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Torna in questi giorni, dopo 11 anni di assenza dalla discografia, il milanese d.o.c. Mario Lavezzi, con un nuovo album dal titolo L’amore è quando c’è. Chi conosce Lavezzi sa che si tratta – senza se e senza ma - di uno dei più importanti artisti italiani di sempre. Per rinfrescare la memoria ai più disattenti, basti dire che Mario Lavezzi esordisce a metà degli anni Sessanta con i prime-movers del beat tricolore The Trappers; dopo i primi successi con i Camaleonti si ritrova nella scuderia Numero Uno dove è uno dei più stretti collaboratori di Battisti e Mogol come autore e musicista, e come cantante con il suo gruppo Flora Fauna Cemento; e a partire dalla metà degli anni Settanta inizia a produrre e scrivere canzoni per artisti del calibro di Loredana Bertè, Anna Oxa, Lucio Dalla e Fiorella Mannoia. Incide in proprio anche alcuni album per nulla disprezzabili (Iaia del ’76 e Cartolina del 78 su tutti) ma è soprattutto dietro le quinte che Lavezzi dà abitualmente il meglio, ed ottiene i più grandi successi. In tempi recenti, l’artista meneghino ha prodotto Leda Battisti, Marco Carta, Alexia e la sempreverde Ornella Vanoni, e si è dedicato anima e corpo al rilancio dello storico locale di Milano Derby, insieme al suo amico fraterno Teo Teocoli, con il quale ha poi intrapreso un tour italiano di gran successo che è tuttora in corso.
Oggi, a 63 anni e nonostante i tuttora molteplici impegni, Mario Lavezzi si rimette in gioco e torna a interpretare da solo (fatto salvo un duetto con Ornella Vanoni) le proprie canzoni in questo nuovo album edito dalla Universal, che rappresentano, dice lui, “momenti realmente vissuti”, come la dolorosa separazione dalla moglie Mimosa, da cui ha avuto due figli, e con la quale si è poi ricongiunto. Qualche giorno fa ho avuto modo di incontrare Lavezzi e di chiedergli maggiori lumi sul nuovo lavoro. Eccone il resoconto.
Come nasce, Mario, questo nuovo album? E qual è stata la scintilla che ha fatto (ri)nascere in te la voglia di cantare le tue canzoni in prima persona dopo un intervallo di 11 anni?
Questo nuovo disco nasce proprio dalla tournèe con Teocoli. Era molto che non salivo sul palco a fare spettacoli (perché ho prodotto sempre spettacoli per altri, tipo Ornella Vanoni ecc. ecc...) e con Teocoli abbiamo pensato a quest’idea per il mio compleanno. La sera del mio 60° compleanno ho radunato un po’ di amici in un club privato di Milano e a un certo punto, ovviamente, gli amici hanno iniziato a spronarmi: “Dài, facci qualcosa…!” E allora son salito e ho cominciato a fare qualche canzone e a quel punto Teo, che è sempre molto protagonista...
Teo Teocoli tu lo conosci praticamente da sempre...
Con Teo io ho un’amicizia che inizia fin da quando io avevo 16 anni e lui 18. Lui faceva parte di un gruppo che avevo fondato allora [metà degli anni Sessanta, n.d.a] che si chiamavano i Trappers. E ci avevano proposto un contratto, il primo contratto vero che abbiamo avuto noi, di una stagione a Finale Ligure...
Nei Trappers Teo era il cantante...
Sì, cantava. Cantava e faceva il leader del gruppo. Si presentava a mezzanotte, faceva cinque o sei canzoni e poi andava via... Però, andava bene così...! Puoi immaginare: a quell’età, io 16 lui 18... lui è il leader! E’ così, no? Poi soprattutto a quell’epoca... E quindi [alla festa del mio compleanno] Teo è salito sul palco e ha cominciato [a coinvolgere anche me]. E c’era la gente che si ammazzava dalle risate, oltre a divertirsi con le canzoni intercalate a questi suoi momenti di comicità. E da lì... siccome dopo ci telefonavano tutti (“ma rifatela questa cosa qua...!”) allora noi abbiamo rilanciato il Derby a Milano, e poi abbiamo pensato di fare uno spettacolo così. Teo era da un po’ che faceva uno spettacolo che si chiamava “One Man Show”, e allora da “one man” è diventato “Two Men Show”!...
Insomma, grazie allo spettacolo con Teo hai riscoperto il gusto di esibirti dal vivo...
Sì, le mie canzoni all’inizio aprivano lo spettacolo e poi arrivava Teo, e arrivava tutto da Teo. Per cui, da lì, facendo 150 date (più o meno...) ti accorgi che acquisisci un nuovo contatto col pubblico, riscopri determinate cose che hai celato, hai tenuto a bada... Ma anche non so... il modo di cantare. Io una volta cantavo in una maniera perché avevo dei parametri, dei punti di riferimento di un certo tipo... e improvvisamente ti accorgi che canti in un’altra maniera. E’ un fatto di maturità e, proprio, del contatto col pubblico. Quindi è nata questa cosa. Avevo lì delle canzoni...
Delle canzoni nuove. Scritte in questi dieci anni, suppongo.
Certo. Canzoni che non abbiamo dato [ad altri]. Ma anche Biancaneve [presentata insieme ad Alexia a Sanremo 2009, n.d.a.] Biancaneve era stata scritta per il duetto Celentano-Mina ma loro avevano scelto Acqua e sale, grande successo lo stesso, più popolare se vuoi di Biancaneve. Ma io ho un’incapacità – ed è un rimprovero che mi faccio – di scrivere delle canzoni che hanno dei parametri di un certo tipo: strofa, bridge, inciso. Mi appartiene da sempre. Il primo giorno di primavera forse... La prima canzone che ho scritto [incisa dai Dik Dik nel 1969, n.d.a]. Ma il mio è un modello, se mi posso permettere, più anglosassone-americano, che è sempre stato il mio punto di riferimento. Per cui, non mi viene la canzone dove parti con la strofa bassa e poi nell’inciso esplodi. A me non viene (ride, n.d.a). E me ne dispiace, perché così mi sono giocato dei grandi successi.
Be’, però li hai fatti anche, dei “grandi successi”...
Sì, però quelle lì sono le classiche canzoni all’italiana che notoriamente poi, parlando di SIAE, creano molto ritorno di diritti d’autore. Mentre le altre, a parte che son cantate o suonate da musicisti un pochettino più “sofisticati”, allora restringi la nicchia... O comunque il numero.
Ci sono però anche tanti tuoi pezzi ancora suonatissimi, dei classici. Pensiamo solo a “E la luna bussò” della Bertè o a “Stella Gemella” di Ramazzotti, solo per citarne un paio.
Non mi lamento, per carità...
Teocoli non compare sul disco?
No. Teocoli lo ringrazio, sulle [note di copertina del disco] (ride, n.d.a.). Ringrazio Ornella Vanoni che ha fatto il duetto con me. E Teo anche, perché è anche grazie a lui che io ho voluto fare questo disco. La cosa è nata con lui e poi ha fatto nascere questa cosa.
Un lupo di mare navigato come te che cosa si aspetta, nel 2011, da un nuovo disco?
Guarda, l’obiettivo mio eventualmente è quello di proseguire [l’esperienza dei live]. Fra l’altro, in 150 date, il fatto di cantare sempre le stesse canzoni mi aveva un po’ annoiato. Volevo qualcosa di nuovo da fare, prima di tutto. I dischi non si vendono più. Quindi non c’è nessun tipo di aspettativa, tipo: “andiamo in classifica”. Non me ne frega niente. Te lo dico con la massima sincerità. La Universal ha deciso di pubblicare questo disco perché ha sentito una qualità nelle canzoni. Fortunatamente le prime recensioni sono tutte entusiastiche, per cui dico: “meno male…!” Vuol dire che quanto meno quello che ho scritto non è una pippa che mi sono fatto solo io. Però, fondamentalmente, nasce proprio dalla necessità poi di fare delle cose col contatto con le persone, con la gente... Indipendentemente da come va a finire il disco. Io questo [disco] me lo porto appresso un anno o due. Cioè, torno a quello che era una volta: dare valore a quello che fai. Ad esempio, anche nelle produzioni con Ornella... io ero contrario dopo avere fatto Più di me a fare Più di te subito, l’anno successivo. Perché vuol dire bruciare subito quello che hai fatto, nel senso che non si dà tempo alle persone di apprezzare. Anche le canzoni, i singoli che si sentono in radio, durano un mese. Ormai è un progetto autolesionista, non c’è niente da fare, autolesionista anche per le radio stesse. Una volta una canzone durava uno, due, tre anni... e le case discografiche facevano un disco anche dopo tre-quattro-cinque anni. Questo dava più possibilità a chi scrive [canzoni]. Io ho raccolto 10 anni di canzoni e forse è questo il motivo per cui la gente lo sente e dice: “eh ma che bel disco...!” Perché ho cercato di mettere dentro il meglio. Di non mettere una cosa tanto per fare l’album, ma di mettere delle cose che potevano essere tutti dei singoli. Ma è grazie al fatto che c’è uno spaccato di vita preso e messo dentro lì. Non un disco via l’altro. Sicuramente, se io facessi un disco tra un anno, non viene mica così. Non viene così. Bisogna scrivere le canzoni.
Tu sei uno dei più grandi autori italiani di sempre ma magari, per via del fatto che hai spesso lavorato dietro le quinte, sei meno famoso di altri che hanno anche cantato i loro successi. Ti secca questo fatto?
Sì, però tutto nasce dall’ambizione. Io nasco come componente di un gruppo, poi ho conosciuto Loredana Bertè e via dicendo. E la mia indole mi ha portato a farmi piacere di più la costruzione di un qualcosa, tipo regista, che non la prima persona. E’ la volontà che ti fa fare le cose. I miei dischi li ho fatti sempre - come in questo caso - a mo’ di divertimento. Producendo qualcuno hai una responsabilità: devi fargli fare successo. Il flop te lo può imputare lui ma anche la casa discografica. E’ come per i film. Fortunatamente mi sono sempre scelto artisti di grande qualità, di grande spessore. Invece, nei dischi che facevo per me avevo più libertà, senza quel tipo di pressione, e in automatico, anche con la casa discografica e con la promozione, non avevo la pretesa di [vendere centinaia di migliaia di copie], perché non avevo messo questa pretesa neanche in quello che stavo facendo, di centrare la canzone che ottenesse il consenso. E’ un fatto proprio di indole che non c’era. In quel periodo in me non c’era. Ma neanche adesso. L’amore è quando c’è è il disco di un autore che si racconta. Un autore che ha una storia di autore, produttore, ecc. ecc. E quindi tu lo puoi prendere , io credo, con uno spessore diverso. E’ una proposta diversa.
Articolo del
06/10/2011 -
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