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Incontriamo Davide Toffolo, leader dei Tre Allegri Ragazzi Morti che, tra progetti fumettistici e nuove esperienze musicali, cerca di dar nuovamente voce alla scena italiana di oggi.
Ho saputo delle difficoltà che ci sono stata al “Villa Tempesta Festival”, com’è andata?
È stata una giornata difficile perché la tempesta è arrivata sul serio (ride n.d.a.)! Abbiamo fatto solo un quarto della programmazione ed è stato drammatico ma allo stesso tempo anche interessante per chi è rimasto. Alcuni artisti hanno comunque cantato in una situazione complicata da vedere, unplugged sotto la loggia della villa. Mi dispiace per tutta la gente giunta da mezza Italia, ma il festival che vedrà esibirsi tutte le band della Tempesta, sarà recuperato il 3 dicembre al Rivolta di Marghera a Venezia.
Ultimamente si parla di crisi musicale. Forse è in peggioramento il modo di gestire la musica, non tanto il di farla. La Tempesta Dischi cosa cerca di fare in tutto questo scenario?
Parte da un presupposto ideale ed economico diverso perché non è un’etichetta nel senso stretto del termine; non specula sulle proprie band. Lo definiamo un collettivo di artisti indipendenti che in questi anni ha identificato una direzione da seguire, per una nuova possibilità di musica in Italia. Per La Tempesta la musica ha di base una libertà diversa dalla solita che circola, ha un fondo comunicativo. Non è fatta per la pubblicità o per la televisione!
Quindi il vostro passaggio da una major a poi fondare poi la Tempesta, è stato anche per questi motivi?
I Tre Allegri Ragazzi Morti sono stati sempre un gruppo autogestito e la nostra parentesi con una major ci ha fatto forse capire meglio quello che volevamo. Di conseguenza da questa esperienza abbiamo preferito l’autonomia produttiva e così facendo è nata La Tempesta.
Che requisiti deve avere una band per far parte della Tempesta?
La musica è la cosa essenziale; anche se, forse, una band lo “capisce da sola” se può avvicinarsi alla Tempesta. Per quanto riguarda quello che pubblichiamo, tendiamo a dar spazio all’originalità sia nel modo di proporre la musica, sia nel senso stretto del termine. Non siamo interessati a cloni di altre band che sono già in circolazione.
Anche il Teatro degli Orrori o Molteni, hanno “capito da soli” che poteva far parte del collettivo Tempesta?
Se il Teatro o Molteni avessero immaginato di fare un disco con una qualsiasi casa editrice, non si sarebbero avvicinati a noi. I gruppi interessati a noi, hanno una bassa chance nei confronti del mercato tradizionale, perciò trovano nella Tempesta un supporto promozionale. La musica che tendiamo a offrire è paradossalmente qualcosa che non ha precedenti sul mercato italiano; dopo di che lo diventano dei “precedenti”.
Parlando invece del vostro ultimo cd, "Primitivi del Dub" (2010, La Tempesta dischi), molti dicono di un cambio di stile, altri invece una sorta di evoluzione naturale, è così oppure...?
Non l’ho mai sentito come un disco in discontinuità rispetto a quello che abbiamo fatto prima. È un nostro viaggio dentro una musica che non abbiamo mai affrontato prima, però abbiamo quest’esperienza in continuità con quanto pubblicato in precedenza: forse è anche quello più bello (ride n.d.a.).
Avete raggiunto una sorta di maturità in tutti questi anni e dopo tutti gli album che avete avuto alle spalle.
I nostri album sono delle fotografie del momento che stiamo vivendo, l‘ho sempre vista così; per questo sono affezionato a tutti i dischi che abbiamo fatto. Ogni album è differente e Primitivi del Dub ha una sua diversità nel genere, ma al suo interno il nostro marchio è assolutamente visibile.
I Tre Allegri Ragazzi Morti sono vivi dal ’94, com’è variato il vostro approccio sul palco ma soprattutto anche con i fan in questi anni?
Sul palco, in particolare per Primitivi del Dub, è cambiato l’atteggiamento sonoro, la parte musicale è diventata più accurata e forse più importante. I TARM hanno avuto un rapporto nel più possibile dei casi sincero con i nostri fan, anche se ogni tanto hai la percezione di avere un rapporto diretto, altre di perderlo un po’ di vista. La nostra non è musica che ascolti facilmente alla radio, perciò quello che ci rimane dall’incontro con chi ci segue, è la coscienza di trovarci davanti con chi ha una forte sensibilità per la musica. Quindi sotto il palco ci capita di avere la meglio gioventù.
Com’è stato il vostro ritorno a casa, a lavorare nella vostra provincia di Pordenone?
È stato un ritorno interessante, è la prima volta che facciamo un disco a casa. Abbiamo trovato persone con una preparazione molto alta, molto superiore a quando ce ne siamo andati, una bella sorpresa molto forte per noi. Proveniamo da una provincia del Friuli occidentale abbastanza particolare, perché anche se molto piccola, ha un carattere musicale molto forte: in questo momento si specchia con il reggae, come in un periodo i gruppi più interessanti che c’erano qui suonavano punk. Prossimi progetti, tra fumetto e musica, ai quali stai lavorando?
Sto lavorando alla biografia di un grande miniatore, Magnus, che spero di riuscire finire entro la fine dell’anno. Però il mio grande nuovo progetto si chiama Coro Anni Dieci. È un coro che coinvolge una cinquantina di persone, dai venti ai cinquanta anni, e cerchiamo di ritrovare la forma della canzone popolare nuova. Non ha una funzione di ricerca folkloristica sul passato, ma è ha una dimensione di ricostruzione della musica popolare dal 2000 a oggi attraverso il coro.
Articolo del
07/10/2011 -
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