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Iniziamo dal principio. Nascete nel 2005 come Passione Nera, nome che riporta in mente non solo una celebre canzone dei Nerorgasmo ma anche certe coordinate hardcore-punk. Che genere di musica facevate agli esordi?
Un folk-pop minimale, dalle sfumature cinematiche. Mi piaceva l’idea di creare un contrasto forte tra quello che è stato il mio background musicale e la nuova strada che volevo intraprendere; un contrasto che, a dispetto delle apparenze, resta tuttora più concettuale che strettamente pratico. Passione Nera muove i primi passi in solitaria, ma con un costante desiderio di dare maggiore organicità al lavoro di arrangiamento e con un occhio di riguardo per la trasposizione live dei pezzi.
Fra la vostra prima pubblicazione "Research EP" e "How We Danced" (Unhip Rec, 2011) sono trascorsi tre anni. Come vi siete mossi nel frattempo? So che c’è stato anche un cambio di line up.
Senza dubbio, si è trattato di una gestazione lunga e, a tratti, sofferta. Di mezzo ci sono stati la mia fuga in terra d’Albione e ulteriori stravolgimenti di line-up. Volendo dare un’impronta più full-band (tanto nella dimensione di studio che in quella live), abbiamo poi intrapreso il cammino City Final. Nessun stravolgimento né cambio d’intenti, quanto un’evoluzione del sound frutto di affinamento delle dinamiche all’interno della band.
"How We Danced" ha una forte influenza cinematica e orchestrale. In questo senso la collaborazione con Liam McKahey dei Cousteau incalza bene le doti espressive dell’album. Lo avete intercettato a Londra o in Italia?
In realtà, in nessuno dei due luoghi. Dopo Nova Scotia, le strade dei membri dei Cousteau si sono divise, e Liam si è trasferito a Canberra. Ai tempi dell’EP, Liam aveva espresso apprezzamenti sul nostro lavoro e ci siamo quindi ripromessi di collaborare sul materiale del nuovo album, instaurando un bizzarro asse Roma-Sheffield-Canberra. La pazienza sembra venir ripagata, e il risultato è tutto racchiuso in Biergarten.
Nell’album le melodie vocali e gli arrangiamenti sono sempre ben soppesati dalla sezione ritmica. Concordi o pensi di aver privilegiato un aspetto piuttosto che un altro?
Non è stato privilegiato nessun aspetto in particolare. Abbiamo prestato attenzione alle strutture e allo scheletro dei brani, ma posso confessarti che il grosso degli arrangiamenti è stato frutto di un paio di giorni chiave in studio. A termine del lavoro in studio, abbiamo apprezzato un certo senso di coerenza tra brani concepiti in tempi e modalità diverse. E, non senza sorpresa, abbiamo realizzato di aver dato alla luce a un album più “elettrico” di quel che ci aspettavamo.
Mi ha molto colpito la scelta della copertina: bella e parecchio complementare con il titolo. Che significato gli attribuite?
L’aspetto visivo è assolutamente complementare a quello sonoro. Per certi versi, How We Danced è un album nostalgico, in cui ‘il passato’ gioca comunque un ruolo cardine. Ero a casa di un’amica quando mi sono capitate tra le mani le foto della sua famiglia. Ho pensato subito che fossero perfette per il booklet; foto scattate a Fiumicino negli anni ’60, con quell’aura di spaccato unico e irripetibile che solo una foto d’epoca può infondere.
In questo momento siete impegnati nel tour promozionale. Dove vi si potrà vedere live prossimamente?
Saremo nuovamente a Roma nel giro di un paio di mesi; in questi giorni stiamo lavorando per chiudere un tour più organico in giro per l’Italia. Siamo affamati di live e cerchiamo di portare in giro l’album ovunque possibile.
Articolo del
21/02/2012 -
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