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Ho una strana sensazione. Come se qualcosa non mi convincesse del tutto. Questi Rival Sons non me la raccontano giusta... Sono questi principalmente i pensieri che mi girano in testa prima dello show e dell’intervista con la band di Long Beach, a due passi da Los Angeles, California. Tutto, pensando ai Rival Sons, mi sembra fatto a regola d’arte, come se si trattasse di un progetto (il paragone è estremo) stile Steel Panther, improntato però su look e sul (super) sound anni 70. Vedremo, soltanto i miei occhi e le mie orecchie potranno e sapranno smentire o confermare questi sospetti.
Il tour manager della band, Pete, mi fa entrare nella venue anzitempo nel tardo pomeriggio e mi chiede se gentilmente posso attendere una decina di minuti che, una sigaretta alla volta, si trasformano in un’oretta buona di nulla. Non che questo sia un problema, è sempre affascinante guardare i preparativi di uno show, la quiete prima della tempesta e tutto il resto. In realtà la vera fonte di attenzione è Jacquie Neville, la cantante dei The Balconies, il gruppo di apertura, di cui mi occuperò in seguito. Si fa vivo Scott Holiday, l’imponente chitarrista dei Rival Sons con i suoi importantissimi baffi arricciati alla Capitan Uncino che passandomi davanti mi saluta distrattamente, poi quando Pete gli dice che sono quello che lo dovrà intervistare torna indietro e si presenta. Decidiamo di andare all’esterno della venue, perché è meno rumoroso, propongo di salire sul tour-bus, ma Scott lo sconsiglia perché gli altri compagni di band stanno dormendo, quindi ci sistemiamo nel parcheggio... ---------------- Come sta andando il tour?
Magnificamente, i fan aumentano, giriamo un sacco di posti, ci stiamo divertendo... non potrebbe andare meglio.
Vi sentite stanchi?
No, no... anzi, Mi sento riposatissimo, perché due giorni fa avevamo il day-off e... beh abbiamo fatto una cosa un po’ da metrosessuali (ride) perché siamo andati in questa Spa fantastica, abbiamo fatto sauna, massaggi... ci voleva proprio!
Stando a quanto dice il vostro sito, finirete il tour questo mese, o è solo un break prima della stagione dei festival?
Sì, tra un paio di settimane finiremo il tour a Londra, dove ci sarà lo show più grosso. A quel punto rimarremo un altro po’ a lì perché abbiamo da fare alcune cose per la stampa prima di volare a casa negli Stati Uniti, dove faremo qualche altro show per un paio di settimane e poi ci riposeremo un po’ per essere poi pronti per la stagione dei festival.
State già pensando al prossimo disco?
Sì, ne abbiamo parlato ed abbiamo già qualche idea. Dobbiamo aspettare di finire il tour ed avere un periodo vuoto di almeno una ventina di giorni così potremo già andare in studio.
Qual è il vostro approccio alla scrittura di nuove canzoni?
Facciamo tutto sul momento, non ci prepariamo mai nulla prima. Se mi viene qualche idea ad esempio non dico o faccio sentire nulla agli altri prima di andare in studio e poter registrare. Quando siamo tutti lì, con il produttore e l’ingegnere del suono... Pronti via! Facciamo tutto. Venti o venticinque giorni ed il disco è pronto.
Come definisci la vostra evoluzione da "Before The Fire" (2009) a "Head Down" (2012)?
Quando abbiamo iniziato a fare Before The Fire Jay (Buchanan, il cantante ndr) ancora non era entrato nella band, è arrivato a lavori in corso. Quello è quasi tutto scritto da me, anche da Robin (Everhart, il bassista ndr) e Miley (Mike, il batterista ndr) ovviamente, ma credo che quel disco però esprima maggiormente il mio gusto musicale, un certo tipo di rock’n’roll che infatti suona un po’ più “british”. Nel lavoro successivo, l’EP (Rival Sons EP, 2011 ndr), abbiamo voluto che Jay fosse più coinvolto, in fase compositiva proprio, quindi ha preso una piega più blues. Con Pressure And Time (2011) abbiamo voluto concentrare l’essenza delle prime due registrazioni. Su Head Down invece abbiamo voluto dare un’impronta più simile a ciò che si vede nei concerti, quindi deriva da lunghe sessions dalle quali abbiamo estrapolato quello che rappresentasse maggiormente le rispettive influenze in ogni brano.
Quindi qual è il tuo preferito?
Su Head Down? Mmh. Mi chiedi di scegliere tra le mie creature! Sono molto orgoglioso di tutto il disco, ma se mi punti una pistola alla testa allora ti dico Manifest Destiny, entrambe le parti, ma in particolare la prima perché mi rappresenta molto come chitarrista e perché l’ho scritta per mia figlia.
Credi che ora sentirete maggiormente il peso delle aspettative da parte di fan e critici per il prossimo disco?
Sì, ma non siamo troppo preoccupati, perché le critiche sono scritte da tanta gente diversa, chi dice una cosa e chi dice il contrario, non ci interessa. Noi intanto facciamo dischi, anche perché se facciamo un disco che i fan amano ed i critici stroncano per noi l’importante è che piaccia a chi ci viene a vedere. Fondamentalmente suoniamo per i fan, non per i critici, ma ancor prima dei fan suoniamo per noi stessi.
Vi capita spesso, mentre componete, di accorgervi di cose che assomigliano troppo a canzoni di grandi del passato? Ad esempio mi viene in mente un pezzo di "Lucky Girl" che mi ricorda molto un passaggio di "Comfortably Numb" dei Pink Floyd...
Eh eh! Posso dirti che non lo facciamo apposta, alla fine quanto diresti che Lucky Girl ha a che fare con i Pink Floyd? Niente. Però sì che ci capita, quando siamo lì col produttore e riascoltiamo tutto succede che ci guardiamo e diciamo “merda! Questa è troppo simile a qualcos’altro...” A quel punto la riascoltiamo e ci domandiamo onestamente se è il caso di andare avanti, non vogliamo passare per copioni e se un pezzo sembra troppo copiato non andiamo avanti. Quella che hai detto te comunque è anche una delle canzoni più vecchie e forse quella con il caso di copia più evidente... Avrai pensato: “questi figli di puttana hanno plagiato Comfortably Numb!!” (ride)
Ah ah! Sì, è stata esattamente questa la mia reazione! Invece avete mai pensato di non riuscire ad avere successo perché il vostro stile musicale è datato o appetibile solo per nostalgici del rock anni 70?
No, mai. Personalmente sono un fan del rock’n’roll di tutte le epoche e conosco tante persone come me che vogliono sentire rock’n’roll, gente per la quale il rock è parte dell’anima. Ai nostri concerti ci sono persone di tutte le età e questo è bello.
Voi arrivate da Los Angeles, una delle culle del rock tra gli anni 60 e 80. Com’è la situazione della scena musicale oggi da quelle parti?
A Los Angeles c’è e c’è sempre stato tutto, non solo il rock, è una città fuori dal comune sotto ogni punto di vista e non si ferma mai.
Il vostro pezzo "Burn Down Los Angeles" parla di questo?
Il testo l’ha scritto Jay, ma non tratta proprio della scena musicale, o meglio... Los Angeles è una città dove la gente arriva e da dove la gente si sposta continuamente, come New York. Vengono con l’idea di fare qualcosa di importante. C’è Hollywood ad esempio, molti arrivano e vogliono diventare grandi attori, o grandi scrittori e non tutti ce la fanno, quindi spesso questa città inghiottisce anche i sogni di molte persone. Il messaggio della canzone è: “non lasciate che questo accada. Siete venuti qui per vincere. Vincete cazzo! Non vi scoraggiate. Siete venuti per essere musicisti? Suonate, suonate e suonate ancora. Scrivete. Prendete questa città e sculacciatela, anzi, bruciatela!” In senso metaforico quindi. Questo è il significato.
Vi ispirate soltanto alle leggende o vi guardate anche intorno nel panorama moderno?
Assolutamente anche artisti odierni, ad esempio ultimamente vado matto per i Tame Impala e poi sono un grandissimo fan di Jack White. Anche dei Black Keys. Di base poi non sono uno che segue soltanto il rock, ci sono molte cose che mi piacciono anche nel pop o nell’elettronica. Sono un fan della musica in generale, non mi precludo nulla... hip hop, soul o roba più pesante, anche molto tosta... se una cosa è buona è buona! Altrimenti come pretendi di fare qualcosa di buono? I grandi del passato ascoltavano tutti tantissime cose e sperimentavano di continuo, specialmente nel jazz, ad esempio gente come Miles Davis o John Coltrane... Ora non vogliamo far scappare i fan, ma lentamente, molto lentamente vorremmo aprirci alla sperimentazione di nuove sonorità.
Come ti senti quando vi paragonano alle band icona del passato?
In un primo momento onorato, naturalmente, poi però lo considero un po’ un “bacio della morte” perché... immagina che tu scriva belle canzoni e uno dicesse che sei il nuovo Bob Dylan... Ovviamente te sai che non potrai mai essere così, ma la gente te lo continua a dire e quindi poi verrai confrontato con Bob Dylan e ne uscirai perdente. Questo è quello che succede a noi con i fottuti Led Zeppelin... è un continuo, da sempre! Non riusciamo a scrollarcela di dosso questa cosa, ce l’hanno appiccicata e noi non la vogliamo, perché non vogliamo confrontarci con loro. Ci sentiamo come se stessimo all’ombra dei giganti. Noi cerchiamo di fare il rock’n’roll nella maniera che amiamo, non di emulare qualcuno.
In effetti hai già risposto anche alla prossima domanda, perché volevo chiederti se fare revival rock, per quanto sia bello perché significa che il rock’n’roll non muore mai, comporti l’essere consapevole che le posizioni più alte sono già tutte occupate. Per farla breve il senso è “Ok, fai la tua cosa, bello, però non sarai mai come i Led Zeppelin.” Sì, è giusto. Non ci sarà mai un altro Jimi Hendrix, o un altro Jim Morrison, o Kurt Cobain... ed è giusto così, bisogna fare ed essere qualcosa di nuovo. Ognuno dovrebbe fare quello che lo fa stare bene. Fare musica può essere molto complesso, ma al tempo stesso molto facile. Uno può fare la musica più semplice del mondo ma darmi delle emozioni, regalarmi dei bei ricordi. Quello ha valore.
C’è una canzone in particolare che sentite particolarmente e che non taglierete mai dalla setlist?
In realtà non ce n’è una in particolare, crediamo che sia giusto fare sempre quelle più conosciute, perché è bello vedere quando tutti si esaltano e cantano ad esempio su Keep On Swinging. Pensiamo sia giusto non tradire quel tipo di aspettativa, è come se uno andasse a vedere... mmh... fanculo tanto ormai si parla solo di quello (ride)... come se uno andasse a vedere i fottuti Led Zeppelin e loro non suonassero Whole Lotta Love. Tu diresti: “ma che cazzo! Ho aspettato mesi per vedere i Led Zeppelin e ora questi suonano proprio Whole Lotta Love?! Vaffanculo!” quindi per quanto io o gli altri abbiamo ognuno i propri pezzi preferiti, come ti dicevo prima per Manifest Destiny nel mio caso, alla fine vogliamo far divertire la gente e non deludere le aspettative dei più.
------------------ Il responso finale è che Scott mi sembra uno “che sta sul pezzo”... Specialmente quando parlando di vecchie chicche 60’s ha anche citato la compilation Nuggets fornendo quindi delle credenziali validissime. Ora non resta che vederli all’opera.
Quando i Rival Sons prendono il palco il boato è incredibile, se è vero che in Europa il loro pubblico si moltiplica di giorno in giorno, sicuramente anche in Italia c’è una grossa fetta di “aficionados”, perché la stragrande maggioranza dei presenti non dà l’idea di essere qui per curiosità, anzi, trattasi di una vera e propria fan-base, evidentemente già raddoppiata dallo scorso ottobre, periodo della loro ultima sortita nella nostra penisola. Camicie aperte e giacche vintage, abiti di scena annunciati, visti da fuori i Rival Sons fanno la loro figura non c’è che dire, piuttosto va fatta una speciale menzione per l’acustica di Zona Roveri, davvero ottima, una rarità per le venue medio/piccole in Italia. Colpisce particolarmente il volume degli Orange (amplificatori) di Scott, altissimi, personalmente lo trovo divertente, sono quasi esagerati in certi momenti, a giudicare da alcuni commenti che sento aleggiare però capisco che c’è anche qualcuno più contrariato. La scenografia è composta di sole luci, sapientemente proiettate attraverso i banchi di fumo che avvolgono le quattro sagome dei componenti della band, creando l’atmosfera giusta con la musica e la performance al centro di tutto. La mia curiosità inizialmente va sulle movenze e gli atteggiamenti di Scott, perché dopo averlo conosciuto era la cosa più naturale ed istintiva, ma la vera calamita di attenzioni è Jay Buchanan. Jay è il frontman “perfetto”, voce divina, viso splendido, espressione radiosa, aurea mistica ed è anche simpatico e disponibile di persona. Veramente “troppo” perfetto da un certo punto di vista, perché osservandolo più da vicino capisco che la fonte dei miei dubbi sulla completa autenticità dei Rival Sons dipendono in realtà proprio da lui e dalle sue movenze ed espressioni un po’ forzate che, sommate al fatto che, prima di unirsi ai Rival Sons, Jay avesse attitudini molto più soft che rock’n’roll, mi danno una mezza conferma. A saltarmi all’occhio è anche un senso di individualismo da parte dei componenti della band, che raramente si guardano o si sorridono, ognuno fa la sua cosa e (per carità) la fa in maniera eccellente. Ognuno con il suo modello di riferimento, la postura di Jay ricorda tantissimo quella di Ozzy Osbourne ai primi tempi coi Black Sabbath, seppur il layout della band in generale verta principalmente in direzione inequivocabilmente zeppeliniana, con buona pace di Scott. Il pubblico si agita, urla, sorride, canta, esulta e si esalta... non importa se alcuni pezzi ricordino tanto di tanti altri gruppi, conta lo spettacolo, che c’è, si vede e si sente forte e chiaro.
Alla fine della fiera direi che si tratta di ottimi mestieranti, con i mezzi ed il phisique du role per calarsi in questa parte, tirando fuori belle canzoni, emotivamente coinvolgenti e ottimi show, seppur sempre all’ombra dei grandi da cui prendono spunto. Fanno già e faranno la gioia di tutti coloro che non hanno potuto vivere le epoche d’oro del rock, quando gli idoli erano nel fiore degli anni. Detto così sembra quasi un male, ma in realtà non lo è, perché in definitiva oggi ci facciamo andare bene tutto, magari ce ne fossero altre di band in grado, come i Rival Sons, di intraprendere la “lunga strada verso la cima” del rock’n’roll... Perché che loro siano più o meno autentici o costruiti non conterà nulla finchè continueranno a far battere il cuore di questo genere e movimento musicale infiammando le anime delle nuove generazioni.
(Nella foto: Jay Buchanan e Nicholas Matteucci)
Articolo del
12/04/2013 -
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