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Sono tre, sono di Milano, e sono il gruppo rock italiano, e che canta in italiano, che ultimamente più di ogni altro ha dato voce all’Italia Incazzata. Abbiamo intervistato Federico Dragogna, il chitarrista e autore di gran parte delle loro canzoni, prima del loro concerto allo storico Baraonda di Marina di Massa, nel quale hanno imperversato pogo, gomitate e fan urlanti. Ecco spiegata la questione Ministrica.
Voi siete abituati a fare musica politica, con forti tematiche sociali. Qual è la vostra reazione quando vedete artisti che hanno improntato una carriera su tematiche più leggere, o che in un modo o nell’altro hanno sempre evitato di assumere una posizione definita?
In realtà io vivo in una determinata maniera, chiamiamola politica, rispettando una serie di decisioni e di volontà, e poi scrivo delle canzoni che riflettono la mia vita e il mio modo di vivere, ma non sono canzoni che nascono con l’intento o la presunzione di educare o di affermarsi come messaggi fondamentali: l’intento è prima di tutto quello di scrivere canzoni, io penso che non sia importante l’oggetto, ma una cura, un amore per il linguaggio, per le parole. Io sono un grande ascoltatore di pop, Elton John ad esempio è un artista pop e ha fatto dischi meravigliosi. Lo stesso Battisti, che nella mia famiglia, essendo fortemente di sinistra, era considerato quasi un fascio, ha una scrittura, un lavoro, un amore per quello che fa che è incredibile. Quindi mi dà fastidio l’incuria, il malcostume nel proprio italiano. Se senti pezzi della Pausini o di Antonacci non sono brutti per partito preso, ma senti che non esiste cura nei versi, si assiste all’uso delle stesse rime di sempre che vengono dal fatto di aver pensato la canzone in inglese, come metrica, per poi riportarla in italiano: quello mi dà fastidio. Dopo queste persone vanno in giro per il mondo cantando cose e parole per cui non hanno nessuno amore..”Laura non c’è, è andata via, Laura non è più cosa mia”..sono semplicemente rime tronche, e questo poco amore per le parole è già il riflesso di un atteggiamento civile o sociale, vuol dire che tu stai togliendo una dimensione fondamentale alla canzone e al parlare, sei partecipe di un certo ‘basso impero’. Quindi esiste cattivo pop, ma anche ottimi pezzi di Tiziano Ferro, ad esempio, come “Ti voglio bene”, scritto convinto, con belle parole. “La voce del padrone” di Battiato è un grandissimo disco pop, curato, con un grande lavoro. Se ci fosse davvero amore in Italia per quello che ognuno fa, saremmo un paese incredibile.
A proposito dell’Italia..cosa rappresenta per te? Un’appartenenza? Un valore? Niente?
Non ho assolutamente nessun tipo di patriottismo. Se non avessi intrapreso la questione ‘ministrica’, a cui tengo, e che voglio portare avanti, sarei già altrove. Probabilmente Germania, o Francia, o lontanissimo.
Riguardo la Germania, perché proprio Berlino, e non, che so, Monaco o qualsiasi altra città?
Beh, Monaco perché è cattolica. In realtà il pezzo su Berlino nacque perché tutti mi dicevano di andare a Berlino, che era la città per me, quindi quando scrissi il pezzo Berlino era un luogo X, da scoprire. Quando ci sono andato, sette volte in un anno, ho visto che era davvero come dicevano. Berlino non ti seduce per una qualche bellezza estrinseca, è una città grigia, piena di cantieri, di gru, però chi ci vive dentro ama vivere, è molto onesto con le altre persone, e in media tutti hanno amore per quello che stanno facendo. In Italia il paese è costruito sulla televisione, di modo che si crede che il bello della vita sia fare spettacolo, fare tv. Se hai un intero paese che vuole vincere il Gratta e Vinci, avrai un enorme paese insoddisfatto, tanti quanti quelli che non vinceranno, e pochi ricchi che non sapranno neanche che fare della propria ricchezza. Questo è il problema in Italia. C’è un sentimento brutto, sempre irrealizzato, di astio nei confronti della gente. Questo accanimento nei confronti della “massa media degli italiani”, poi, non so neanche se esiste, quando incontro le persone son singole persone con singole scelte. Ad esempio, se uno lavora 10 ore al giorno, magari si siede sul divano e si guarda la tele, se la tele è a livelli pessimi non è necessariamente colpa sua, il problema è che spesso si ha difficoltà a far arrivare certi concetti, certi prodotti. Anche nella musica: se hai una band noise/stoner con il cantato in inglese, e dopo ti stupisci che ci sono 10 persone a vederti, ma di che cazzo ti stupisci? Stai cantando in una lingua che non è quella di chi hai davanti, che non è la tua, in una forma musicale che è tipica di una statale del New Mexico..ma allora andate nel New Mexico, a scontrarvi con chi suona come voi, non è che possiamo incazzarci con l’Italia perché quello stile qui non funziona. Poi per carità,è giusto che esistano artisti italiani che cantano in inglese, ma che abbiano come idea di audience l’Europa.
Rapporto col pubblico: il vostro è molto stretto, avete una pagina su facebook, un blog..la cosa ha dei contro? Non vi interessa tenervi più in disparte, mitizzare l’immagine che il pubblico può avere della band?
No, paradossalmente si sta creando una sorta di mitizzazione della nostra normalità. Lo sbattimento che ha la forma che abbiamo adottato noi è che la gente crede di essere in diritto di tutto, anche artisticamente. Artisticamente noi puntiamo i piedi, il nostro è un percorso artistico non pensato sulla gente, e anzi ultimamente facciamo scelte contrarie a quello che ci chiedono i cori che abbiamo davanti. Per un certo tipo di pubblico se avessimo fatto un nuovo album di tutte “Diritto al tetto”, con ritornelli su temi sociali o di cronaca, sarebbero stati tutti contenti..ma noi seguiamo altre cose, che dipendono da noi, non da chi abbiamo davanti.
Parliamo di “Tutta roba nostra”, brano tra i più discussi del nuovo album. So che per voi è un pezzo importante, spiegami perché.
Dunque, questo sarà il nuovo singolo, dalla settimana prossima. E’ stato un pezzo con una gestazione difficile, diverse versioni poi scartate, è stato una discussione continua tra di noi. E’ importante prima di tutto per il testo, riassume un’idea ottimista rispetto al fare, al poter agire nel nostro paese. E’ il rendersi conto che l’Italia tra 10 anni o 20 sarà comunque tua, sarà comunque un posto nostro. Lo scambio di generazioni è un fattore naturale, e fa sì che un giorno saremo noi a avere in mano l’Italia. La gente muore, non è che potranno vivere 150 anni..E’ rendersi conto che è già nostro il paese, e bisogna avere il coraggio di dire “ok, adesso faccio”, non pretendere che un’altra generazione ti regali una libertà, senza che tu debba conquistartela. Il testo dice questo, parla del bisogno di crearci noi una nostra memoria, una nostra identità. Non può oggi una persona di 15 anni avere come valore base la Resistenza, e lo dico provocatoriamente, o la guerra contro i fascisti, che io stesso ho fatto contro i neofascisti e le loro manifestazioni, ed è stata evidentemente fallimentare, per 15 anni abbiamo sbagliato obiettivo, i neofascisti son sempre 4 stronzi in giro complessati, e intanto il paese è andato alla rovina per altre persone, per un fascismo molto più strisciante. La gente deve riuscire a crearsi degli eroi suoi, io spero che i futuri italiani e i 15enni di oggi non abbiano ancora un’idea di guerra civile in testa, ma che abbiano un’idea di Italia più ampia, più europea, passare a problemi maggiori, come le condizioni di lavoro. “Tutta roba nostra” significa questo, è uno dei primi pezzi dove Divi non urla mai. Il video che sta per uscire è il primo video dove quello che succede è davvero legato al messaggio del pezzo, basato su Milano. Noi con delle corde distruggiamo dei palazzi della città, crollano e vengono fuori degli animali al neon, luminosissimi. Senza grandi budget, ovviamente, che non li abbiamo mai avuti.
Parlando di vostri brani, ce n è uno di cui siete stanchi, che non avete più voglia di suonare dal vivo?
Sì, tanti. “Fari spenti” non la facciamo più. Tutti quelli che abbiamo meno piacere a fare sono quelli un po’ più legati alle nostre vecchie derive metal, o che rischiano di appiattire un po’ il discorso, tipo “La faccia di Briatore”, è un pezzo in cui la potenza magica del nome Briatore è più forte del concetto che volevamo esprimere. E’ un problema che ha vissuto Caparezza, ad esempio, con brani suoi. Stessa cosa vale per “Vicenza”, che è un'altra canzone che generalmente viene travisata. Il pezzo non è sulla base americana a Vicenza, o meglio, non è quello il concetto principale, è un brano su quell’american way of life che si è imposto in Italia. Si creano cortocircuiti di comunicazione, a volte. “Fuori”, il nuovo album, evita tutto ciò, evita parole riconducibili a un mondo in cui quella parola ha una valenza ben precisa, unica. In “Fuori” le parole sono “sole”, “città”, “alberi”, concetti neutri. Comunque stiamo preparando una specie di medley per unire 4-5 pezzi tra quelli che non suoniamo più. Giusto perché non sembri che abbiamo la puzza sotto il naso..
Differenza tra “Tempi Bui” e “Fuori”? Mi pare che “Fuori” sia molto meno immediato di “Tempi Bui”, che abbia bisogno di più ascolti, sia per farselo piacere che per esprimerci sopra un giudizio negativo chiaro.
“Fuori” è un cd molto denso, con molto tempo di lavoro. E’ sicuramente meno immediato, assolutamente, “Tempi Bui” era più leggero.
Sembrava avesse quasi un’attitudine punk, pur non essendo un disco punk.
Sì, assolutamente. Generalmente la gente pensa che “Fuori” sia meno incazzato di “Tempi Bui”, in realtà se uno li ascolta bene” Tempi Bui” ha la batteria molto meno pesante, è quasi pop, su “Fuori” la batteria è più evidente, il basso è sempre distorto, mentre su “Tempi Bui” è quasi pulito. E’ tutta una questione psicoacustica. Anche il live nuovo è molto più pesante di quello vecchio, e assolutamente uguale al disco, quindi uno vedendoci dal vivo si rende conto di quello che l’album è realmente. Con “Tempi Bui” invece il live era più incazzato del disco, suonato più arrabbiato, anche in modo peggiore, per certi versi.
So che spesso arrivi in studio con una ballata, che poi lavorandoci di gruppo prende altre forme.
Sì, tutto quello che scrivo nasce come ballata.
Quindi hai un approccio alla composizione più malinconico che arrabbiato?
Io sono assolutamente malinconico. La mia malinconia viene anche un po’ sbeffeggiata, in studio, e quindi i pezzi poi prendono un'altra veste. Gli incazzati sono gli altri due, senza dubbio. Io registro le cose a casa, solo chitarra o piano, quindi nascono malinconiche anche per gli strumenti con cui vengono composti.. Il pattern ritmico forte, tirato, nasce in studio, senza dubbio. Di pezzi nati arrabbiati ce ne sono pochi, tipo “Bevo”, “La casa brucia”..sono pochissimi.
Come vi rapportate col successo? Vi spaventa? Ti parlo anche di successo potenziale.
In questo momento è un impegno. C’è l’obbligo di una produzione di contenuti continua, ogni giorno, è necessario fare, produrre. Ovviamente, dal momento che posso fare il musicista, faccio tutto quello che riesco. E’ un impegno costante.
Siete sollecitati dalla casa discografica, o l’ impegno di cui parli è un’urgenza vostra, personale?
La casa discografica non ha mai avuto la minima pretesa di sostituirsi a noi. Quando serve un comunicato stampa, lo faccio io. Abbiamo autonomia totale, assolutamente. In rete non esistono comunicati della Universal che parlano bene dei Ministri.
Tu credi agli artisti che dichiarano di non aver interesse nel vendere, nell’ampliare il proprio pubblico? Personalmente credo che un’artista voglia e debba, se possibile, vendere quante più copie possibile.
Quello sì, assolutamente. Noi puntiamo in alto. Siamo un gruppo con ottimi risultati live, mentre in rapporto non andiamo così bene discograficamente, pur vendendo abbastanza, perché abbiamo un pubblico che compra meno, che magari scarica da Emule. Ci sono una serie di misuratori di quello che stai facendo, e sono gli unici validi. Se il percorso di un artista smette di crescere, come numeri, c è qualcosa di sbagliato. Nel progetto Ministri non c è qualcosa che ne decreta un limite, concetto che vale invece per un gruppo come i CCCP, ad esempio, che avevano un progetto preciso, dentro certi ambiti. Nessuno si aspettava che sarebbero arrivati a S.Siro. Noi invece non abbiamo scuse, abbiamo un cantante di bella presenza, facciamo rock italiano, non diciamo parolacce, facciamo canzoni melodiche. Non abbiamo limiti nel bacino d’utenza.
Parliamo di un brano vostro che a me piace molto, “Mangio la terra”: di che cosa è metafora?
Esiste una malattia che è esattamente questo, principalmente legata a una carenza di ferro, e che si manifesta anche in situazioni di carenze affettive. Mio fratello è psichiatra, ho vissuto con lui fino a pochi mesi fa e molte storie che provenivano da lui mi hanno interessato. Nel mio caso, ho avuto un’infanzia relativamente difficile, con genitori divorziati e vari casini, ma ecco, son qua, son tutto sommato felice. Il pezzo nasce prima di tutto dall’impostazione che certe educazioni e certe famiglie hanno, che è un educazione al non guardare in faccia certe miserie, certe problematiche, quindi in una semiotica interna del pezzo la terra è la verità, è qualcosa che ti è stato tolto. E’ quando ti accorgi che c’è qualcosa che non va e te l’avevano nascosto. E’ un brano poco razionalizzato, venuto molto naturalmente, è poco costruito. Lo scrissi a Berlino, in un momento non lucidissimo. Ad esempio, la “a” di “mangio” in un momento più sobrio non sarebbe stata concepita, anche se nelle nostre canzoni facciamo ampio uso di vocali allungate all’interno delle parole, il che ci permette di fare uso di parole piane e riuscire a scrivere quello che vogliamo.
Curiosità: vi è mai passata in testa l’idea di un concept album?
Io ero un fissato di prog. Un gran concept è “Arthur” dei Kinks, mentre “Tommy“ degli Who oggi regge un po’ meno al tempo, è un po’ più musical, mentre il primo utilizzando un sacco di voci riesce ad essere funzionale. Scrivere un concept richiederebbe elaborare una struttura complessa e un tema molto ampio. Sicuramente è una sfida presente nel mio DNA, e probabilmente anche in quello degli altri Ministri.
Articolo del
19/01/2011 -
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