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Tra gli artisti emergenti che maggiormente ho apprezzato dal vivo durante quest’anno, spicca il nome di Ilenia Volpe. Mi ha colpito, in particolar modo, la sua grinta e la sua voce che, ha tratti, mi ha ricordato quella della grande Mia Martini. Ilenia nasce artisticamente nel 2006 con la vittoria del premio "miglior musica" per il brano Mondo indistruttibile al Concorso Augusto Daolio, Negli anni successivi stringe importanti collaborazioni con artisti della scena indie italiana del calibro di Moltheni e degli Operaia Criminale. La svolta della sua carriera nasce dall’incontro e dalla successiva collaborazione con Giorgio Canali (ex chitarrista dei gloriosi CSI).
Il suo perenne stato di disagio, la sua ritrosia per un certo snobismo contro-culturale e le scariche elettriche dal sapore punk sono state la miscela per il folgorante disco d’esordio del 2012 intitolato Radical Chic un cazzo che vede Giorgio Canali in veste sia di produttore che di musicista. La mia professoressa di italiano è il singolo apripista dell’album. Ha in sè tutta l’irriverenza del punk con tanti saluti alla prof ed ai quattro ai compiti in classe che, ai tempi, fioccavano così fitti che, forse, nemmeno Alemanno con la pala sarebbe riuscito ad arginare. Abbiamo incontrata Ilenia recentemente per cercare di entrare all’interno del suo universo sonoro.
Qual è stata la molla che ti ha spinto scrivere canzoni?
Sono cresciuta circondata da affetto e da tanta buona musica. Ricordo che mio padre, seduto sul divano, mi suonava alla chitarra le canzoni dei Creedence Clearwater Revival e dei Beatles. Nel vedere lui ne rimasi innamorata: da quel momento lasciai le bambole e mi immersi nella musica.
Quali sono le tue radici musicali e quale è la cantante/band che ti ha maggiormente influenzata?
Sono passata dalla fase di passivo apprendimento, ascoltando tutte le pietre miliari della musica italiana ed internazionale che i miei genitori mettevano nel piatto, ad una fase in cui volevo definire una mia personalità musicale. L’esordio è stato con Bon Jovi e, con il senno di poi, ancora non mi capacito di come avessi potuto ascoltare una roba simile. Quindi, sono passata ai Nirvana. All’inizio li detestavo in quanto pensavo fossero forzatamente alternativi. Mi resi conto dell’errore di valutazione solamente dopo la morte di Kurt Cobain. In ogni modo, i Nine Inch Nails sono il mio principale punto di riferimento. Li trovo semplicemente geniali. In questo periodo sto ascoltando molto Marilyn Manson. La sua interpretazione di This Is The New Sheet è semplicemente pazzesca.
E per quanto riguarda le voci femminili?
Adoro la voce penetrante di Mia Martini. La notizia della sua morte è stata per me un vero shock. Sentire i suoi dischi mi mette i brividi. Con Angela Baraldi c’è un rapporto di grande stima, sia umana che professionale. Lei è bravissima nel cantare con una voce intensa usando dei toni molto bassi. Per quanto riguarda artisti internazionali, ho letteralmente consumato i primi due dischi di Alanis Morissette. Apprezzo, inoltre, Patti Smith, PJ Harvey e Bjork pur non sentendomi direttamente ispirata da loro.
Quale è stato secondo te il periodo più significativo della storia del rock?
Sono legatissima agli anni 90, che adesso non vanno più di moda. Assieme agli anni Sessanta, li reputo tra i più importanti della storia del rock. E’ stato un decennio che mi ha coinvolta totalmente.
Come è nata e cosa ti ha dato l’interazione con Giorgio Canali?
Giorgio l’ho conosciuto tramite gli Operaia Criminale, una band prodotta da lui. Mi hanno chiesto di registrare delle voci. L’intesa con lui, a livello artistico, è stata immediata ed si è aperto davanti a me un mondo nuovo intriso di scariche elettriche punk e grunge. Giorgio è una persona che, innanzitutto, fa le cose per passione, a prescindere dal riscontro commerciale. Una volta in studio, mi ha lasciato molta libertà d’azione. Spesso dava l’idea di non prestare attenzione a quello che stavo facendo con l’effetto di farmi sentire più rilassata. Poi improvvisamente si girava e mi caricava ancora di più riuscendo a tirar fuori tutte le potenzialità che avevo in quel momento. Un’altra caratteristica di Giorgio è che è punk dalla testa ai piedi: nel momento in cui lo conosci ed interagisci con lui, inevitabilmente esce fuori e si amplifica la tua anima punk, anche se non è il tuo aspetto predominante. Il mio approccio è stato di totale fiducia nei suoi confronti. Tutto questo ha fatto sì che le canzoni sono state suonate e registrate in presa diretta. Proprio come si faceva negli anni Settanta. Una volta entrati in studio Giorgio non conosceva i miei brani. Mi ha semplicemente detto: “suona e vediamo quello che esce fuori”. Quindi, iniziavo a suonare le parti con la chitarra e poi lui ci suonava assieme alla band. Tutte le canzoni registrate sono state suonate senza pensare troppo a quello che stava venendo fuori. Il brano intitolato Il tubetto di crema arancione è stato registrato proprio in questo modo e ne è uscita una versione totalmente diversa da quella iniziale.
"La mia professoressa di italiano" è stato scelto come singolo. E’ una canzone immediata che ha in se tutta l’irriverenza del punk. Puoi dirmi qualcosa di più sulla genesi di questo brano?
La mia professoressa di italiano è stato l’ultimo pezzo composto per il disco. Un giorno con Giorgio stavamo suonando liberamente e da un giro di chitarra è uscito fuori questo brano. L’ho scelto come primo singolo per il disco Radical Chic un cazzo proprio in onore della prima canzone scritta assieme a lui. Essendo pienamente coscienti che l’ambiente indie italiano non fosse così alternativo ed indipendente come lo si vuole fare apparire, sapevamo benissimo che, uscendo con questo brano come singolo, si andava incontro a molte critiche per le parolacce presenti nel testo. Ma ce ne siamo altamente fregati.
In effetti alcuni hanno avuto modo di muovere qualche critica sul testo di questo brano, dal loro punto di vista troppo elementare. Cosa ne pensi?
Ritengo che il testo più curato che abbia scritto sia proprio quello di La mia professoressa di italiano. Persino rispetto a un brano come Preghiera. Per scrivere il testo ho fatto uno studio ispirandomi agli insegnamenti di uno scrittore irlandese chiamato Roddy Doyle ed al suo libro intitolato Paddy Clarke ah ah ah!. L’autore racconta la storia di un bambino in prima persona usando il linguaggio di un bambino come se lui stesso fosse proprio quel bambino. Mi sono chiesta quanto anni avessi quando avevo questa professoressa e come parlassi a 13 anni. Quando, ad un certo punto, dico: “ridendo come una iena cattiva”, ho detto tre cose che potrebbero essere specificate dalla parola iena. Le ho specificate volutamente perché nel linguaggio di un bambino ci sono sempre dei perché che vogliono avere una risposta.
Come nasce una tua canzone ed in quali situazioni scrivi?
Non c’è una situazione standard ma ci deve essere, bensì, una situazione psicologica di disagio. Uno stato d’animo, questo, sempre presente in me e che, per fortuna, è anche la molla che mi spinge a scrivere canzoni. In Preghiera, invece, Steve Dal Col (il chitarrista di Giorgio Canali) mi ha mandato una base già completa con la parte strumentale che a me ricordava una preghiera per l’atmosfera epica che ne scaturiva. Il caso ha voluto che proprio qualche tempo prima avessi scritto questo testo che si plasmava alla perfezione con il pezzo. E così sia... La composizione di una canzone ti suggerisce anche l’arrangiamento?
Quando scrivo un pezzo mi viene sempre l’arrangiamento che, successivamente, si perfeziona suonando la canzone con la band. I ragazzi della band sono, per me, come dei fratelli: persone splendide ed ottimi musicisti con cui ho un integrazione perfetta tanto che, dopo i primi 6 pezzi registrati in studio con Giorgio Canali, ho avvertito l’esigenza di registrare i rimanenti brani assieme alla mia band.
A quale canzone ti senti più legata?
Senza dubbio al pezzo intitolato La Crocifinzione. Il brano parla della profonda sofferenza di una donna per la perdita di due figli: il primo per aborto spontaneo. Due anni dopo, quando finalmente voleva avere un figlio, perde anche il secondo per aborto. Maturano in lei dei sensi di colpa per il figlio che due anni prima non aveva voluto. L’immagine della figura di questa donna che perde sangue (“sangue dappertutto”) riflette questo stato di profondo dolore interiore. La frase mi colpisce ogni volta che mi trovo a cantare questa strofa.
Hai intitolato il tuo disco d’esordio "Radical chic un cazzo". Come mai?
Il titolo è una dedica alla scena alternativa italiana che, invece, di indipendente ha quasi nulla. Con profonda delusione devo dirti che è un ambiente molto provinciale e perbenista intriso di invidia e meschinità con un’etica molto simile a quella del mercato mainstream italiano. E’ un mainstream, per così dire, travestito. Proprio come l’attitudine del radical chic. In definitiva, per me vale mille volte di più la stima di gente come Giorgio Canali che l’apprezzamento di un pubblico di tendenza. L’importante, per me, è riuscire a comunicare tutto quello che ho dentro.
Ascoltando l’album si avverte la presenza di canzoni scritte in periodo diversi del tuo percorso musicale: ai ritmi più lenti ed ai toni meno accesi di “Mondo indistruttibile” si passa alle rasoiate punk del tuo periodo artistico più recente di “Prendendo un caffè con Mozart” per poi approdare alla bellissima “Il giorno della neve”. Come è nato questo brano?
Il giorno della neve è nato nel 2009 quando, per un anno, avevo smesso di suonare delusa dalle ipocrisie della scena alternativa / indipendente italiana, prevenuta nei miei confronti qualsiasi cosa dicessi o facessi. A livello personale, poi, ero in un momento in cui avevo conosciuto la schizofrenia tramite una persona a me molto cara. Mi ero fermata perché mi sono accorta di dover dividere queste emozioni con un ambiente che sentivo non appartenermi visto che sono una persona abituata a dire quello che pensa a prescindere dall’arrivare o meno al successo o al dover piacere a qualcuno. Per me la musica, dopo la famiglia e gli amici più intimi, è l’unica cosa che mi fa star bene. E’ una incoerente catarsi alla mia cronica situazione di disagio. Mi ricordo che stavo in un pub con amici a Bologna. Nevicava e faceva un freddo della madonna. Ad un certo punto mi son detta “questo è proprio il giorno della neve”. La mia amica Simona ha subito pensato che questa frase fosse perfetta per intitolare un nuovo brano. Sono tornata a casa e, dopo quasi un anno, ho ripreso la chitarra e composto questa canzone. E’ interamente strumentale proprio perché non riuscivo a cantare in quanto qualsiasi cosa cantassi veniva male interpretata dai ben pensanti della scena alternative. A pensarci bene, Il giorno della neve è un brano che ricorda le cose che sto facendo assieme ai Mug, una band dalla sonorità noise sperimentale.
Questa voce dura graffiante la rivedresti in una situazione più pacata ed intimista?
Se vai a sentire il duetto che ho fatto con Davide Vettori nel brano intitolato La distrazione (prodotto da Tommaso Mantelli, ex bassista del Teatro degli Orrori) ed anche il duetto con Moltheni nel pezzo intitolato In centro all’orgoglio, noterai che le atmosfere si fanno più tenui. La stessa cosa si avverte nel brano Odori non chimici che vede al pianoforte Fabrizio Vivarelli, ovvero l’ex tastierista del mio progetto originale. Con lui ho una nuova collaborazione in cantiere a base di atmosfere decisamente violente con una voce che declama parole in modo duro e martellante in un tappeto sonoro lasciato a delle chitarre distorte.
Come è stata la reazione dei media e del mercato alla tua prima uscita discografica?
Devo dirti che la visibilità di un artista, in questo caso, dipende dai contatti che ha il tuo ufficio stampa. I media, poi, decidono se recensire il disco o meno. Penso che la Lunatik, il mio ufficio stampa, abbia fatto un ottimo lavoro. Il disco ha avuto molte recensioni, quasi tutte positive tranne alcune che si sono soffermate sui miei tatuaggi e sui tre profili Facebook. Critiche che accetto senza problemi anche se, francamente, non capisco dove si voglia andare a parare. Adesso nell’underground le etichette non provvedono a fare le stampe del disco ma queste vengono demandate all’artista. Con questi presupposti è evidente che dietro ad un disco debba esserci molta passione, che è qualcosa che spinge l’artista ad investire dei soldi spesso a fondo perduto.
Cosa rappresenta per te questo disco?
Rappresenta un mio percorso di vita e si porta dietro tutta la passione di un artista e la gioia di aver fatto un disco: un punto di arrivo che spero presto si tramuti in un nuovo punto di partenza.
Cosa è cambiato in te durante quest’anno?
Non avendo un’agenzia di booking non ho l’opportunità di suonare costantemente ma solo quando mi chiamano. In ogni modo, noto un’attenzione ed una maggiore curiosità, sia da parte sia del pubblico che dei media, nel venirmi ad ascoltare. Questo non vuol dire che si tratti sempre di complimenti ma, a volte, anche di critiche che, se costruttive, sono sempre un fattore di crescita. I complimenti degli amici, per quanto piacevoli, tendono ad essere di parte. Proprio per questo motivo, gli attestati di stima migliori sono quelli fatti da parte di persone che non mi conoscono affatto. Ultimamente ho fatto un concerto a Prato per i terremotati. Pensavo che, in quell’occasione, lo spirito che animasse l’evento dovesse essere diverso tanto che non avevo portato CD da vendere. Mi è dispiaciuto che una giornalista mi abbia criticata. Le ho prontamente risposto “Evviva la beneficenza!”. Il video de "La mia professoressa di italiano" come è nato?
E’ stato girato con l’intento di fare una cosa trash, con colori e situazioni che ricordassero certi video classici degli anni 80: un periodo che io reputo musicalmente inutile. La studentessa che viene frustata è, per la cronaca, mia sorella. Poi Giorgio vestito da prete è stata la ciliegina sulla torta. A questo punto, credo che molti abbiano capito lo spirito ironico con cui il video sia stato fatto. Alcuni lo hanno paragonato perfino a quello di Heart Shaped Box dei Nirvana.
A vederti dal vivo sei un vero e proprio animale da palco. Come vivi la dimensione live?
Sul palco mi diverto da morire. Mi sento libera, sto bene. Vado oltre il mio limite, in un altro mondo, per poi ritornare sulla terra. In questo mi ritrovo in perfetta simbiosi con la mia band che per me è fondamentale. Stiamo sulla stessa linea d’onda ed loro rivedo lo spirito dei Creedence che mi ha tramandato mio padre. E’ chiaro che, durante un'esibizione live, ci possano essere differenti situazioni: ogni volta che canto Preghiera mi arriva davanti l’immagine del mio amico Alberto Bonanni e la situazione emotiva è, per forza di cose, differente di quella di La mia professoressa di italiano. Cosa ne pensi della crisi che ha colpito il mercato musicale?
La crisi deriva principalmente dai fenomeni del momento, dalla logica di avere tutto e subito. Dai format televisivi che manipolano l’artista trattandolo come una sorta di prodotto fast food per poi distruggerlo pur di fare business.
Cosa ne pensi della scena musicale alternativa italiana?
La situazione non è certo positiva. Ci sono, principalmente, tre fattori da evidenziare. Negli anni 90 uscivano delle band come i Verdena e gli Afterhours che hanno potuto fare un percorso grazie all’attenzione ed agli investimenti delle loro case discografiche. Adesso, come ti ho detto in precedenza, esiste solo il personaggio del momento. Potrà vendere qualcosa in più adesso ma lascerà mai il segno. Penso invece che l’arte debba essere intesa come un percorso, come un qualcosa di duraturo che non muore e che, invece, deve restare. In secondo luogo, penso che la musica indipendente sia, invece, più dipendente del mercato mainstream la cui logica non viene certo tenuta nascosta. Il mercato indipendente, invece, ti vende un prodotto come alternativo ma, in realtà, è fortemente dipendente dalle mode del momento con le stesse logiche pesticida del mercato mainstream. Infine, ritengo che il pubblico attuale sia un pubblico quasi del tutto passivo. Ha in mano un telecomando con programmati i canali preconfezionati dai media. In questo modo passano inosservate band che, invece, “spaccano” letteralmente pur non cavalcando l’onda del momento. In questo Internet potrebbe essere una chiave che ti permette di conoscere musica interessante (almeno per i più curiosi ed appassionati).
C’è qualche artista contemporaneo che ti è piaciuto particolarmente fra i tuoi ultimi ascolti?
Sono rimasta molto colpita dai Baby Blue e dai B Forest. Tramite Internet sono arrivata a scoprire i Mono, una band giapponese post rock veramente eccezionale. Il loro concerto al Circolo degli Artisti di Roma è stato notevole.
Quale opportunità ritieni possano provenire dalla rete (Facebook, Myspace, Bandcamp)?
Ritengo che Internet possa offrire agli artisti della visibilità. Per quanto mi riguarda, sono stata contattata da Moltheni tramite Myspace. Mi ha proposto di fare un duetto con lui. Nel 2010 Andrea Ruggero, il violinista della band Operaia Criminale, mi ha contattato sempre su Myspace proponendomi di fare le voci per il loro disco prodotto da Giorgio Canali.
Mi sembra di capire che Myspace, rispetto a Facebook, fosse più funzionale alle esigenze di un artista.
In Myspace il motore trainante era la musica. Su Facebook è, invece, l’abilità dell’utente di trovare la frase e la situazione adatta che possa incuriosire gli altri utenti. Ciò non toglie che Facebook sia sicuramente un ottimo mezzo per arrivare a raggiungere ed a contattare le persone. Per farti un esempio pratico, con Myspace si partiva direttamente dalla musica: “ho fatto questa canzone in ascolto e ve la voglio far ascoltare". Con Facebook si parte dal profilo personale per poi (forse) arrivare a quello musicale: ”sto registrando con Giorgio Canali. Queste sono le foto in studio”. In ogni modo ogni community può essere utile. Dipende da come la usi. Se scrivi solo di gossip certamente non produrrà gli stessi risultati.
Hai già iniziato a scrivere qualcosa per il nuovo album?
A livello di testi sto scrivendo delle cose molto violente, crude molto simili al testo del brano La Crocefinzione. Devo dirti che ho vissuto un’annata molto dura iniziata il 29 giugno dello scorso anno quando Alberto Bonanni, un mio carissimo amico, è stato aggredito al rione Monti. Ne sono rimasta sconvolta. Poi sono accadute una serie di cose che mi hanno portato a scrivere dei testi molto duri. Anche la realtà in cui ci troviamo a vivere non è certo delle migliori. Musicalmente spero di fare un disco ancora più violento del mio primo lavoro anche se so che non cavalcherà l’onda della tendenza del momento. Ma io sono contenta così e continuerò ad andare per la mia strada. Alla faccia dei Radical Chic!
Articolo del
03/07/2012 -
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