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Messi in saccoccia tutti i premi che contano in Italia dedicati agli esordienti (Premio Ciampi 2009 e Targa Tenco 2010), fatta breccia nel cuore della critica quanto in quella dell’ascoltatore medio, per Dario Brunori è giunto il momento, rimanendo in tema con il periodo, del temibile test di maturità. Il 17 giugno esce Vol. 2: Poveri Cristi, una seconda prova che, avendo tutti gli occhi puntati sopra, si preannuncia più difficile e ricca d’insidie. Dalla sua la Brunori Sas, in maglietta, pantaloncini e calzettoni (come nella felice copertina dell’album), scenderà in campo sfruttando le armi di un sound affinato in centinaia di concerti, l’ospitata di due celebri amici come Dente e Dimartino e, soprattutto, l’enorme spinta data dal prestigioso accordo con la Warner Chappel Music che distribuirà su vasta scala il disco. Proprio da questo punto parte la nostra chiacchierata con Dario Brunori:
Allora, ci racconti come è andata con la Warner? Come sono nati i contatti e cosa prevede questo importante accordo?
Dopo aver suonato al festival Miami di Milano siamo stati contattati da un paio di editori major. Dalle chiacchierate fatte, quelli di Warner ci sono sembrati i più adatti per dare un valore aggiunto al progetto e aiutarci a portarlo oltre i limiti oggettivi insiti in un’autoproduzione. Attualmente a livello discografico rimane tutto fatto in casa: il disco infatti è prodotto dalla nostra neonata label “Picicca Dischi”. A livello editoriale invece ci siamo affidati (appunto) a Warner Chappel Music. Quello che comporterà questo accordo lo scopriremo solo vivendo. Per il momento ciò che è accaduto fino a oggi è già molto rispetto alle mie aspettative iniziali. Per cui, come dice sempre mia zia Rosalba: “venendo facendo”.
C’è una differenza che si nota immediatamente rispetto al recente passato: ad affiancare la scontata nomenclatura “Vol. 2” c’è il titolo “Poveri Cristi”. Come mai questa scelta, cosa significa e quanto rispecchia il contenuto di questo nuovo lavoro?
Se ascolti i brani attentamente ti accorgerai che quello dei “Poveri Cristi” è naturalmente il filo conduttore dell’album. Ovviamente declinato in modi e contesti differenti. Come in Volume Uno non c’è stata premeditazione, se non che al riascolto dei provini la cosa era per me lampante. Tanto che ho tenuto fuori alcuni brani che già suonavamo con discreta risposta del pubblico dal vivo (Con lo spray ad esempio), perché non mi sembravano adatti al contesto e al tema.
Tu e la band non avete fatto in tempo a portare a termine un “Neverending Tour” di dylaniana memoria girando in lungo e in largo per il grande stivale senza prendere mai una pausa, che già vi siete tuffati in studio per registrare il nuovo lavoro. Incominci a sentire un po’ di stanchezza o l’adrenalina vi ha resi ancora più creativi e produttivi?
La creatività ha bisogno di allenamento e io funziono meglio se ho una scadenza. Ovviamente avrei preferito concedermi un tempo maggiore e un po’ di vacanza, ma sono sicuro che non avrei fatto di meglio. E poi uscire a giugno ci permette di ritornare subito in giro a suonare e a “lavorare”, che è la cosa che, sia a livello artistico che finanziario, in questo momento conta di più.
Come sappiamo “Vol. 1” l’hai registrato quasi completamente da solo, mentre stavolta il supporto della tua band è molto più ampio e consistente, considerando anche che di recente si è aggiunto alla formazione anche un violoncellista. Cosa è cambiato nell’approccio con la fase di arrangiamento prima e di registrazione poi? Per forze di cose ci saranno più sfumature di colore nel sound del disco, ma senti che questo potrà davvero essere un valore aggiunto rispetto alla toccante semplicità di pezzi come “Il Pugile” e “Come stai” del vecchio disco?
Io credo che un album debba fotografare un particolare momento della propria vita artistica e non, e in questo momento le cose stanno più o meno così: ho la possibilità di collaborare con dei musicisti validi, che hanno contribuito a colorare in modo efficace il live precedente, per cui mi sembra naturale che questo aspetto sia entrato nel nuovo disco. Il lavoro dei ragazzi è stato pensato e ponderato e mai invadente rispetto alla genesi dei brani, e gli arrangiamenti di archi e fiati di Mirko Onofrio sono a mio avviso perfetti per il mood del disco. Ho comunque cercato di mantenere una continuità con il lavoro precedente, più come attitudine a dire il vero che come sound. Trovo che sia più stimolante il non ripetersi, piuttosto che riproporre la ricetta che ha funzionato in passato.
Neil Young ha sempre detto che quando lui abbozza una canzone non può andare al cinema o fare qualsiasi altra cosa senza averla prima terminata. Paul McCartney dice che quando si sente un po’ triste prende in mano uno strumento e lì incomincia a nascere una canzone. Ligabue (scendendo ad un livello più basso) invece considera la composizione un lavoro quotidiano da affinare giorno dopo giorno. Qual è la storia di Dario Brunori rispetto alla composizione musicale? Hai mai paura di non riuscire più a scrivere una canzone valida? Quanto tempo hai impiegato per mettere insieme i brani di “Poveri Cristi”?
Sono dalla parte di Neil Young, quando mi viene fuori un’idea devo portarla a termine, anche perché altrimenti la perdo per strada. Io non sono uno che medita, le canzoni arrivano in modo “miracoloso” e le devo letteralmente acchiappare. La paura di un “blocco creativo” può esserci laddove subentrano scadenze, impegni e terzi interessi. Al momento riesco a controllare questa aspetto, gestisco buona parte delle cose che faccio, per cui: nessuna paura. Le canzoni di Poveri Cristi le ho abbozzate nell’ultimo anno, anche se il lavoro di stesura definitiva è partito da febbraio in poi.
Nostalgia dei bei tempi ormai andati e storie di ordinaria gioventù, tematicamente dovrà andrà a parare il nuovo Dario Brunori? Dopo il “Nanaismo” ci sarà posto per un nuovo tormentone?
Non credo che questo disco possieda dei veri e propri tormentoni. E’ molto più “album” del precedente, nel senso che le canzoni acquistano maggior valore se messe insieme piuttosto che prese separatamente. Non è strettamente autobiografico, non volevo calcare la mano con la “mia” storia, ma cercare di dipingere storie altre, comunque a modo mio. I “nanà” d’altronde non mancano per cui i vecchi ammiratori possono dormire sonni tranquilli.
Molti non sanno che oltre a gestire l’azienda di famiglia, fare il cantautore... hai anche un terzo lavoro: gestire una sala di produzione e registrazione musicale. Avendo quotidianamente le “mani in pasta” in questo ambiente come valuti lo stato di salute attuale della musica calabrese? Ci sono artisti emergenti che secondo te meriterebbero palcoscenici differenti?
In realtà l’azienda di famiglia è in mano ai fratelli e infatti le cose vanno decisamente meglio rispetto ai tempi della mia gestione... Gli artisti con cui ho avuto modo di lavorare, hanno decisamente le carte in regola per una maggiore ribalta: penso ai Red Basica di Mirko Onofrio, o ai Takabum di Giuseppe Oliveto, o ai vari progetti terzi di Michele Alessi dei Captain Quentin (Kyle, Vincent) o di Ignazio Nisticò dei Camera 237 (Portland Souvenir). I giovani gruppi che mi sono capitati sotto mano (Electric Floor, Radioroad e Maieutica) stanno cercando di emanciparsi dai loro riferimenti di culto, cercando una strada personale e mi pare che ci stiano riuscendo egregiamente. Nel mio piccolo sto cercando, con le attività dello studio e con il progetto Brunori Sas, di creare le condizioni perché ci siano maggiori contatti con realtà esterne alla nostra e una maggiore attenzione e visibilità. In tal senso mi sento di segnalare anche l’iniziativa di Giacomo Triglia, Mirella Nania, Fabio Nirta del Partyzan e Ester Apa di Radio Ciroma, che hanno creato un nuovo sito sullo stile della “Blogotheque” o di “Pronti al peggio”, per promuovere tutto ciò che “passa al sud della penisola”: http://www.trallalalla.net/
Guardando i tuoi spettacoli dal vivo o altre tue apparizioni (penso, ad esempio, all’ormai celebre “cameo” nel video dei Captain Quentin) non può che notarsi una certa verve cabarettistica. A volte non temi il rischio di essere preso poco sul serio? E... a proposito, a chi è venuta l’idea del “cameo”, a te o al regista Giacomo Triglia?
L’idea del cameo come preparazione di una cioccolata nel video, è mia e ne reclamo con orgoglio la paternità! In realtà desidero che intorno a me non si crei l’aura del cantautore serioso standard. E poi io sono così da sempre e non vedo perché dovrei cambiare o assumere una posa diversa e più consona a quello “prevista” dal mio ruolo artistico. Mi piace un motto e lo ripeto spesso: fai sul serio, ma non prenderti sul serio. Io penso che le persone intelligenti apprezzino l’ironia e che questo riesca a dare maggior valore alle cose che scrivo e che canto.
Per chiudere, hai affermato in un’intervista che il palco di Sanremo è il tuo sbocco naturale. Senti che possa essere un traguardo o ritieni che davvero in Italia sia l’unico modo per sfondare a livello mainstream?
Mah! E’ ovviamente una battuta, benché nasconda una verità: l’uscita sanremese, se fatta con criterio e con le spalle larghe, riesce a bruciare alcune tappe per portare il tuo progetto al grande pubblico. Pensa a Giovanardi dei La Crus come esempio recente, o alla Consoli o Silvestri in passato. Intendo solo questo, ma non è una delle mie preoccupazioni maggiori.
Articolo del
14/06/2011 -
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