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A distanza di due mesi dall’esordio di “Ad Un Centimetro Dal Suolo” i Piccoli Omicidi sono impegnati nella promozione del loro disco. I primi riscontri sono buoni e per sentire come stanno andando le cose e soprattutto come è nato tutto, ho fatto una piacevole chiacchierata con Piergiorgio Bonezzi (voce, chitarra e piano)
(Maria Grazia Umbro). Come avete iniziato, ovvero cosa avete fatto prima di arrivare a Campo Volo e prima del fortunato incontro con Benvegnù?
(Piergiorgio Bonezzi). Ma guarda, noi siamo sempre stati tutti musicisti qua e la con varie formazioni, e in realtà quando abbiamo avuto il bisogno di dire la nostra, abbiamo cominciato a scrivere un po’ e con tutta la calma del mondo abbiamo realizzato le nostre cose e ci siamo messi un po’ in gioco, e quindi è partita così. Non siamo un gruppo di giovanissimi, la tipica ‘boy band’, anzi abbiamo voluto lanciare una nuova moda definendoci una ‘old band’. Ligabue è stata la nostra prima esperienza come gruppo perché lui voleva un gruppo reggiano sul palco per questo evento, eravamo i più solidi dal punto di vista dell’esperienza sul palco. E’ stato più un fatto di garanzia aver suonato sul palco di Ligabue che un fatto artistico, e poi abbiamo fatto questo disco con molta calma perché tanto non avevamo scadenze, non avevamo fretta, abbiamo detto facciamo questo lavoro perché ci va di farlo, non avendo un contratto discografico, nulla da pretendere. Anche perché ormai un cd non è tanto una cosa da vendere ma un biglietto da visita, un modo di presentarsi e così abbiamo detto facciamola con tutto il tempo che ci vuole, facciamola fatta bene.
Quando siete saliti sul palco di Ligabue vi immaginavate quale sarebbe stato il vostro futuro? E come è stato poi l’incontro con Benvegnù, personaggio di tutto rispetto nel panorama musicale italiano, come è stata l’esperienza di lavorare con lui.
In realtà al tempo del concerto di Ligabue eravamo proprio all’alba dei Piccoli Omicidi, perché era il 2005 ed era quando avevamo iniziato a scrivere e comporre, ma non abbiamo neanche voluto approfittare di questa cosa perché il pubblico di Ligabue non è il nostro, eravamo li ed eravamo tranquilli perché il pubblico non era li per noi, anche se all’ora che abbiamo suonato noi c’erano già parecchie persone, forse ci hanno detto che erano già 80.000, ma non essendo la per noi ci han messo nella migliore condizione per suonare. Solo un anno dopo, quando avevamo un po’ di materiale pronto, ho incontrato Paolo Benvegnù ad un seminario di musica dove c’erano anche altri personaggi della musica; io amavo tantissimo Benvegnù per come scriveva, mi trovavo abbastanza affine anche se il nostro modo di scrivere è un po’ di verso, però lo capivo e lui capiva me, e quando gli ho portato (a Paolo) il materiale da ascoltare lui si è appassionato, mi ha detto “faremo un disco, non so dirti i tempi ma lo facciamo” e poi quando eravamo pronti abbiamo iniziato a lavorare con lui alla produzione e ci sono voluti due anni, non abbiamo fatto il classico disco in quindici giorni, abbiamo lavorato con calma, con i suoi tempi, e ci ha dato una grandissima mano perché lui è un personaggio eclettico, molto creativo, ti mette a tuo agio, ho capito che ha lavorato al progetto in maniera abbastanza appassionata, lui veniva spesso a Reggio oppure io andavo ad Arezzo da lui, ci siamo trovati molto bene, ha dato un notevole apporto creativo senza snaturare assolutamente quello che avevamo fatto noi, credo che sia stato proprio un valore aggiunto. Ha fatto tutto come andava fatto.
Venendo al disco, voi avete sempre cantato in italiano immagino, mentre spesso le band emergenti pensano di dare un tocco di originalità cantando in inglese, la vostra è stata una scelta precisa o una cosa naturale, o prevedete di fare qualcosa anche in inglese? Considerando anche le canzoni che sono inserite nel disco, forse sono racconti che cantati in un'altra lingua non avrebbero reso…
Guarda, io ho questa idea che credo tantissimo nella lingua italiana, la trovo molto più varia e molto più creativa, ha tantissimi vocaboli, tantissimi modi di dire le cose; io sono un po’ radicale per questa cosa, l’inglese io la vedo un po’ come la via breve ecco, io sono di questo avviso. Capisco che è molto più efficace, però se parliamo di nomi grandissimi, adesso mi viene in mente De Andrè, o cantautori di questo livello, le cose che dicono sono assolutamente non realizzabili in inglese, è talmente poetico… Forse c’è riuscito solo Shakespeare a rendere poetica la sua lingua. Da questo punto di vista sono proprio convinto che la lingua italiana sia una delle lingue più belle, per la poesia, la scrittura, ti puoi permettere tante cose, è ancora originale. Capisco però che la scelta di cantare in inglese possa essere più efficace.
Parlando più in dettaglio del disco, i testi sono tutti vostri, tranne “Vedrai Vedrai” che a mio avviso è stata una scelta coraggiosa, quella di inserire la cover di un grande successo come quello di Tenco…
Si, “Vedrai Vedrai” a me è sempre piaciuta tantissimo, è un capolavoro. Ovviamente fare un’opera del genere è rischioso perché non è facile, è un pezzo di poesia di un’altezza incredibile, il rischio è quello di snaturarla e di portarla a livelli più bassi. Non abbiamo neanche fatto un’opera stravolgente, è solamente leggermente aggiornata a livello musicale, è talmente bello quel pezzo che non è che devi andare a farci grandi cose, è il classico pezzo che avresti voluto scrivere tu e non ci sei mai riuscito, e quello che abbiamo fatto abbiamo cercato di farlo con la massima umiltà.
Guardando le altre canzoni, secondo me spiccano “La Canzone del Partigiano” e “Va Giù” che si ispirano a due momenti della nostra storia, mi chiedevo dove nasce la voglia di raccontare in musica due fatti come la resistenza e la tragedia del Vajont a distanza di decenni e soprattutto visto che non vi appartengono in termini di tempo…
In particolare il testo de “La Canzone del Partigiano” non l’abbiamo scritto noi ma è un canto tradizionale come i cori Alpini, ed è stata trasformata in occasione di un concorso dove era obbligatorio presentare una rivisitazione di un canto tradizionale partigiano e l’abbiamo inserita nel CD perché ne siamo stati soddisfatti. In realtà qua in Emilia la storia dei partigiani ce l’abbiamo addosso, le storie che ci raccontavano i nostri nonni erano quelle, quindi è una tradizione che ti porti dentro. Sono cose che, senza sembrare troppo presuntuosi, ci fa piacere riproporre come temi. La stessa cosa avviene per il pezzo sul Vajont. In particolare questa storia me la raccontava una mia zia perché da piccolo andavo spesso in montagna e passavo davanti a questa diga e quando avevo circa 7 anni mi raccontavano quello che era successo li, che Longarone non esisteva più ed era stato ricostruito, e così mi sono ritrovato dopo un paio di decine d’anni a riaffrontare questo argomento stimolato da Paolini e dal suo spettacolo teatrale che l’ha riportato all’attenzione del pubblico. Io mi sono spaventato perché mi ero un po’ scordato di questa storia e mi sono detto “ma come ho fatto a scordare una storia come questa”, ed è piena l’Italia di storie come questa, non ultime cose che sono successe di recente e vengono tutte dallo stesso germe, dall’incuria e il poco rispetto che abbiamo verso la natura, e sono cose che ogni tanto forse è meglio ricordare, nell’illusione che qualcuno possa lavorare per far si che non si ripetano. Comunque tenerle a mente non fa male.
E sugli altri pezzi cosa mi dici?
Mah, le altre sono storie che si basano sul quotidiano, un po’ a tutto campo prendono spunto da ciò che capita anche tutti i giorni. Noi li abbiamo appunto definiti dei “piccoli omicidi” perché in tutti questi pezzi c’è il tentativo di eliminare qualcosa o di uccidere qualcosa che non ti va e che sei costretto a fare per sopravvivere. Sono storie di tutti i giorni in cui si cerca di tirare avanti o in alcuni casi si è costretti ad agire in maniera radicale per togliersi di mezzo alcune cose, che non ci fanno girare la vita come vorremmo noi.
Adesso quanto vi sentite di aver raggiunto un obiettivo e quanto invece ritenete di essere solo ad un capitolo iniziale di un racconto un po’ più lungo? Quali erano le aspettative prima dell’uscita del disco e oggi dopo i primi riscontri quali sono i traguardi che vi ponete per il futuro.
Per noi questo lo consideriamo un punto di partenza. E’ il nostro primo disco e con questo ci siamo presentati. Per adesso i riscontri da chi ha ascoltato il disco fanno ben sperare, però è l’inizio di un lavoro ben più grosso credo, perché abbiamo voglia di dire tante cose, abbiamo voglia di scrivere, e stiamo scrivendo di nuovo. Ora credo che porteremo un po’ il disco in giro, cominciamo a febbraio a mettere giù le date del tour che ci porterà un po’ in giro, cominciamo dall’Emilia Romagna e poi partiremo dalla Sicilia a risalire il paese cercando di portare il più possibile il disco in giro. Come ho detto i riscontri sono positivi, le aspettative non solo sono confermate ma addirittura superate e di questo siamo molto contenti. Come sai in questo mondo il lavoro da fare non è mai troppo, anzi è sempre superiore rispetto al risultato ottenuto, ma l’energia e la volontà non ci mancano e questo sarà un buon motore per proseguire.
(Maria Grazia Umbro). Ed è sicuramente l’approccio giusto. Come ha detto anche Piergiorgio, non si tratta di una boy-band, ma di un gruppo di musicisti maturi, con ottime basi e tutti i presupposti per fare un buon lavoro e ricavarsi il loro spazio nel panorama musicale italiano. In attesa di vederli presto dal vivo…
Articolo del
29/01/2012 -
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