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E poi ogni tanto succede che in mezzo al marasma di progetti musicali di dubbio valore che ti passano per le mani spunta una band che non solo è oggettivamente interessante, ma si avvicina anche parecchio ai tuoi gusti. Quando poi scopri che la band in questione è pure italiana la soddisfazione è ancora più grande. Dai si chiamano Heike Has The Giggles, chi se lo aspettava! Un nome un po' troppo articolato per avere origine in quel di Solarolo. E invece sì. Sono Emanuela, Matteo e Guido e vengono dallo stesso paesino che ha visto crescere la Pausini nazionale. Parliamo però di due realtà, almeno musicalmente, lontane anni luce. Quello sprigionato dalla minimale ma efficace line up chitarra-basso-batteria del trio romagnolo è infatti un sound ruvido, energico, sfacciato che strizza l'occhio al punk rock, unito a motivi pop super orecchiabili cantati in inglese. Con due album all'attivo, ”Sh!” e l'ultimo ”Crowd Surfing”, la giovane band dimostra di saperci fare soprattutto sul palco, che sembra essere il suo habitat naturale. Abbiamo scambiato due chiacchiere con loro proprio prima di un live, al Calamita di Cavriago.
Iniziamo con una domanda che probabilmente vi avranno già fatto un miliardo di volte: come è nata la band e soprattutto perché l'avete battezzata con un nome tanto curioso?
Guido: Siamo nati tra il 2006-2007 circa, siamo tutti e tre dello stesso paese quindi la cosa è stata abbastanza naturale. Io e Ema suonavamo insieme da quando eravamo ragazzini e successivamente abbiamo assoldato il buon vecchio Matteo. Il nome l'ha scelto Ema, l'ha tirato fuori a scuola durante un'ora di tedesco, ha mischiato il nome tedesco Heike con la frase inglese. Matteo ha sempre detto che era un nome che avrebbe portato un sacco di soldi. Matteo: Ma quando l'ho detto?! (ride, ndr) Io questa non me la ricordavo, però se lo dici te. Guido: È un nome un sacco pop e poi ci siamo affezionati dai. Ema: Sì, diciamo che non è stata proprio una scelta a tavolino quella di chiamarci così. Io e Guido abbiamo iniziato a suonare un po' per gioco, poi quando abbiamo deciso di fare le cose più seriamente abbiamo cercato un bassista e a Matteo piaceva molto “Heike Has The Giggles”. Quando poi arrivano le prime date e inizi ad uscire con un certo nome non lo cambi più. Credo comunque che dopo averlo imparato sia molto riconoscibile. Quelli dell'etichetta erano felicissimi perché dicevano che è la cosa più “googlabile” del mondo, perché di solito quando cerchi i nomi dei gruppi ti vengono fuori tante altre cose e devi specificare “band” per trovarli, invece con noi non puoi sbagliare. Abbiamo tante sfighe con questo nome però abbiamo anche questa fortuna. Guido: Sì spesso ce l'hanno anche modificato in alcuni cartelloni.
Infatti l'ultima volta che vi ho visti suonare ho notato che ve l'hanno un po' stravolto! I vostri testi sono in inglese, cosa che mi piace molto, ed immagino che più che una scelta sia qualcosa che vi venga naturale. Ma se vi proponessero un super contratto discografico o quanto meno aveste la certezza di fare un enorme successo e riempire palazzetti cantando in italiano, lo fareste?
Ema: Per come la vedo io al momento non esiste più quella possibilità, ho l'impressione che anche le band che vengono da X Factor, ad esempio, facciano fatica. Poi a noi interessa il nostro percorso e fare quello che ci piace, siamo contentissimi di tutte le persone che ci ascoltano. Ovviamente sai che al momento non può essere il tuo lavoro, soprattutto facendolo in inglese, però anche cantando in italiano devi farlo perché sei credibile e non per avere un determinato riscontro. Sono passati gli anni ‘90 in cui facevi il progetto a tavolino, lo lanci e va a bomba. Matteo: Poi se arriva uno che ci offre qualche milione di euro per cantare in italiano penso che ci faremmo un pensierino, forse solo uno stupido non ce lo farebbe. Ema: Dai ma alla fine ce lo vedi un pezzo in italiano degli Heike Has The Giggles dal titolo “La Solitudine”?! No, è impossibile, non fa parte di noi al momento, non credo sarebbe molto credibile. Guido: Automaticamente si formerebbe un'altra band.
Concordo. Il primo disco l'avete registrato in presa diretta, con l'ultimo invece che approccio avete usato? Quali sono le principali differenze?
Ema: I primi giorni sono stati come per il vecchio, quindi suonavamo tutti e tre assieme. Alcune cose che avevo cantato live, che magari avevano un'intenzione più interessante di quelle che poi andavo a sovraincidere, le abbiamo mantenute. Siamo stati in studio complessivamente una ventina di giorni, anche se staccati, quindi il periodo è stato molto più lungo e abbastanza intenso. Avevamo le idee chiare su cosa fare però ci siamo dati più tempo stavolta, ne avevamo bisogno, perché siamo stati in giro un paio d'anni. I pezzi li abbiamo composti nei ritagli di tempo, nel week end andavamo a suonare e poi ci trovavamo il mercoledì in sala prove tra lezioni, esami e tutto. Quindi ci serviva proprio un periodo di respiro più lungo tutti e tre da soli. Matteo: A livello tecnico ci interessava sempre avere la parte in presa diretta, per cui tutto quello che siamo riusciti a salvare live l'abbiamo salvato, perché è l'attitudine che vogliamo mantenere al di là di tutto. Però stavolta l'abbiamo presa con molta più calma.
Crowd Surfing... voi l'avete mai fatto?
Ema: Purtroppo no. Guido: Io una volta ad un concerto, ma non era proprio dal palco, ero salito su della gente. Matteo: Io non l'ho mai fatto. Un mio amico una volta l'ha fatto lanciandosi dal un palco, solo che ha evitato la folla non ho capito bene come e si è spaccato tutti e due i gomiti, è stato fermo un sacco di tempo.
Perché l'avete scelto come titolo del disco?
Ema: Perché intanto deriva da un pezzo che è abbastanza matto, forse quello più strano e particolare dell'album. Poi perché tutto l'album gira intorno all'idea di buttarsi, in un senso più punk, di lasciarsi andare ai sogni e fare quello che ci sentiamo. È quasi uno stato mentale questo “crowd surfing”.
Tu Ema hai curato anche la parte grafica del nuovo lavoro. Parlami un po' dello smile, di tutte le vostre foto in copertina... c'è qualche significato dietro o l'hai fatto semplicemente perché ti sembrava un'idea carina?
Ema: In realtà l'ho pensata così scherzosamente, poi ci siamo divertiti a fare le foto. Il simbolo dello smile è un po' ironico, nel senso di metterti uno smile in faccia, perché tutti i nostri pezzi di facciata sono abbastanza allegri, però i testi hanno un lato un po' diverso. Quindi ci piaceva questo contrasto. Matteo: L'idea base era quella di fare una copertina con tante volte le nostre facce. Siamo andati a fare le foto con delle cose in testa come tre cretini in uno dei giardinetti pubblici del nostro paesino Solarolo, con gli anziani che passavano e ci guardavano con aria abbastanza dubbiosa.
Parliamo di cover. Quando vi ho visti suonare l'ultima volta avete fatto “No Scrubs” delle TLC e nella ristampa del primo disco c'è “Crazy In Love” di Beyoncé, tutte ovviamente rifatte “alla vostra maniera”! Perché scegliete delle canzoni così lontane dal vostro genere?
Ema: Perché secondo me è bello fare qualcosa che sia diverso. Ci piacciono ovviamente altre cose che sono più vicine al nostro stile, che però proprio per questo risolveremmo in maniera molto simile all'originale. Invece prendere un pezzo di questo tipo che comunque ti piace, ovviamente non come mi piacciono gli artisti che vado a vedere in concerto, ma che comunque gradisco e farne una cover lo trovo più interessante.
C'è una canzone delle vostre a cui siete più legati?
Ema: In realtà tante per motivi diversi. A me viene in mente ”Next Time”, è una di quelle che mi piace di più, sono contenta sia del testo che di come è venuta su disco. Di solito sono un po' critica sulle cose che faccio, voglio sempre migliorare, invece quel pezzo mi soddisfa in tutto. Guido: Io sono abbastanza legato a ”Robot”, forse perché è una delle prime canzoni che abbiamo fatto in assoluto. Matteo: Un pezzo che mi diverto un sacco a suonare è ”We All”, poi ”Breakfast” rimane una delle più belle, anche ”Next Time” e ”Crowd Surfing”. Mi piace molto anche ”Time Waster”, me la godo sempre a suonarla e poi mi piace come Guido suona la batteria lì, è uno dei miei pezzi preferiti. Guido: Poi ti passo cinque euro!
I vostri artisti di rifermento o che semplicemente vi piacciono?
Ema: Tra le cose che ascoltavo nel periodo in cui ci siamo formati ci sono ad esempio You Say Party! We Say Die!, Yeah Yeah Yeahs, erano i miei ascolti del momento... però non c'è qualcosa che ci ha indirizzato. Matteo: Forse quando ci siamo incontrati avevamo ascolti più simili, che poi si sono spostati in diverse direzioni singolarmente, per cui non è così facile trovare artisti di riferimento che piacciano a tutta la band. Capita che magari sul furgone metto su un disco che piace a tutti o ne metto un altro che piace solo a me. Per cui è difficile. Ema: Poi sicuramente a livello personale abbiamo i nostri idoli, quelli che ti fanno saltare sul letto quando li ascolti, tipo Pj Harvey, Hole, Alanis Morissette, sono il motivo per cui ho iniziato a suonare la chitarra e cantare.
Visto che avete suonato in un sacco di posti, dov'è che vi è piaciuto di più?
Guido: Oltreoceano è stato figo. Ema: Una delle esperienze che mi è piaciuta di più è stata in Olanda, eravamo in un festival con band che ci piacciono molto tipo Peggy Sue, The Creeps, ed è stato bello farne parte. Matteo: Anche New York, neanche per la data in sé, ma perché è un altro mondo, è diversa l'attitudine che c'è lì. Ci sono un sacco di locali dove vedi cinque band a sera, suonano con gli amplificatori più marci che ci sono, con la batteria sfasciata e suonano bene. È un'attitudine che in Italia a volte manca, sarebbe bello averne un po' anche qua. Vedere gente che arriva dieci minuti prima del concerto, attacca lo strumento all'amplificatore e fa un bel live è proprio bello, è una cosa che mi piace molto.
Articolo del
14/04/2012 -
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