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Xabier Iriondo è uno sperimentatore d'eccezione, esploratore di un altrove lontano dalle consuete modalità di percezione e fruizione della musica e ideatore avanguardistico di strumenti musicali auto-costruiti inconsueti. In occasione del live a Le Mura del 13 gennaio scorso, abbiamo ripercorso assieme a lui le tappe salienti della sua carriera artistica tra collaborazioni importanti, progetti interessanti e improvvisazione.
(Ida Stamile) L'ultima esperienza americana con gli Afterhours?
(Xabier Iriondo) E' stata una bellissima esperienza che ci ha permesso di viaggiare da Chicago a Los Angeles in Route 66, scoprendo l'America che in realtà non conoscevamo. È stato un viaggio denso; abbiamo incontrato delle persone molto interessanti. Abbiamo anche avuto modo di sviluppare una serie di performance in alcuni luoghi un po' particolari e di registrare in alcuni studi importanti e blasonati dagli Electrical Audio di Steve Albini a Talsen, ad altri studi e in altri posti molto belli. È stata un'esperienza davvero interessante sia sotto il profilo umano che artistico-musicale.
Hai collaborato anche all'album “Man Is A Political Animal, By Nature”.... I Majakovich secondo Xabier Iriondo
A me i Majakovich piacciono molto già da tempo. Trovo che siano una band molto viscerale. È una band che suona dal vivo e quello che interessa a me nel rock è soprattutto questo. Sono secondo me una realtà in divenire molto molto importante e ne sentiremo parlare sicuramente nei prossimi anni.
La genesi del progetto Soundmetak
Soundmetak è diciamo la mia attività commerciale (ride, ndr.) che è nata nel 2005 con questo negozio. Era un piano quinquennale; questo negozio ha avuto vita in termini fisici e di spazio fino al 2010. Dal dicembre 2010 lavoro soltanto online. In questo negozio io vendevo degli oggetti un po' particolari, da chitarre un po' speciali e artigianali a vecchie lap steel, che sono le chitarre hawaiane e che sono diciamo gli strumenti a corda elettrici che hanno dato i natali alla chitarra elettrica. Nascono prima della nascita della chitarra elettrica Solid Body moderna. Vendevo anche dei pedali artigianali, cose costruite a mano molto particolari con dei suoni specifici e abbastanza strani. Oltre alla vendita di questi prodotti, che continua ora anche online, in questo spazio ho organizzato quasi tutti i sabati, nei cinque anni di vita del negozio, delle performance gratuite dove si sono esibiti artisti di varia natura da cantautori a band hardcore, di musica elettronica, con installazioni video, danzatori..tante cose diverse. È stato un progetto molto interessante che mi ha permesso di offrire una vetrina alla città di Milano con delle cose un po' speciali e nello stesso tempo di fare rete insieme ad altre realtà presenti sul territorio milanese. Con centri sociali e altri locali abbiamo realizzato anche interi programmi della durata di intere giornate o di week end, nel mio spazio e in altri spazi, durante i quali proponevamo iniziative interessanti per creare una sorta di rete di lavoro sulla musica indipendente ma non soltanto.
Phonometak è invece il nome della divisione di Soundmetak che si occupa di produzioni musicali. Cosa avete prodotto di interessante negli ultimi tempi?
Phonometak è la branca discografica di Soundmetak. Il progetto nasce con l'idea di sviluppare una serie di split, cioè di vinili sui quali su una facciata c'è un progetto e sull'altra facciata un altro. Si chiude quest'anno la serie di Phonometak in vinile con il decimo volume. Alla realizzazione di questi vinili hanno collaborato band e progetti solisti di varia natura, per citarne alcuni: gli Zu con me alla chitarra elettrica, il sassofonista Gianni Gebbia, Mats Gustafsson che è un altro sassofonista, il chitarrista Paolo Angeli, gli Ovo, i Sinistri, Carla Bozulich, Nels Cline, Evan Parker, Walter Prati musicisti insomma di vari ambiti. Io ho cercato di fare un progetto con la Phonometak Series in vinile non di genere; mi piaceva inoltre mescolare cose molto spinte e dure a cose più introspettive. Oltre ai vinili ho co-prodotto anche una serie di altri lavori, dei lavori nei quali spesso ero io stesso ad essere coinvolto, tra i quali c'è il disco “Your Very Eyes” che ho fatto insieme a Gianni Mimmo che è un sax soprano ed abbiano registrato in una chiesa paleocristiana dentro un sasso di Matera. Molto particolare. Ho poi fatto “The Shipwreck Bag Show” che mi vede coinvolto assieme a Roberto Bertacchini batterista degli Starfuckers e altri lavori. Sta andando ancora avanti la Phonometak e sto producendo cose nuove.
Come nascono i tuoi strumenti autoprodotti come il mahai metak chitarra elettrica?
Nascono dall'esigenza di ottenere dei timbri che con le chitarre elettriche io non riuscivo ad ottenere. Dopo una serie di esperimenti fatti su chitarre elettriche usate come chitarre da tavolo, ho deciso di concepire e sviluppare uno strumento nuovo e in particolare quello che userà stasera che si chiama mahai metak che è uno strumento a dieci corde, con un'accordatura particolare. Ho cercato di creare lo strumento che potesse dare voce ai suoni che io avevo in testa ma che non riuscivo a ottenere.
Il ritorno con gli Afterhours. Come è rinato e come si sta evolvendo?
Molto semplice, molto naturale. Ci siamo ritrovati a suonare insieme, siamo stati bene. Fino a quando continuerà ad essere così, credo che continueremo a farlo.
Come è nata invece la prima e storica collaborazione con gli Afterhours?
È nata perché io ero un fan della prima ora degli Aftrerhours. Li ascoltavo dagli inizi nell' 87, '88 e '89, quando suonavano davanti a cinque /dieci persone. A un certo punto la band si è sfaldata, dopo l'album “During Christine's Sleep” e io, che conoscevo già allora Paolo Cantù e che era il loro chitarrista all'epoca, mi disse che Manuel stava cercando dei nuovi elementi per andare avanti con il progetto. Ho fatto una prova, ci siamo trovati ed ho iniziato a suonare con loro nel 1992.
Durante il tour estivo e il tour in America con gli Afterhours hai riscontrato somiglianze con i periodi passati e i tempi di “Germi” oppure no?
È un'altra musica è un'altra formazione con delle dinamiche diverse, con dei valori musicali sicuramente all'altezza di quelli dell'epoca ma con delle formule musicali differenti.
Come andata invece l'esperienza con i Six Minute War Madness?
È nata parallelamente alla mia entrata negli Afterhours nel '92 assieme a Paolo Cantù, Federico Ciappini alla voce, Daniele Missiria alla batteria e Massimo Marini al basso. Abbiamo creato questa formazione e siamo andati avanti per dieci anni a suonare insieme; abbiamo fatto inoltre una serie di lavori e vinili. Cercavamo di esplorare i territori di confine diciamo, sempre legati al rock, che ci interessavano. Abbiamo iniziato cantando in inglese e poi siamo passati all'italiano. È stata un'esperienza meravigliosa, fantastica. Abbiamo fatto purtroppo pochi concerti e i dischi che abbiamo fatto non sono stati molto capito all'epoca; vengono capito di più adesso. Quindici anni dopo c'è un sacco di gente che ci scrive chiedendoci di quei dischi e che non si trovano più in giro.
Parlaci anche un pò dei progetti e degli esperimenti musicali con Short Apnea e Uncode Duello
Short Apnea è una cellula che è nata assieme a Paolo Cantù e Fabio Magistrali; era un trio. Il lavoro con Fabio Magistrali esisteva già da tempo. Fabio Magistrali è un fonico, un ingegnere del suono con il quale lavoravamo sia con i Six Minute War Madness che con gli Afterhours e a un certo punto è nata l'esigenza, siccome lui è anche un musicista, di fare delle cose insieme. Abbiamo esplorato quello che per noi erano veramente i territori di confine più lontani nel rock. Abbiamo fatto quattro dischi; ci siamo divertiti tanto; abbiamo fatto dei live interessanti e molto particolari. Non era una band nel vero senso del termine che prova ecc. Era un progetto molto libero e molto intenso. Finita l'esperienza Short Apnea, Fabio Magistrali se n'è andato ed io e Paolo abbiamo deciso di andare avanti e abbiamo sviluppato questa nuova creatura dal nome Uncode Duello, “un duello senza codici”. Ci siamo fatti accompagnare per i primi due dischi da svariati amici, musicisti, batteristi ecc. L'ultimo disco, che è uscito un paio di anni fa, è invece proprio un viaggio a due, un duello senza codici nel vero senso della parola. Il prosieguo di Short Apnea con delle nuove formule di esplorazione è il viaggio che è continuato insieme a Paolo, che è partito diciamo nel '91/'92 ed è continuato dopo Short Apnea con Uncode Duello.
E del progetto “?Alos” cosa mi dici?
Il progetto ?Alos con Stefania Pedretti è un quarantacinque giri che abbiamo fatto uscire nel 2011. Ci siamo trovati insieme perché ci conosciamo da tanti anni e l'esigenza era quella di mettere insieme degli elementi molto semplici e primitivi. Io suonavo uno strumento, acustico o elettrico che fosse, e Stefania alla voce. È uscito questo quarantacinque giri che in realtà è l'inizio di un percorso che abbiamo appena finito di approntare con delle registrazioni per un album vero e proprio, quindi con una durata maggiore che penso uscirà in primavera se riusciremo a mixarlo. È molto interessante perché si esplorano territori molto molto estremi; Stefania canta in una maniera molto particolare. Bello.
Che tipo di esperienza è stata e che tipo di sensazioni umane e musicali ti hanno invece lasciato le improvvisazioni musicali con Damo Suzuki?
Ogni volta è nuovo. Con Damo oramai ho suonato una cinquantina di volte penso. L'ho portato in Italia tante volte; ho avuto modo di suonare con lui anche all'estero e ogni volta ci si reinventa. È una forma sinceramente abbastanza straordinaria e unica quella che un cantante possa suonare sempre con musicisti di estrazioni diverse in una forma completamente e totalmente improvvisata. È molto emozionante; una serata può essere l'apice e una serata può essere un fiasco ed è il bello di questa cosa. La lunga e ormai consolidata collaborazione con la Wallace Records di Mirko Spino
Che dire! Senza ombra di dubbio, per quanto mi riguarda, è una delle etichette più importanti che ci sono state negli ultimi dieci/quindici anni in Italia. Ha un catalogo di più di cento titoli e Mirko è una persona straordinaria che crede nella musica indipendente non solo di ricerca, ma anche nella musica in forma canzone. Lui è veramente superlativo; è un uomo che crede tanto nel suo progetto, ci investe tanto e continua a farlo. Tanti dischi che io ho fatto sono usciti per la Wallace Records e in più siamo amici da vent'anni, quindi c'è anche un rapporto chiaramente umano molto forte.
Che senso ha per te la sperimentazione e l'avanguardia?
Diciamo che in generale nell'arte, non soltanto nella musica, mi interessano le spinte che portano a qualcosa che va oltre il consueto. Sperimentare significa giocare per trovare qualcosa di nuovo. Io da bambino giocavo costruendomi cose; invece di costruire quello che c'era dentro la scatola dei Lego e nelle figura mi inventavo delle cose. Cerco di fare più o meno la stessa cosa con la musica cioè di trovare qualcosa che di volta in volta mi emozioni che è quello che conta per me, perché io faccio musica per me, per emozionarmi. Per me sperimentare e cercare dei nuovi linguaggi è linfa vitale, è veramente la sorgente dalla quale cerco di abbeverarmi. È uno dei miei lati però, perché allo stesso tempo sono rockettaro e mi piace suonare rock and roll in maniera anche più o meno tradizionale se così si può intendere. Ha sempre fatto parte di me questa doppia valenza da un lato di chitarrista rock e dall'altra di ricercatore. Non la vedo come una separazione; fa parte del mio Io. Sono fatto così, per me è una cosa abbastanza naturale cercare di trovare qualche cosa che magari può sembrare sbagliata o comunque indossare delle scarpe che non sono proprio quelle comode nelle quali ti senti completamente a tuo agio.
Secondo te l'avanguardia non ha solo uno sguardo rivolto al futuro ma è in un certo qual modo ancorata anche ai dettami del passato?
Ma sì in realtà nessuno inventa più nulla. Si tratta soltanto di trovare il proprio modo per interpretarsi, trovare il proprio modo per riuscire ad esprimersi. Se poi fai qualche accenno, qualche rimando al passato va benissimo; dipende da quello che ti interessa. Non credo che l'avanguardia più pura e sperimentale, più spinta che va verso altrove sia quella giusta per tutti. Ognuno deve trovare il proprio percorso e cercare di dire le cose giuste che sente per sé stesso. Poi se lo fai con una canzone pop o lo fai facendo dei rumori, sbattendo delle pentole, l'importante è che stai bene.
La musica anche quella più ragionata e accademica contiene comunque un minimo si spirito “libero” e di improvvisazione?
Sì. La forma della musica improvvisata appartiene all'uomo da sempre. L'uomo nasce non scrivendo ma mettendosi a nudo di fronte a uno strumento e vedendo che cosa riesce a tirarci fuori. Quindi l'improvvisazione è la base anche della costruzione del metodo compositivo anche più o meno tradizionale o canonico. Quindi fa parte dell'essere umano di cercare delle cose nuove. L'improvvisazione appartiene completamente alla sfera dell'uomo innanzi tutto e dell'artista in tutti i campi.
Meglio le vesti di produttore o quelle di musicista?
Sinceramente a me piace suonare ed è la cosa che mi piace fare di più. Non nego che mi piace anche mettere le mani su materiale altrui, trovare una mia visione di quel materiale e vedere se talvolta combacia anche con le mie idee ed è spesso gratificante.
C'è qualcosa che accomuna tutti i progetti e le collaborazioni che hai intrapreso?
Essere me stesso in tutto quello che faccio.
Nuovi progetti futuri in cantiere?
Forse il principale di tutti è un mio disco solista che finalmente dopo tanti anni sto ultimando e che dovrebbe uscire penso in primavera, se i tempi e l'organizzazione me lo permetteranno. Questa è la cosa forse alla quale tengo maggiormente. In questi ultimi tre anni ho poi sviluppato un percorso che sto ancora portando avanti con Valentina Chiappini, che è una pittrice con la quale sto sviluppando una performance pittorico-musicale, secondo me molto intensa e molto particolare nella quale io suono i miei strumenti auto-costruiti e lei dipinge usando tecniche molto personali. Usa il graffio per togliere il colore, usa la serigrafia. Portiamo in giro questa cosa in gallerie, case private, club e questa è una cosa anche molto intensa perché mi permette di confrontarmi con un'altra arte, un'altra realtà lontana da quello che è la musica, mi apre quindi anche dei nuovi linguaggi e dei nuovi scenari.
Articolo del
07/02/2012 -
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