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Pare che certe cose succedano solo in Inghilterra o negli States. Tipo diventare popolari, o almeno attirare intorno a sé quello che lassù viene chiamato hype, ovvero la sensazione del momento, che fa di quell’artista o di quelle canzoni la cosa che ognuno sente di dover ascoltare. È successo invece anche qui, perlomeno in ambiente indie: prima con i reggiani Offlaga Disco Pax nel 2004, poi con Le Luci della Centrale Elettrica (alias del ferrarese Vasco Brondi) nel 2007. Ma mai con la virulenza e la velocità che ha caratterizzato I Cani. Di loro non si sa quasi nulla: sono il progetto di un ragazzo romano di 25 anni, che forse, a giudicare da quello che racconta nelle canzoni, si chiama Niccolò, vive nei quartieri bene della capitale e frequenta l’università. In ogni caso, niente foto né apparizioni a volto scoperto (intervistato da una tv on line, ha risposto alle domande con in testa un sacchetto di carta con due buchi per gli occhi). Dopo aver pubblicato nell’estate 2010 un paio di brani (I pariolini di 18 anni e Wes Anderson) su www.soundcloud.com, piattaforma aperta a tutti, subito è scoppiato il caso: quello che pareva un passatempo senza pretese ha fruttato un contratto con l’etichetta 42 Records, interviste a tappeto sul web, dibattiti furiosi tra i fans dell’indie italico, una marea di download a pagamento che portano il primo disco del gruppo, intitolato autoironicamente Il sorprendente album d’esordio dei Cani al secondo posto delle classifiche indie di I-Tunes e al sedicesimo in quella generale. Finisce che ne parlano i maggiori quotidiani, prima ancora che la band abbia suonato dal vivo una sola volta. Extra, ovviamente, non poteva mancare all’appuntamento.
Quando e come nasce il progetto I Cani?
Dare una risposta precisa è difficile. Avevo iniziato a scrivere canzoni in italiano, a tempo perso, con l’idea di arrangiarli e pubblicarli in un eventuale futuro. Mi sembra di aver scritto Wes Anderson, la prima canzone che poi effettivamente è diventato un pezzo pubblicato, nell’estate 2010. Non avevo le idee molto chiare su quello che ci avrei fatto.
Hai dichiarato che all’inizio volevi dare ai tuoi brani una veste sonora simile a Guided By Voices, ma poi ti sei reso conto che quella attuale è quella che rende meglio lo spirito dei testi. Come è stato questo processo e quali sono stati i tuoi riferimenti in esso?
Il processo in realtà è anche stato dettato da contingenze come la difficoltà di mettere assieme un gruppo per fare prove, registrazioni e tutto il resto. Anche se le avessi arrangiate con una band, avrei comunque cercato di evitare che suonasse come una cosa che si piangeva addosso, ma alla fine forse l’idea dei synth è stata vincente. Quando ho deciso di arrangiarlo da solo è venuto tutto in modo molto naturale e istintivo: l’unica decisione ispirata da qualcuno è stata distorcere ogni strumento sullo stile dei primi due di Wavves, ma il risultato finale c’entra ben poco.
Se io dovessi tirar fuori dei riferimenti per il vostro sound, direi che siete un mix di post punk adrenalico (quella batteria, quei ritmi in quattro spacca rullante...), elettronica anni 80 alla Orchestral Manoeuvres In The Dark, sguardo fustigatore della realtà contemporanea alla Battiato di Patriots e Bandiera bianca, eppure pieno di una pietas, di una com-passione, di una comprensione umana tipica di Morrissey. Ma magari tu hai tutt’altri riferimenti. Parliamone.
Confesso di non conoscere gli Orchestral Manoeuvres In The Dark se non di nome. Dal punto di vista musicale è stato tutto talmente spontaneo che è difficile indicare dei riferimenti precisi: forse effettivamente Battiato mi ha influenzato perché nel periodo in cui ho fatto l’album ascoltavo molto i suoi dischi degli anni ’80, ma in realtà non mi fanno impazzire i suoi testi e in particolare quell’aspetto di fustigatore della realtà contemporanea. La sua particolare sfumatura di snobismo di massa non mi dice molto, mentre mi ritrovo in quella di Morrissey, che hai rilevato anche tu: da una parte il distacco, da una parte una sorta di affetto sinistro nei confronti di tutto quello di cui parla. Anche di questo, comunque mi sono reso conto solo a posteriori.
I tuoi testi sono attentissimi ai dettagli e alla realtà romana. Eppure riescono a dare il ritratto di una generazione, o di una parte significativa di essa, e dello spirito di questi tempi valido in ogni angolo d’Italia che non sia totalmente sperduto. Qual è il tuo segreto?
Torna il discorso di sopra: è molto facile suscitare interesse elencando cose “di moda” o comunque riferite a una realtà specifica, spesso con un atteggiamento del tipo “noi contro di voi”, come se da una parte ci fossero i puri e dell’altra i modaioli, ma non è quello che mi interessa. Io mi sento coinvolto emotivamente, prima ancora che socialmente, nelle storie che racconto, e questo credo che faccia la differenza.
Velleità è forse il pezzo chiave del disco: il ritratto di un mondo di inetti, i cui grandi sogni si fondano sul niente ma li aiutano a vivere. È l’Italia di oggi. O no?
Gran parte dei sogni si fondano sul niente: dietro a ogni sforzo, di natura artistica o meno, c’è una persona che non sa veramente se sarà all’altezza delle proprie ambizioni, e non credo che questo succeda solo in Italia. Vale anche per me, e di fronte a ciò una serie di emozioni contrastanti che vanno dal fastidio alla compassione.
Perché hai scelto di non mostrare il tuo volto, né di far conoscere la tua identità? La gente ti potrebbe volere così male?
Più che altro mi vergogno e non mi va di essere messo in mezzo personalmente. Cerco di mantenere un certo distacco tra me come autore di canzoni e me inteso come persona con un nome e cognome, proprio per non vivere troppo male le critiche di cui sopra.
Mentre il web e i quotidiani impazziscono per I Cani, qualcuno ti ha tacciato di band costruita, di radical-chic, di criticone degli stessi ambienti in cui vivi e perciò di essere uno che sputa nel piatto dove mangia. Cosa rispondi a questa gente?
Nulla: non posso convincere le persone a leggere il progetto in un modo piuttosto che in un altro, è una battaglia persa. Non mi sembra di sputare nel piatto in cui mangio, non mi sembra di sputare da nessuna parte.
Soundcloud è il sito da cui è nato tutto, in seguito al tuo post dei primi brani. Collegati a quattro canzoni dei Cani ce ne sono due de I Gatti: dài che ci sei tu dietro anche a questo progetto. Come nel titolo del disco, ti autopigli in giro.
Per fortuna non c’entro niente! Farsi la parodia da soli è triste. Ammetto che quando ho visto il Soundcloud dei Gatti sono stato molto contento perché si può fare la parodia solo di qualcosa che non c’era prima, quindi è una sorta di attestato del valore del progetto.
Fa paura tutto questo hype attorno al progetto?
Io sono contento del disco che ho fatto e non mi sembra di aver manipolato nessuno. L’hype fa paura quando dietro non c’è nulla. Semmai può dare fastidio l’odio, i giudizi trancianti, la violenza di certe dichiarazioni. Vorrei essere abbastanza forte da fregarmene, ma non sempre ce la faccio.
Articolo del
15/06/2011 -
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