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(SEGUE DALLA SECONDA PARTE)
Sono molti anni che vivi a Milano?
Sono ormai sette anni che sono a Milano.
La scelta di vivere lì è stata legata al voler fare musica?
No, no. E’ venuta dopo la musica. Ho fatto una scuola di grafica a Milano, perché volevo cambiare vita... Facevo il magazziniere a Fidenza, e volevo cambiare vita.
E comunque a Milano c’è una bella scena musicale. A Fidenza immagino che non ci sia.
Sì sì, esatto. E infatti lì è stato molto bello anche, perché appunto, ho cominciato a capire che si potevano fare delle cose, si potevano muovere delle cose... Ma è stato in realtà un incontro con la città molto “umano”, cosa che non mi aspettavo. Ho trovato anche molta gente che ad esempio mi ha dato una mano con la musica. Nel senso che io sono arrivato a Milano e mi sono registrato un “demino” che comunque, lo tenevo lì in casa. Poi insomma, ho conosciuto gente che poi per caso ho scoperto che magari scriveva su qualche giornale, loro per caso hanno scoperto che io suonavo, gli ho dato il disco e... E’ gente che mi ha aiutato, ma "aiutato" non nel senso mafioso del termine, nel senso: “ah ma sai che c’è quel locale là...” (poi io ero appena arrivato a Milano), “c’è quel locale là che secondo me ti fa suonare... non pagano, però puoi andare a suonare, dài, ti veniamo a vedere”. Insomma, così pian piano ho cominciato, e ho trovato veramente un ambiente bello vivo, di gente anche vogliosa di conoscere cose nuove e che quando ti poteva aiutare ti aiutava. Ma anche gli stessi artisti. Quando ho conosciuto Bugo, ad esempio... mi ha telefonato e m’ha detto: “verresti ad aprirmi il concerto? Perché mi hanno parlato bene di te...”
Come dire: da cosa nasce cosa...
Esatto. E questo mi è piaciuto molto, mi è piaciuto veramente tanto.
E quand’è che hai capito di volere e potere vivere esclusivamente di musica?
Ah, quello l’ho sempre fatto. Ti racconto un attimo la storia: io sono andato a Milano per fare la scuola di grafica, per cambiare vita perché non mi piaceva. Poi mi è capitato di dover fare un concerto perché mi ha chiamato un amico da Fidenza dicendomi che era saltato un concerto nel locale di Fidenza che gestiva lui. Io avevo fatto tre concerti nella mia vita. Lui ha detto: “ti prego, vieni a tapparmi il buco di questo concerto”. C’era un contest, organizzato da Jestrai (che come sai è la mia prima etichetta). Io sono andato là, ho detto “va bene vengo”. Ho fatto quattro pezzi chitarra e voce e Jestrai poi è venuta lì e m’ha detto: “vogliamo farti un contratto discografico e vogliamo farti uscire un disco”. Quindi proprio, la casualità più totale del mondo...! E da lì, da quando mi hanno detto così, io stavo facendo lo stage della scuola. Avevo finito la scuola di grafica, stavo facendo lo stage e avevo capito che la grafica non era mica tanto la mia vita... e che sarei finito ad impaginare dei giornali. E quindi ho detto: “va be’, facciamo ‘sto contratto discografico”. Io avevo praticamente due dischi pronti: Anice in bocca, e stavo finendo Non c’è due senza te. Io comunque facevo i dischi anche se poi non uscivano, li facevo e li mettevo lì. Avevo già i dischi pronti... Ne avevo fatti due anche prima di Anice in bocca, che sono ancora là e non sono mai usciti. Da quel momento ho detto: "va be’, tanto non ho niente da perdere, sono venuto qua perché volevo cambiare vita, non ho lavoro, proviamo a suonare...” Cioè: mi dedico al cento per cento della mia vita a fare questo. Da lunedì a lunedì suono, ovunque, in ogni dove, a qualunque prezzo e a qualsiasi condizione. E l’ho fatto. E da lì ho cominciato a pagarmi l’affitto. Cioè: suonavo in un bar all’aperitivo, per trenta euro, a Milano. Lo facevo. Soffrivo come una bestia.
Hai sofferto per l’arte, insomma. Lo puoi dire forte.
Ho sofferto tantissimo. Cioè: suonare con la gente che ti passa davanti col piattino... Per certi punti di vista molto, molto terribile. Però, alla fine dei conti, ho visto che facendo tutti questi concerti e facendo tanti sacrifici di vita... Cioè, che voleva dire: non avere più una macchina, non andare più al cinema, non comprare più libri, non comprare più dischi, mangiare sempre in casa, fare la spesa controllando prima i prezzi e poi i prodotti... Facendo tutti questi sacrifici, però suonando tanto, mi facevo le ossa innanzitutto, mi facevo lo stomaco... perché quando hai suonato nel posto peggiore del mondo nelle condizioni peggiori del mondo, poi quando vai in una situazione normale ti sembra di essere in paradiso anche se in realtà è normale... e quindi mi sono fatto tante ossa e piano pianino ho cominciato a capire che... cioè, ho sempre poi vissuto di questo. Facendo una vita ovviamente molto morigerata. Dicendomi proprio: non mi interessa più comprarmi i libri, comprarmi i dischi, ma mi dedico a questo. Scrivo, faccio le canzoni, suono dappertutto e vediamo come va. Tanto, tornare indietro non voglio tornare indietro. Preferisco morire sotto a un ponte di stenti piuttosto che tornare indietro. E quindi, vado avanti e vediamo cosa succede...
Cos’è, un monito per le future generazioni che volessero intraprendere la tua stessa strada?
(ride, n.d.a.) Poi così ho fatto... Ho fatto un paio d’anni veramente in questa modalità, cioè con la chitarra in treno, a suonare dappertutto. Dovunque.
Da quanto ho letto, però, la vera svolta è stata dopo un concerto, quando ti hanno proposto di firmare un contratto di edizioni con la EMI. Che non è banale.
Sì sì. Quella mi ha salvato il culo perché avevo i debiti (ride n.d.a.). Cioè, non avevo debiti pesanti, però quella mi ha salvato...
Ce l’hai ancora, fra l’altro, il contratto con la EMI.
Sì... Lì è stata una cosa strana perché ero con Aldo Nove che mi ha chiamato, stranamente... Io non lo conoscevo, mi ha chiamato per accompagnarlo a suonare durante la presentazione di un suo libro. E io ci sono andato. Senza capire bene il perché m’avesse chiamato a far ‘sta cosa. E’ stato là, e ho fatto un pezzo... e tra l’altro ho cantato un pezzo che non è mai uscito, e c’era questa ragazza che lavorava alla EMI che mi ha visto e mi ha chiesto il disco. Mi ha proposto poi il contratto di edizioni e mi ha trovato un’etichetta.
Avevi già pubblicato “Anice in bocca”?
Avevo appena fatto Non c’è due senza te, eravamo già lì. Questa è stata un’altra cosa strana come quella della Jestrai prima. Tutti dei momenti un po’ particolari che non capisco bene perché sono successi, però sono successi.
Momenti di svolta.
Una serie di cose fortunate che mi sono successe, perché poi la fortuna ci vuole. Ci vuole la fortuna e ci vuole anche il coraggio di fare le cose. Io a un certo punto della vita ho anche cominciato a dire “sì” a tutto, a cose che prima invece non dicevo. Prima ero molto più restio a fare le cose. Invece a un certo punto ho detto “sì” a tutto. Facciamo tutto quello che possiamo fare, facciamolo. E quindi, da lì in poi è stata tutta in realtà una salita. Non c’è mai stato un gradino, se vogliamo vederla come un grafico. E quindi anche adesso non mi rendo bene conto. Non c’è stato uno sbalzo grande come può avere uno che magari va in televisione o che gli passano il pezzo da un momento all’altro alla radio tutti i giorni a tutte le ore che allora diventi strafamoso. E’ stata proprio una cosa molto graduale, quindi in realtà non mi rendo nemmeno conto, per me non è successo niente di che.
(CONTINUA NELLA QUARTA PARTE)
Articolo del
28/10/2011 -
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