti condividiamo; quello che comunque coinvolge maggiormente tutti è quel filone di rock minimalista alla Shellac, Jesus Lizard della scena di Chicago e della touch&go, passando per il post hardcore alla Fugazi, al post rock di Karate e Tortoise e altre influenze che vanno dal metal al doom al punk rock fino all’avanguardia jazz/noise. Musicalmente onnivori, ma non reggiamo proprio il reggae, e vale per tutti e quattro…. Per quanto riguarda poi le parti che Igor interpreta, si è cercato di dare il maggior grado di originalità possibile alla voce, facendo sì che fosse melodica, ma anche secca, tagliente e sporca all’occorrenza; immagino che questo possa rendere difficile un paragone con questo o con quel genere vocale o musicale di riferimento, ma questo è quello che ci è venuto, di cui siamo soddisfatti e che speriamo possa contribuire a dare il classico “pugno nello stomaco” nella migliore tradizione rock&roll!
Le tracce contengono anche numerosi cambi di ritmo e di atmosfera, spesso bruschi e imprevedibili, ottenuti con l’inserimento del doppio basso, piuttosto che con l’uso di una diversa cadenza: una scelta voluta per evitare di fossilizzarsi su un genere, o qualcosa di più istintivo? Direi entrambe le cose, ma l’istinto prima di tutto. L’ istinto storto e dispari non ce lo toglie nessuno…cerchiamo di essere sempre piuttosto puntigliosi nella realizzazione dei pezzi e negli arrangiamenti, cercando fortemente quelle che sono variazioni ritmiche, tonali e armoniche o cambi di atmosfera. L’uso frequente del doppio basso è per noi un mezzo che crediamo di saper padroneggiare abbastanza bene e che ci permette di realizzare basi ritmiche compatte, asciutte, ma non prive di incastri che sostengano la struttura dei brani.
Quali sono i vostri programmi dopo l’uscita dell’album? Per ora ci stiamo concentrando sull’uscita dell’album, cercando di investire quante più risorse possibile affinché sia ben accolto, e per far in modo che il nostro progetto sia capito nell’originalità che noi gli riconosciamo. Parallelamente ci stiamo attrezzando per i live contando di avere qualche buona occasione in estate per portare al pubblico il nostro spettacolo. La dimensione live per noi conta davvero molto, per questo noi e chi ci supporta stiamo lavorando seriamente per iniziare con i club da settembre/ottobre. Chissà se per l’autunno avremo anche un nuovo video?!
Grazie dai lettori di Extra! E in bocca al lupo!! Grazie a voi per l’opportunità, continuate a seguirci dalle nostre pagine myspace e facebook!
Articolo del
08/06/2010 -
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