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Alla scoperta delle diverse anime dei “The Shadow Line”, band romana nata nel 2002, perlustrando e attraversando “La linea d'ombra” musicale e personale del gruppo, attraverso le parole dei diretti interessati.
"La Linea d'Ombra” di Joseph Conrad in che modo ha influenzato, non solo a partire dal nome della band, la genesi della vostra formazione?
Daniele: Joseph Conrad, forse più famoso per “Cuore di Tenebra”, è un autore asciutto, malinconico ma mai arreso, sensibile ma non preda delle sue stesse emozioni. La nostra musica vorremmo rispecchiasse in qualche modo il suo stile di scrittura, capace di parlar d’altro, di evocare altro attraverso esperienze concrete, attraverso storie reali.
Raccontate un po', soprattutto a coloro che ancora non vi conoscono, la storia musicale della band: quando e come è nato il gruppo; la prima volta che avete deciso di suonare insieme; la prima volta che vi siete trovati insieme a suonare su un palco o in una sala di registrazione ecc...
Alessia: Tutto è iniziato con l’ascolto on line di alcuni provini caricati su Vitaminic: Lele li aveva messi online assieme ad un annuncio per trovare i componenti di una band che volesse portare avanti il suo progetto. Abbiamo risposto all’appello io e Vampy ed assieme a Manu, il primo batterista, ci siamo messi subito d’impegno ed in 6 mesi avevamo già arrangiato tutti i brani che Lele aveva scritto ed avevamo registrato già un primo demo. Sono successe tante cose in 10 anni: Manu se ne è andato quasi subito ed è arrivato Cesqo, abbiamo passato periodi in cui suonavamo anche 25 date all’anno per passare invece a periodi in cui passavamo tantissimo tempo in studio di registrazione, siamo passati a scrivere assieme molte parti dei brani e non solo ad arrangiare le composizioni di Lele, abbiamo avuto due diversi tastieristi, 5 ep, 2 album, 5 videoclip, 150 date, collaborazioni con tante altre band ed artisti che hanno calcato la scena romana...ed alla fine sempre noi 4. Se una band che dopo 10 anni è ancora unita insieme ed i membri non si sono mandati a quel paese vuol dire che l’alchimia all’interno funziona ancora, non credo sia roba da poco.
Cosa c'è di diverso tra gli Shadow Line degli esordi e quelli odierni? Cosa è cambiato e cosa è rimasto identico?
Alessia: Gattopardescamente è cambiato tutto affinché non sia cambiato niente. Abbiamo cambiato l’approccio nella scrittura e nella registrazione dei brani; siamo passati per diversi movimenti musicali; ci siamo aggiornati nei suoni; abbiamo cambiato etichetta; abbiamo cambiato la lingua in cui i brani sono scritti; siamo cresciuti...e poi ancora siamo invecchiati. Non sono cambiati i contenuti dei brani, non è cambiato il nostro modo di porci verso il pubblico e verso la scena, non è cambiato il motivo per cui suoniamo, non è cambiata l’idea di suonare quello che ci piace.
Perché i “Giorni dell'Idrogeno” o... perché no?
Cesqo: Il tutto è partito dal suono di questa parola, che ci piaceva e sembrava rispecchiare in pieno il senso del nostro disco. Alla fine della lavorazione ci siamo accorti che i testi gravitavano attorno ad un nucleo tematico preciso, che è quello di raccontare quest’epoca mettendo a nudo i nostri sentimenti, quasi come fosse un’ istantanea, di questo preciso luogo e di questo preciso momento. Ci piaceva essere storici senza essere ideologici o politici, ma diciamo cosi, “esistenziali”. Sentivamo questa urgenza evidentemente, e pensiamo che probabilmente questo è il modo più efficace per raccontare un tempo, un po’ a la Radiohead. L’idrogeno è una sostanza ambigua e irrisolta come i giorni che stiamo vivendo. E’ una sostanza che brucia in fretta, eterea, infiammabile e instabile, ma è anche una sostanza presente in moltissimi elementi basilari della natura, prima fra tutti l’acqua o l’aria che respiriamo. Può essere creatrice e distruttrice. E forse sarà anche fonte di energia. Rispecchia evocativamente questi giorni, che non sanno ancora che direzione prendere. Perché no, dunque?
Di cosa parla questo album?
Cesqo: I “Giorni dell’Idrogeno” racchiude varie storie, sensazioni, immagini, visioni venute dai nostri occhi. Se qualcuno ci ha trovato il segno di una compattezza strutturale significa che abbiamo fatto un buon lavoro, e che le storie raccontate sono reali e sincere.
L'artwork dell'album è davvero originale. Chi l'ha realizzato, cosa rappresenta e quale è il significato che vuole esprimere?
Vampy: L’artwork e il packaging sono stati realizzati dal nostro batterista, Cesqo, che nella vita di professione è un bravissimo grafico. Il packaging è anche piuttosto originale, con la copertina del disco che si apre trasversalmente, seguendo la “linea d’ombra” che taglia in due l’artwork. L’immagine di copertina nasce dalla sovrapposizione di due immagini di un palazzo (che abbiamo scoperto essere la City Hall di Chicago) che ci aveva colpito perché con la sua architettura neoclassica evoca le atmosfere di Citizen Kane o della grande depressione del ‘29. Al di sopra della linea è completamente costruito, mentre al di sotto è in fase di costruzione, se ne vede lo scheletro. Il fatto che alcuni ci abbiano detto che nella parte inferiore il palazzo sembra distrutto ci fa pensare che abbiamo effettivamente raggiunto l’obiettivo di evocare lo stesso significato cangiante del titolo.
Come mai avete deciso di affidare alla lingua italiana, dopo “Fast Century” in inglese, i contenuti e i significati di questo album?
Vampy: La lingua italiana è una sfida in più per una band come la nostra, che si occupa di rock, o se vogliamo di pop, ma non nel senso italianamente radiofonico. Le nostre radici sonore e il nostro atteggiamento musicale sono sempre ben piantati nel Regno Unito, nei Radiohead, nei New Order, nei Blur, nei Manic Street Preachers, negli Smiths e in tutto quanto ne consegue. Applicare a questo tipo di suono, a questo tipo di strutture internazionali la lingua italiana è stata per noi una sfida meravigliosa e la naturale conseguenza della visione più matura che innerva questo disco. Abbiamo delle cose da dire, da comunicare e lo vogliamo fare, mantenendoci fedeli al nostro stile musicale e alle nostre influenze di sempre.
Il mischiare all'italiano alcuni intermezzi in inglese è un po' come conservare nel nuovo percorso musicale degli Shadow Line parte del vostro passato?
Daniele: E’ una cosa notata da molti. Utilizzare certe soluzioni in inglese significa per noi far emergere la struttura, gli ingranaggi in certi punti del testo, quasi come quando restauri una casa antica e lasci affiorare qua e là alcune porzioni del vecchio muro. Ma i punti in cui emerge l’inglese non sono mai casuali: in “Regole di Ingaggio”, ad esempio, l’inserto dell’inglese è decisamente in linea con la tematica del brano: l’inglese o americano che sia è la lingua internazionale delle operazioni militari, e ci piaceva far affiorare l’inglese in quel punto di massima espressività. Suona come un messaggio minaccioso, come fosse comunicato da una radio, e nasconde un proposito molto duro, e difficile da digerire nella nostra lingua. Pensiamo che così suoni ancora più espressivo. Per quanto riguarda il secondo inserto presente nel disco, nella fattispecie l’inciso di ”L’Estate In Un Giorno”, ci piaceva che quel punto del brano suonasse come una canzone tipica degli anni ’80. Tutto, dalla ritmica alle soluzioni musicali scelte in quel punto, fino al testo cospiravano verso quella soluzione. E allora perché porsi dei limiti concettuali? Pensiamo che per esprimere dei contenuti si possa usare qualsiasi lingua, l’importante è che sia adeguata all’effetto che vuoi ottenere.
Nei vostri brani il sound si sposa in modo impeccabile ai testi, quasi come un vestito creato su misura. Quale delle due componenti è stata concepita prima e in che modo le avete fuse insieme?
Vampy: Partiamo sempre e solo dalla parte musicale, dai suoni, mentre la linea melodica del cantato viene creata cantando in quello che si chiama “vocalese” (una sorta di inglese ma senza parole precise). Questa è un’operazione comune a molte band, che nel nostro caso ci aiuta a conservare un feeling internazionale nel suono e nelle strutture melodiche e armoniche. Dedichiamo poi molto tempo agli arrangiamenti, che forse sono la parte che curiamo più meticolosamente dei nostri lavori, chiedendoci quale è il tipo di suono che vogliamo creare e quale meglio si adatti al brano che stiamo realizzando. Il testo arriva in una fase successiva, quando ormai il mood del pezzo è stato definito e siamo assolutamente certi delle atmosfere e delle sensazioni che può comunicare.
I brani de “I Giorni dell'Idrogeno” presentano diverse sfumature a livello musicale e strumentale. Sveliamone alcune..
Alessia: E’ una cosa veramente difficile presentare un lavoro che sia al tempo stesso coerente nei vari brani ma non monolitico, così come è difficile riuscire a lasciare una firma distintiva in una collezione di brani che non seguono per forza un filo conduttore. Noi ci abbiamo provato, ma soprattutto, come abbiamo sempre fatto, abbiamo cercato di seguire la naturale evoluzione che un brano può avere. Una canzone nasce con una intenzione ben precisa, con un mood che bisogna assecondare il più possibile, senza che venga snaturato: se “Il Limite” da subito ci è sembrato un pezzo con una certa epicità, allora diventa poi naturale scrivere un finale lungo, strumentale, quasi post rock. Se invece “Dormi” nasce con un mood più pop, allora è chiaro che anche l'arrangiamento cerca di rispettare quella sensazione. Non ci precludiamo nulla né escludiamo a priori degli arrangiamenti né forziamo i brani con delle parti che non gli appartengono. “Regole di Ingaggio” è un brano con dei passaggi di semitono tipici alla Radiohead...è probabile che tutte le scelte stilistiche nel brano vadano a parare proprio in quella direzione.
Come mai avete optato per la realizzazione di soli otto brani, ma per quaranta minuti di musica molto curati dal punto di vista degli arrangiamenti?
Daniele: La risposta è già insita nella domanda, no? A parte gli scherzi, volevamo mettere in questo disco il meglio del meglio di quanto abbiamo fatto in sala. Non ci interessava infarcire il disco di riempitivi. Inoltre come hai già ben detto i brani sono mediamente piuttosto lunghi, molti di questi superano i canonici 3 o 4 minuti di durata, fino a picchi di 6 minuti. Ma poi insomma, la musica non si compone né al metro, né a durata. Quando hai 8 tracce di cui sei estremamente soddisfatto, arrangiati con cura per 40 minuti di musica, in cui non ci senti nemmeno un riempitivo che sia uno, diciamo che sai di avere fatto un buon lavoro.
Traspare dai testi una vena di malinconia e di amarezza, di sogni infranti, ma con un occhio sempre rivolto alla speranza e alla voglia di continuare a lottare per raggiungere i propri obiettivi. Da dove parte e come nasce questo modo di concepire la vita, la musica e la realtà che vi circonda?
Daniele: Da questo punto di vista pensiamo che il brano ”La Vita Sognata” con cui si apre l’album sia un po’ un manifesto. Comunica una voglia di continuare a credere nelle cose anche quando intorno tutto collassa, ma lo fa tenendo gli occhi aperti e ben puntati sulla realtà. Noi siamo tutte persone ben calate nella realtà e coi piedi per terra. Non ci piace lamentarci tanto per fare i depressi, non ci piace essere acritici. Pensiamo che il nostro atteggiamento sul mondo venga fuori da questi due elementi combinati.
Può dunque la musica riuscire a offrire un messaggio positivo?
Cesqo: I messaggi e i proclami li lasciamo ad altri, per noi la musica è semplicemente musica e voglia di comunicare quello che siamo. Se qualcuno ci si ritrova, se qualcuno si sente smosso da quello che diciamo, siamo felici. Per noi lo stesso fare musica è un valore positivo, perché è dare spazio ai nostri sogni, e a qualcosa che non sia mero rapporto utilitaristico.
“Settembre non è un mese semplice...” in bilico tra certezze e incertezze. Possiamo dire che è una sorta di inizio d'anno figurativo?
Vampy: ”Settembre” è una canzone perfetta per rendere il mood del nostro disco. E infatti è stato anche il primo singolo estratto dall’album, prima di ”Regole di Ingaggio”. Settembre è un mese in bilico, tra aspettative, ritorni, ripartenze. Nel contesto storico nel quale ci troviamo pensiamo che abbia molto valore evocativo. Comunque non siamo i primi né gli ultimi ad essere affascinati dal punto di vista autoriale dal mese di Settembre! Se cercate su youtube scoprirete che abbiamo realizzato anche un video totalmente home-made per “Settembre”, volevamo che fosse qualcosa di reale, precario e aggrappato alla vita, con tutte le sbavature naif che realizzare un video di questo tipo comporta.
Il vostro Settembre, con l'uscita dell'album, come è stato? Ha soddisfatto le vostre aspettative?
Alessia: Al cento per cento. Non potevamo chiedere di meglio. Il disco è stato accolto molto bene, ha suscitato discussioni, critiche, plausi, reazioni di tutti i tipi, ma sempre qualcosa di vitale e di coinvolto. Abbiamo avuto inoltre la consapevolezza che quello che volevamo comunicare col disco è arrivato a chi lo ha ascoltato. Per noi è già questa una grossa soddisfazione e un successo. Siamo inoltre stati confortati da un buon interesse anche a livello di vendite del disco, che di questi tempi è cosa rara, e per la quale ringraziamo tutti coloro che ci hanno dato fiducia, e in particolare Paolo Cobianchi della Modern Life, nostro piccolo editore indipendente, ha da subito creduto in questo progetto e ci ha dato fiducia. Ora siamo in attesa di un booking che ci permetta di solcare l’Italia portando in giro per i vari club della penisola “I Giorni dell’Idrogeno”, chissà che qualcuno non si faccia avanti leggendo queste righe.
”Le Regole d'Ingaggio” e l'“America” degli Shadow Line quale mondo respingono e quale terra promessa aspirano a raggiungere?
Daniele: Nessuna terra promessa. La nostra terra promessa è questa. Aspiriamo a costruirci la nostra indipendenza e a crearci il nostro spazio con quello che sappiamo fare, con quello che impareremo col tempo e con quello che abbiamo realizzato negli anni. Pensiamo che troppo spesso la nostra generazione stia lì ad aspettarsi qualcosa, come se da un momento all’altro dovesse scendere una mano divina dal cielo. Noi siamo qui per prenderci qualcosa. Respingiamo questo atteggiamento passivo e irresoluto. Il nostro motto è, come diceva Capovilla in un famoso split con gli Zu, “Tra il dire e il fare… FALLO!”
Parlatemi un po' della realizzazione del bellissimo video di “Regole d'Ingaggio” realizzato dai ragazzi de Il Polimorfo.
Vampy: Il Polimorfo è un collettivo di giovani videomaker indipendenti molto vitale e inventivo, di base a Roma, che siamo venuti a conoscere attraverso conoscenze comuni. Hanno ascoltato il brano “Regole di Ingaggio” e sono rimasti subito entusiasti, comunicandoci l’idea di voler realizzare un video con un taglio apocalittico, che ricordasse i numerosi film di genere di questo tipo, tra gli anni ’70 e quelli odierni. Con una produzione limitata e investendo con coraggio una serie di energie e competenze proprie sono riusciti a realizzare quello che per noi è un piccolo capolavoro. Delle giornate di lavoro al video ricordo solamente l’odore dei fumogeni! A parte gli scherzi, vedere lavorare dei ragazzi giovani con inventiva, entusiasmo e professionalità è un vero piacere. Abbiamo in cantiere un nuovo video, per ora non siamo molto sicuri, ma dovrebbe riguardare il brano ”La Vita Sognata”.
Un'altra tematica molto forte presente nell'album è anche l'incontro/scontro generazionale. Come si manifesta?
Cesqo: E’ indubbio che guardando alla realtà del nostro Paese non si possa non cogliere una tensione generazionale strisciante, forse spesso repressa, ma che si concretizza in due visioni del mondo molto diverse e in contrasto. D’altronde noi, i figli, siamo arrivati in un periodo storico molto instabile e carico di rivolgimenti, abbiamo visto l’America Raeganiana e poi la messa in dubbio di quel sistema, con l’11 Settembre, l’ascesa dei paesi asiatici e la crisi economica. E’ inevitabile che la nostra generazione, avendo preso solo le briciole e i cocci del grande banchetto, nutra sentimenti contrastanti rispetto a quella visione del mondo. Anche di questo parla in sottotraccia “Regole di Ingaggio”.
In “Dormi” invece si respira il sapore della perdita. Sveliamo un po' il senso di questo brano.
Daniele: Non voglio svelare l’occasione da cui prende le mosse il testo di Dormi. Forse non lo potrei nemmeno fare. Il bello di una canzone è che parla di per sé, per quello che dice, per quello che comunica nella fusione di suoni e di parole. E’ come un quadro, non è importante sapere che faceva un pittore quando dipingeva girasoli, o perché ha voluto dipingere proprio quelli: quei girasoli sono lì e ci guardano, e ci dicono qualcosa. Sempre che la canzone sia riuscita… ecco! Per cui vorrei che ognuno trovasse il senso che vuole in “Dormi”. Indubbiamente c’è un senso di perdita. Ma di chi, di che cosa? C’è che mi ha anche detto che è una canzone positiva e piena di speranza, c’è chi l’ha interpretata come una lettera ad un figlio, c’è chi invece ci ha visto la scomparsa di una persona cara, ma potrebbe essere anche una lettera al nostro io di un tempo, come quando guardi una fotografia di te da bambino, e senti come una sottile commozione pensando a quello che avevi in testa in quel periodo, ai sogno e alle tue illusioni. Le canzoni sono di chi le ascolta, specie quelle molto intime di questo tipo.
La scena indipendente italiana: pregi e difetti.
Daniele: Pregi: grande attenzione ai contenuti, specie parlando di quelle band che scelgono la lingua italiana come strumento espressivo. La nostra tradizione cantautorale e poetica ci spinge a farlo quasi necessariamente. Altro pregio è la fame che contraddistingue quasi tutti, pochissimi possono dirsi arrivati, quasi tutti gli indipendenti, anche quelli più famosi sono operai della musica, gente che vive davvero sui palchi buona parte dell’anno e che si fa il culo. E per questo li stimiamo e li ammiriamo. Difetti: le polemichette da blog o da social network, le invidie immotivate e la repressione di chi non fa altro che criticare senza proporre nulla, l’incapacità di sentirsi tutti accomunati dai medesimi problemi e di schierarsi contro gli stessi ostacoli, mentre invece prevale lo scontro, il sospetto, l’attacco personale, insomma, la guerra tra poveri. E più scendi nella scala della popolarità e peggio è. Bazzichiamo la scena da quasi dieci anni, e di cose ne abbiamo viste parecchie. Abbiamo realizzato un divertente video sull’argomento, che accompagna il singolo ”Prima Scelta”, e che non è altro che un bonario sberleffo nei confronti dei tic e delle idiosincrasie della scena indipendente italiana. In molti hanno colto lo spirito sarcastico e bonario della cosa e si sono fatti una sana risata, altri si sono incavolati, e beh anche questo fa ridere.
Il rapporto tra donne, rock e musica secondo gli Shadow Line. Cosa ne pensate?
Alessia: Io posso parlare della mia esperienza: in generale bisogna faticare il doppio, come donna, per essere presa sul serio come strumentista. Le ragazze che suonano sono molte di meno degli uomini, ma ogni caso è a sé, per cui ho visto ragazze molto brave, molto scarse, alcune che lo facevano per amore della musica, altre che lo facevano per pura voglia di comparire, alcune molto preparate, altre che non sapevano nemmeno le note che stavano suonando sulla tastiera...insomma fra i ragazzi la situazione è la stessa. Solo che le donne soffrono dei pregiudizi dei maschi, non è molto diverso dall’atteggiamento tipico del “donna al volante...”
C'è ancora secondo voi una sorta di “maschilismo musicale” nel panorama rock nostrano dove le donne fanno spesso da contorno al resto?
Cesqo: Sì, decisamente. Ma non fa altro che rispecchiare la situazione nazionale. Non c’è da stupirsi. Pensiamo che sia comunque anche una questione di mentalità, sia degli uomini, ma anche delle donne, che a volte si sentono più accettate in situazioni marginali anziché nel prendere con decisione il controllo. Sappiamo però che ci sono molte donne nel mondo musicale che stanno facendo un ottimo lavoro, e considerato che l’ambiente è per il novanta percento maschile, a loro va il doppio del merito rispetto ai loro colleghi uomini.
Come proseguirà la promozione dell'album?
Alessia: Interviste, passaggi sulla radio locali e indipendenti, un concerto al Circolo di spalla ai nostri concittadini nonché amici Carpacho e alcuni concerti qua e là nella penisola, seguiteci sul nostro facebook “The Shadow Line” e sul nostro sito http://www.theshadowline.it/ per aggiornamenti.
Per concludere: Gli Shadow Line hanno raggiunto e/o superato la loro “linea d'ombra”?
Daniele: Noi siamo la nostra stessa “Linea d’Ombra”, non è vero?! A parte gli scherzi, No: ci siamo ancora pienamente dentro, e per fortuna! Perché è lì che capitano le cose. Le cose non capitano mai quando sei pronto, le cose capitano e basta e le devi affrontare, bene o male, come puoi, con i tuoi mezzi. Crescere vuol dire accettare anche questo. E vuol dire accettare di dover sempre crescere ed imparare qualcosa.
Articolo del
04/12/2011 -
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