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Il trentaseienne Giuseppe Peveri in arte Dente, originario da Fidenza in provincia di Parma (lo stesso paese in cui nato Gene Gnocchi) ma emigrato a Milano, è uno dei più evidenti talenti italiani della scena – per così dire – dei nuovi “cantautori”. Dente è nato e si è affermato in ambito indie, ma è possibile fin d’ora prevedere una sua prossima, inesorabile, affermazione anche nel mainstream. Se non altro perché scrive canzoni talmente belle che sarebbe un peccato se la loro fruizione restasse limitata a una fascia di pubblico che è necessariamente ristretta.
Nei giorni scorsi ho avuto modo di incontrare Dente durante il giro per lanciare il suo egregio quarto album Io tra di noi, appena uscito per la Ghost Records. L’ho trovato ciarliero e disponibile e ho scoperto (cosa che ignoravo) che oltre a dedicarsi anima e corpo a comporla e suonarla, la musica, è anche un maniacale appassionato e collezionista di dischi, in special modo di vinili originali degli anni Sessanta e Settanta. E’ stato un gustoso “terzo grado” di cui vi propongo il resoconto (semi)integrale.
Dente, tu fai parte di una generazione di cantautori che stanno arrivando a imporsi intorno ai trenta-trentacinque anni piuttosto che sui venti-venticinque come accadeva a quelli “classici” degli anni Settanta. Come te lo spieghi?
Sì, questo è vero. Io non so bene il perché. Probabilmente è proprio una questione di “tempi”. Cioè, quelli erano gli anni Settanta e questi non sono più gli anni Settanta. E’ cambiato molto. Tantissimo, direi. Io non li ho vissuti gli anni Settanta perché sono del ’76, quindi li ho vissuti poco e senza capirci niente perché ero troppo piccolo. Quindi... son cambiate tantissime cose. Qualcuno in realtà in questi anni sta facendo delle cose.. penso a Vasco Brondi... lui è molto giovane, è molto più giovane di me. Noi abbiamo fatto molto più gavetta, penso a me e penso anche a Brunori, e anche ad altra gente. Anche se in realtà abbiamo cominciato negli anni Novanta quando in realtà negli anni Novanta poi c’era gente giovane che faceva cose. Quindi non so in realtà bene se è una questione nostra che non eravamo abbastanza pronti per fare qualcosa di interessante a vent’anni. Forse è colpa della nostra generazione che comincia a capire qualcosa verso i trenta...
Però in fondo accade anche negli altri campi lavorativi: le nuove generazioni oggi fioriscono con molta più lentezza di quanto non avvenisse negli anni Sessanta e Settanta...
Io a vent’anni comunque non riuscivo a scrivere le cose che scrivo adesso. Non riuscivo a scrivere le cose che scriveva, ad esempio, negli anni Settanta, gente che aveva vent’anni. E mi fa anche un po’ strano, a dirti la verità, sentire quei dischi di gente giovanissima...
Come “Rimmel”, per esempio. Quando l’ha inciso, De Gregori non aveva neanche venticinque anni.
Esatto. E penso anche ai primi dischi di Finardi, che aveva, non so, vent’anni o ventuno... Che è un’età che adesso vedo la gente di vent’anni e penso che sia molto piccola, molto giovane. Mi fa strano che allora gente di vent’anni facesse delle cose incredibili, bellissime, e che sono comunque passate alla storia. Non so bene perché oggi funzioni così. Un po’ mi dispiace, in realtà. E un po’ credo che sia anche una fortuna, nel senso che forse uno a vent’anni o diciannove o diciotto, se ha un grande successo di pubblico può anche rimanerci un pochettino scottato. Invece a trent’anni vivi tutto molto più tranquillamente, tutto quanto con molta più coscienza e ... Io sono molto più tranquillo adesso. Se mi fosse successo a diciotto anni quello che mi è successo adesso, non so come l’avrei presa. Forse mi sarei spaventato tanto... - adesso non sono più spaventato – e forse avrei rifiutato forse... - oggi non rifiuto più – o forse ci sarei rimasto dentro e fatto delle scelte sbagliate... Non lo so, son tutte ipotesi. Però, da un certo punto di vista sono anche felice che mi sia successo adesso tutto quello che mi sta succedendo. Poi non si sa quanto durerà. Però, insomma, per adesso mi sta andando abbastanza bene...
I tuoi dischi iniziali, quelli più spartani per la Jestrai, come li giudichi adesso? Te li senti ogni tanto?
Be’ sì, l’ho risentito anche poco tempo fa il mio primo disco [“Anice in bocca” del 2006 n.d.a.]. Continuo a ritenerlo un bel disco. A me è un disco che piace. E’ un disco che è stato accolto ovviamente con molta freddezza perché è un disco anche abbastanza particolare, abbastanza strano, ne erano state stampate solo 300 copie...
E della Spina invece cosa mi dici? Quei dischi sono introvabili...
La Spina è il mio primo gruppo, in cui io ero il chitarrista, non scrivevo i pezzi. Son due dischi, uno del ’99 e uno del 2000. I pezzi non li scrivevo io, facevo il chitarrista. I pezzi li scriveva Andrea che adesso suona le tastiere con me. E alla batteria c’era Gianluca che adesso suona la batteria con me. Quindi siamo rimasti sempre noi, fondamentalmente. Sì, quei dischi non si trovano più. Erano dei bei dischi... era un mondo completamente diverso anche si parla di dieci anni fa. Io mi ricordo che era veramente un altro pianeta. Cioè, noi per suonare telefonavamo da casa ai locali, spedivamo la cassetta, andavamo a suonare per niente, non c’era attenzione da parte della gente. Non c’era questa attenzione che c’è oggi, che piano piano è cresciuta tanto. Si sono aperte molte strade, molta gente è venuta a conoscenza di questa “scena”, molta gente si comincia a interessare alla musica italiana “nuova” perché sembra che ci sia una sorta di rinascita della musica italiana. La gente non ha più solamente i “mostri sacri” da ascoltare ma c’è anche gente nuova che può anche incontrare al bar con cui può scambiare due chiacchiere o andare a vedere dal vivo senza spendere centinaia di soldi... E questa cosa sta piacendo alla gente. Perché poi la gente in Italia è molto legata a quel tipo di canzone. Cioè: tutti abbiamo nella testa quelle canzoni di De Gregori piuttosto che di Dalla, di questa gente qua che ha fatto la storia della nostra musica. E ritrovarla in gente che magari ha la tua età e che la fa in maniera, secondo te, valida... Questo secondo me sta piacendo molto alla gente.
C’è questo fatto, poi dei mass media che tendono a semplificare le cose per il pubblico. Il tuo amico Dario Brunori, per esempio, spesso viene definito il “nuovo Rino Gaetano”. E tu solitamente passi per il “nuovo Battisti”. Anche se nel nuovo disco mi pare che tu ti stia smarcando da quel modello.
Sì, secondo me sì. Ci sono ancora delle cose, però è meno centrato su Battisti. Non è che io mi sono mai impuntato nel fare le cose battistiane; ovvio che quando mi riesce una cosa battistiana, dico: “ah che bello, questa è una “battistiana”” [ride n.d.a]. Perché Battisti mi piace molto. E quindi cioè, non è che dico, “ah che schifo, ho fatto una roba che sembra Lucio Battisti”. Però non ho mai cercato di farlo, insomma... l’ho ascoltato tantissimo e questo evidentemente si sente. Poi da qui a essere il “nuovo Battisti”, c’è di mezzo il mondo intero.
“La presunta santità di Irene” però era proprio una citazione.
Quella è una citazione, assolutamente. Io ho portato in studio Anima latina e ho detto: “l’inizio del mio disco vorrei che fosse così, come l’inizio di quest’altro”, perché volevo citare quel disco... Perché era il primo disco che facevo con una band, con tutti gli strumenti e quindi con basso batteria e tutto quanto... E così... una sorta di regalo che mi facevo, anche, no? Di voler rifare un inizio uguale all’inizio di un disco che amo e che ho amato tantissimo. Una citazione. Poi questo in realtà ha suscitato tante parole da parte della stampa, qualcuno ha detto: “ha copiato”, qualcuno ha detto, “questa citazione... ma allora è il nuovo Battisti...” In realtà è semplicemente una cosa mia, che volevo che suonasse così. Mi piaceva quell’inizio e volevo citarlo, semplicemente.
A parte Battisti e i cantautori, ho letto un’intervista in cui citavi di aver molto amato anche la musica “grunge”...
Il grunge sì, ma non come ispirazione. Però quando mi si chiede che musica ascolto, che musica ho ascoltato nella vita, non posso non dire quello. La mia generazione ci è inciampata dentro, ovviamente, perché avendo avuto 18 anni nei primi anni Novanta mi sono legato a quel tipo di musica là. Io ero un grande fan dei Pearl Jam ad esempio. Che adesso non riesco ad ascoltare, ad esempio (ride n.d.a.). Ma neanche quei dischi là che ho amato tanto. Se li metto su adesso mi vengono le bolle!
E’ una fase che hai completamente superato.
Sì, ed è una cosa molto strana, perché non lo avrei mai detto. Quando invece ci sono cose che ascoltavo allora, come ad esempio il sopracitato Battisti, piuttosto che anche altre cose che ascoltavo allora, che le rimetto su oggi e filano via proprio, le ascolto con grandissimo piacere. In realtà non ho mai capito se è quella musica là che non era abbastanza “forte” da passare sotto le grinfie del tempo, oppure se sono io che sono cambiato tanto. Non lo so... Però credo anche che ascoltare oggi Ten dei Pearl Jam ed essere entusiasta... Forse sarei una persona molto diversa insomma. Mi piace anche l’idea di essere cambiato. E poi comunque sono un po’ convinto che sono dischi un po’ legati a quel periodo… non sono dischi “eterni”, quelli. Come ad esempio sono dischi eterni quelli di Endrigo, fatti trent’anni prima, però che messi su oggi spaccano il culo, come si dice.
Insomma, le “schitarrate” non ti dicono più niente.
No, perché credo che le parole siano più forti di qualsiasi chitarra elettrica, di qualsiasi amplificatore, di qualsiasi distorto. Non c’è pezzo grunge che tenga davanti a Canzone per te di Sergio Endrigo. Io credo che sia così, almeno, per me è così. Non mi trafiggono più le chitarre elettriche, non mi trafigge più un urlo, ma mi trafiggono di più le parole messe in fila giuste con la melodia giuste e con l’intenzione giusta e con l’interpretazione giusta. Mi trafigge di più Ed io tra di voi di Aznavour.
Che è stata poi l’ispirazione per il titolo del tuo nuovo album “Io tra di noi”...
Be’, son canzoni che le ascolti e rimani [a bocca aperta]... Piuttosto, che so, davanti a un qualsiasi pezzo di Jimi Hendrix, per quanto mi riguarda. Poi i gusti sono gusti...
(FINE PRIMA PARTE - CONTINUA NELLA SECONDA PARTE)
Articolo del
17/10/2011 -
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