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Una volta quel genio che era Oscar Wilde disse: “Vivo nel terrore di non essere frainteso”, e proprio questa frase nella sua interezza racchiude la spontaneità del pensiero di Patrizio Maria, cantautore italiano di nuova generazione con la C maiuscola. Perché nei suoi testi, nelle sue musiche e nei suoi arrangiamenti con chitarre semiacustiche è impossibile non sentirsi chiamati in causa e riuscire a ritagliarsi un pezzettino di cielo. E’ una lente di ingrandimento sulla società attuale, che solamente i grandi riescono ad usare; è un album di famiglia che inchioda l’oggi e lascia lo spazio per il domani. Ed allora eccolo parlare di ansia e di primal scream, di disturbi antisociali e di donne, persino di spiritualità. In tutto questo il suo disco d’ esordio “India Londinese” ha raggiunto le 3000 copie in meno di un anno, non male per essere un indipendente che si definisce “cantautore indie rock con la voce da collegiale francese del ‘700 sempre girato sul doppio lato di me stesso”. Ed in questa intervista ho cercato di sviscerare la sua vera natura.
Ciao Patrizio, veniamo subito al dunque; il disco ha avuto parecchi riscontri positivi anche dalla critica oltre che dai fan. Come ti rapporti ora con la musica? La musica per me è un gioco, un gioco sano che non ha controindicazioni, è il mio barattolo di miele! E’ un passaggio infinito tra curiosità e botte al cuore, è un duello tra tanti cowboy, è un orgia saffica ed è un ripostiglio freddo dove posso custodire la mia mente quando ha voglia di riposare. E’ una chiusura lampo ed è qualcosa che non so cos’ è.
Ed è cambiato qualcosa rispetto a prima? Nulla può cambiare se sei pulito e se hai voglia di lavorare, forse può cambiare solo in meglio. Io non sono mai stato così maturo dai tempi dell'asilo e continuo ad inciampare spesso e volentieri nelle asole del cielo ,mi sporco di colori e ho il cuore a valvole.
Che posto è questa India Londinese? “India Londinese” è il posto dove sto bene. Ci mangio, ci bevo, ci disegno e ci scrivo. E' un luogo pieno di schiume da barba, di scarpe, di chitarre e amplificatori, film e libri. E' un posto dove anni fa sono nato e ho deciso di abitare per sempre. Vivo con la curiosità e con la determinazione che per adesso mi pagano l'affitto, con i pensieri e con la voglia di divertirmi che porto a cena nel tempo libero. Credimi ognuno di noi dovrebbe avere un luogo del genere, un suo luogo “India Londinese” perché sano e perverso allo stesso tempo: ti stuzzica, ti rilassa e impreziosisce. Per me è un libro pieno di metafore e di orme.
A proposito del disco, in “India Londinese” riesci a creare anche atmosfere più orientali con l’utilizzo del Sitar, ma passi anche per la psichedelica, il pop all’ italiana, il rock, l’ indie e molto altro. In sostanza hai avuto il coraggio di sperimentare. Sperimentare fa parte del cammino di ogni uomo curioso. Io amo sporcarmi con i colori e amo creare un harem culturale, non solo musicale. Credo nella scrittura cinematografica e nell'artista rinascimentale. L'indie rock è la mia base, ma spesso mi contamino di lo-fi, di psichedelia, di acid-jazz, di blues, di noise, di elettronica e di folk. Sono un cantautore che scrive i suoi testi e le sue musiche, che canta e che suona la chitarra semiacustica: vuoi o non vuoi hai più responsabilità, ma quando ci riesci non puoi capire come godi.
A questo punto la domanda è scontata: cosa pensi dei talent-show? Rispecchiano i gusti musicali della società attuale oppure li indirizzano in un determinato confine? La mediocrità ha preso il sopravvento sull' illusione artistica. Prima eravamo operai per una fabbrica dove il titolare ti illudeva e raggirava, ma era bello crederci. Ora siamo nelle mani della sfrenata voglia di manipolare qualcosa che non si conosce e quindi si fa di tutto per modellarla tra le pagine dell' ignota speranza atavicamente ignorante e senza cultura.
Soluzioni? Io credo che la vera scuola sia il palco. Non importa di quale situazione, piazza, stadio, pub, centro sociale: l' importante è suonare e farsi le ossa con queste esperienze fondamentali. Non serve a niente partecipare ad un talent show dove non esiste musica originale e dove il pensiero accademico, scolastico e presuntuoso, vuole inculcarti che quella è cultura; quelli dei talent show si autodistruggono e pian piano si romperanno anche le strutture interne e le persone inizieranno a stropicciarsi gli occhi e pulirsi le orecchie. Ma io non dispero perché credo in quello che faccio e quello che fanno altri miei colleghi.
Facebook, Myspace, Twitter ed altri social network: molti artisti emergenti si creano un buon bacino da qui prima di sfondare. Presente o futuro dell’ industria musicale? I social network sono molto importanti se dietro c’ è un lavoro frequente di live. A me hanno dato e continuano a dare una grossa spinta, anche perché spesso ti rapisce la curiosità di sapere come mai una determinata persona ti segua e compri un tuo disco, e alla fine sei anche tu a cercarla. A volte è terapeutico e psicoanalitico, ma non devi lasciarti catturare e cullare: devi saper essere cosciente che il tuo lavoro è sempre quello di stare sul palco a saltare, cantare e sudare.
E come descriveresti il mestiere del cantautore di questi tempi? Il cantautore è un ottimo illuso dalla penna facile, spesso umile e virtuoso, spesso pappone e politico. Trovo difficile che un cantautore possa mettere d’ accordo una famiglia o le persone in generale. Forse è l'unica brutta razza che piace o non piace. Io non mi creo questi problemi perché piaccio a me stesso.
Ci spieghi la tua “Teoria dell’ Uovo Fritto”? La “Teoria dell' Uovo Fritto” è un qualcosa di filosofico. Puoi farlo fritto, sodo, al tegamino e in altri cento modi: ma l' importante è che ci sia quel dannato uovo che con il suo dannato occhio giallo ti guarda e sembra chiederti perché vuoi mangiarlo. Molti lo mangiano e non sanno il motivo: ritorniamo sempre alla cultura e alla curiosità. Spesso si ergono a maestri alcuni personaggi che dovrebbero pulire il cesso del loro cervello, mangiano ma non sanno il perché. Sarò palloso ma vivo e respiro, e voglio sapere il significato, al contrario di chi usa le bombole immaginarie di ossigeno. L'arte va amata, non scopata.
Ivan Graziani, Alberto Camerini, Goran Kuzminac, Little Tony, Pierangelo Bertoli e altri ancora: nonostante la giovane età hai alle spalle una vasta esperienza da apriconcerti e collaborazioni con questi grandi nomi ed altri. Come e quando è nata questa passione? Il suono, il primal scream, l'om, nasci con queste esigenze! Gesticoli e cerchi un qualcosa di speciale che poi trovi in un pezzo di legno con le corde di metallo. Io credo molto nella natura e poco nelle costrizioni accademiche. Non per essere retorico ma la vita è la vera scuola: la mia aveva bisogno di suoni e colori ed eccomi qua. Nasci con questa malattia nello stomaco, molti si curano, io invece voglio morire di questa vita.
Cosa ti piace ascoltare di solito? E come? Amo molto la musica degli anni ‘60 e ‘70 quindi quando compro un album è soprattutto perché mi si è rovinato, anche se spesso e volentieri scopro da buon indie-mod dei dischi recenti sconosciuti davvero belli. In generale ascolto musica quando va ascoltata: non amo portare cuffie e bavagli vari e non mi piace ascoltare canzoni in macchina perché se lo faccio cambio di continuo album e divento insofferente. La musica invece va psicanalizzata, compresa, deve interrogarti, farti male, farti incazzare e deve sollevarti. Deve essere come una lezione universitaria, non va sputtanata tra le chiacchiere del centro commerciale.
Ultimo disco comprato? L'ultimo album che ho comprato è quello dei Kula Shaker (“Pilgrims Progress”) che è un gruppo che seguo da sempre e che continua a piacermi.
Progetti in cantiere? E' uscito il mio singolo ”Sociopatica” che per fortuna sta avendo buon riscontro nelle radio nazionali. Nel frattempo continuo, assieme al tour radio, i miei live nelle piazze italiane per poi da settembre ricominciare a suonare nei circoli alternativi. Ho iniziato a lavorare sul prossimo album che spero sia pronto per la fine del 2010. Intanto non mi fermo: continuo a scrivere, suonare, colorare e divorare per respirare sempre meglio. Auguro davvero alla mia mente “bom malek” che in indiano significa un buon viaggio.
Articolo del
17/09/2010 -
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