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(SEGUE DALLA TERZA PARTE)
Solitamente componi prima la musica o i testi?
Penso che vengano contemporaneamente, spesso.
Sinceramente mi viene difficile crederci. I testi sembrano lavorati in maniera certosina.
Spesso mi vengono molto di getto, i testi. In alcuni casi ci lavoro su un po’ di più, ma in altri... magari in mezz’ora ho fatto una canzone. Finita. E li scrivo, magari partendo da una frase, con già una melodia in testa. Parte la frase con la melodia e mi metto la chitarra e vado avanti a farla. Nascono praticamente contemporaneamente. Nascono ovviamente prima l’idea del testo, però già con una melodia. Che poi magari non è quella definitiva, però nascono già melodiche le parole. Perché comunque il suono delle parole deve avere un suo senso. Non scrivo mai, e non mi piacciono, le canzoni che si sente che sono prima scritte senza pensare a una melodia e poi messe in musica. Si sente che sono un po’ “storte”. Io faccio sempre così; mi “canto i testi in testa”. Perché appunto: le parole devono suonare anche da sole senza musica.
A te non è mai capitato di avere blocchi compositivi?
Sì... sì sì, spessissimo. Faccio dei lunghissimi periodi senza scrivere. Infatti anche il problema di fare questo disco... perché ero in panico, perché ho detto...”non ho canzoni!”... E invece poi alla fine, ogni tanto mi vengono delle idee e le abbozzo, le butto giù, me le appunto e... e poi ci lavoro sopra quando ho tempo.
Su “Io tra di noi” per esempio, ci sono pezzi vecchi che hai rispolverato?
Sì, c’è l’ultimo pezzo, Rette parallele. E’ un pezzo molto vecchio, del 2005.
Era tale e quale o ci hai rilavorato sopra?
Era così ma aveva solamente la prima strofa e il finale. Lo sono andato ad ascoltare l’altro giorno, che ho ritirato fuori il vecchio computer dove avevo tutte le cose registrate in quel periodo che stavo a Fidenza. E c’era questa canzone, m’ha fatto molto impressione, non la ascoltavo da tanto tempo coi provini... Ed è uguale, identica. Mi ha fatto impressione perché mi è rimasta nella testa proprio così. Uguale uguale. E quando poi m’è rivenuta in mente ‘sta canzone qua, m’è venuto in mente il testo, come doveva finire, e ho completato il testo, ho finito tutto il testo... E allora non la avevo finita, ad esempio. Cioè: l’avevo messa lì e non riuscivo ad andare avanti. E forse non era il momento giusto per farla. E l’ultima – pensa... - l’ultima canzone di questo disco è la più vecchia di tutte. E la prima (Due volte niente, n.d.a.) è la più nuova. E’ proprio l’ultima canzone che ho scritto.
A proposito di “Io tra di noi”, ti volevo chiedere di “Giudizio universatile”, dove appare un violino che pare proprio preso in prestito dal Renato Zero degli anni Settanta...
Tutti lo dicono... Be’, comunque lui non se l’è inventata quella musica... Renato Zero, anche lui è uno che ha fatto delle cose strepitose in quegli anni là, ma non ha inventato la disco music.... Non ha inventato quel violino suonato in quel modo lì. L’ha inventato altra gente. Ma poi non è neanche disco music questo che ho fatto io. Diciamo che ci sono dei violini che buttano l’occhio da quella parte là, dalla disco music degli anni Settanta, quella bella, quando ancora la disco music poteva essere considerata bella. Però non è un pezzo disco. Però sì, molti citano Renato Zero su questo pezzo. Comunque non è una musica che s’è inventato lui.
E che mi dici del testo alla Bartezzaghi de “La settimana enigmatica”? Io, a dirti la verità, non ci ho capito molto.
Be’, è “enigmatica”...
Me la devi spiegare.
E no, non te la spiego. Sennò che enigma è, scusa?
Dài, dammi una mano...
Be’, “I re ne vogliono di più semplici” nel senso che i Re vogliono enigmi più semplici di questi. Che sono in realtà molto semplici, perché questa canzone è costruita ad enigmi. Sono tre enigmi a strofa e il risultato di un enigma è una parola. E forma una frase, una frase la prima strofa e una frase a doppio senso nella seconda strofa.
E il ritornello?
Il ritornello è una frase a doppio senso.
Dove c’è di mezzo (nuovamente) Irene mi è parso di capire...
Non so (ride, n.d.a.). Be’, Bartezzaghi non li spiega mica i cruciverba, scusa.
Tu qual è il pezzo che preferisci di tutto il disco?
In realtà non ce n’è uno in particolare... A me piacciono tutte le canzoni che faccio, se non mi piacessero non le farei.
Ma a livello di mass media? Qual è il pezzo su cui pensi che si dovrebbe puntare?
No ma... per il consumo di massa non lo so, ma non mi interessa neanche. Devo essere soddisfatto io in prima persona. Una delle canzoni di cui sono più soddisfatto di questo disco è Cuore di pietra, perché è anche uno dei pochi che non mi è venuto di getto ma ci ho ragionato. Nel senso che ho detto: mi piacerebbe scrivere una canzone che nasconde dentro delle parole, che però letta così non si capisce. E ho cominciato, appunto, con le pietre preziose. Sono andato a cercarmi i nomi delle pietre preziose, ho cercato di costruirmi un testo in cui fossero nascoste le pietre preziose, e di intitolarlo Cuore di pietra. E questa è una canzone ragionata, una delle poche che ho fatto [in questo modo]. E’ un altro Bartezzaghi di questo disco.
Ce ne sono altre che magari che non ho colto?
No, in realtà sono solo questi due. Poi mi piace anche il fatto che la gente non la capisca, questa canzone. Perché poi quando una la capisce... secondo me è bello arrivare a capire una cosa. Io mi ricordo quando ho ascoltato Titanic di De Gregori, la canzone Titanic. La ho ascoltata tante volte, e poi, a un certo punto, mi sono soffermato sulla parola “ghiaccio”. Parla del Titanic, ed è molto bella quella canzone, perché parla del Titanic senza mai parlare della tragedia del Titanic. Parla del viaggio del Titanic, della ragazza di prima classe, di quello della terza classe... E’ molto giocoso, nel senso che c’è questo ritmo sudamericano. E’ anche molto allegro, se vuoi. Parla di un viaggio, di gente che va in America a rifarsi una vita. La ragazza di prima classe che va a sposarsi, e quello di terza classe per trovare una vita nuova. E non parla mai della tragedia, ed è molto bello. Poi in realtà la tragedia c’è, dentro, perché in ogni strofa c’è la parola “ghiaccio”. Io quando ho capito quella cosa lì, ho detto: “che meraviglia!”. Non lo dice mai esplicitamente, però c’è il ghiaccio dentro al bicchiere, poi dice: “i suoi occhi di ghiaccio”. E quando l’ho capito ho detto: “woah, meraviglioso!” Non so in quanti l’abbiano capita, però è meravigliosa questa cosa. Ed è bello scoprirle queste cose qua. E quindi non piace neanche a me spiegarle. Credo che De Gregori non l’abbia mai spiegata questa cosa.
Tu li hai mai conosciuti i tuoi mentori, tipo De Gregori?
No, lui non l’ho mai incontrato. Ma ho conosciuto molta gente che da ragazzo andavo a vedere e idolatravo. Però mi ha fatto anche un po’ strano il fatto che non li trattassi oggi come oggi da “idoli”. Non perché mi sento al loro pari, assolutamente, non perché mi sento anch’io come loro. Ma perché mi sono reso conto che comunque tutti quanti sono esseri umani. E quindi, quando mi sono trovato davanti magari a Manuel Agnelli, che quando ero ragazzino me lo andavo a vedere, andavo a vedere i concerti degli Afterhours, piuttosto che i Marlene che mi piacevano tantissimo... E che comunque ero là sotto al palco, e dicevo “woah!”. O Paolo Benvegnù, che quando andavo a vedere gli Scisma, “woah!”, lo incontravo e avevo paura di avvicinarmi, non mi ci avvicinavo magari quando lo incontravo dopo il concerto... Quando poi li ho conosciuti in realtà, questi personaggi, mi sono comportato stranamente (o forse giustamente) da essere umano come esseri umani sono loro. E poi con tutti quanti in realtà ho anche stretto rapporti, anche umani. Nel senso che siamo persone, facciamo lo stesso mestiere... non c’è più quel lato di fan. Anche se comunque continuo a essere un loro fan. Però non lo so, mi ha fatto un po’ strano, perché magari dieci anni fa se incontravo Manuel Agnelli [avrei fatto una faccia da fan ammirato], invece non mi è venuto da farlo. Ma perché forse mi sono rapportato con loro da persona normale, da essere umano, non da: “Oh tu sei Manuel Agnelli, io sono Dente e posso darti il mio disco, ascoltalo...”
Ora ci sarà gente che viene da te a farti ascoltare i suoi dischi. Ti capita?
Sì sì, ieri me ne hanno dato uno ma non l’ho ancora ascoltato. Anche perché poi mi sono reso conto che dare un disco a un artista non serve a niente. Quando be’, mi hai dato il disco a me... può anche piacermi come non piacermi, ma cosa ci faccio? Cioè: non posso farci niente. Non è che produco i dischi, io.
Chi è il prossimo Dente?
Spero non ce ne siano mai (ride n.d.a.).
Articolo del
16/11/2011 -
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