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Vi racconterò brevemente una lunga storia… C’era una volta il 1981: anno di nascita dei Metallica, Slayer, Sonic Youth e... del Rawa Blues Festival. Partorito nella Polonia della legge marziale internante qualsivoglia espressione indipendente, riuscì fin da subito a sfuggire all’imposizione di meri coprifuochi accendendo, al contrario, i riflettori su quella viva scena che sarebbe divenuta, a partire dal 1992, la protagonista indiscussa del festival blues al chiuso più grande al mondo. Numerose le celebrità esibitesi nel corso del tempo: dalla “Regina del Blues” Koko Taylor a Carey Bell, da Junior Wells al “Bruce Springsteen del Blues” Luther Allison, e non pensate che a distanza di anni il qualitativo indice dell’offerta musicale possa aver toccato punti bassi. La trentatreesima edizione, arricchita dal premio "Keeping the Blues Alive 2012" assegnato dalla non profit statunitense “Blues Foundation”, oltre a dare spazio agli emergenti ha pescato nella primordiale compagine urban blues afroamericana, ospitando nomi che di Grammy Awards ne sanno qualcosa: la cantautrice dal gospel ‘fitzgeraldiano’ Ruthie Foster, il trio infuso di classicismo louisiano e postmodernismo jazz Heritage Blues Orchestra e l’eleganza virtuosistica del plurivincitore del premio Keb’ Mo’. A ciò si aggiunga la maestria robusta, grezza, all’insegna dell’estro live più multiforme di James Blood Ulmer & Irek Dudek Duo (quest’ultimo è il fondatore e l’organizzatore del Rawa) nonché l’estasiante stravaganza compositiva di Otis Taylor Band. Eppure è ai californiani The Stone Foxes che il mio interesse si è rivolto, ora vi spiegherò come (mai)…
Sono cresciuta “a pane e Dżem”, padri indiscussi del Rawa, buon miscuglio di venature à la Jam (la pronuncia e il significato , non a caso, sono gli stessi), The Doors, Led Zeppelin e quel tocco di nuances care alla ‘chicaghiana’ musica stonata. Il loro leader, Ryszard Riedel, è morto mitologicamente per overdose nel 1994: niente più è stato come prima. Non li ho mai potuti vedere dal vivo, non ho avuto la possibilità di indossare la mia prima maglietta rock ad un live con la formazione originale. Ma il sogno di entrare al Rawa da giornalista è rimasto vivo: scoprire i suoi meccanismi più intimi, le interazioni tra band i fotoreporter e gli organizzatori dello stesso, insomma, indagarne il favoloso mondo dietro le quinte. Non starò qui a spiegare ogni particolare frutto dell’osservazione (probabilmente vi annoierei), fatto sta che non appena saputo della prima e l’unica tappa europea del quartetto di San Francisco, ho subito deciso di intervistare chi, alla pari dei Dżem, fin dagli esordi si è ispirato alla Chicago Blues scene scegliendo di gridarlo al mondo intero proprio sul palco del festival slesiano.
The Stone Foxes saranno i primi tra i big ad esibirsi. In un’ora e un quarto di “serio cazzeggio blues” da parte di chi campa principalmente di musica/radio/recording, due dettagli mi colpiscono sovente: la genetica intesa tra i fratelli Koehler, ovvero Shannon Koehler (Drums, Harp, Vocals) e Spence Koehler (Lead Guitar, Vocals), e l’assenza di rigide gerarchie interne. Si pensi che anche i restanti due membri, Elliott Peltzman (Keys, Vocals) e Zachary Ryan in temporanea sostituzione di Aaron Mort (Bass, Guitar, Vocals), saggiano sperimentazioni vocali in fedele linea con quella folle improvvisazione r’n’r che arieggerà nella sala di Spodek di Katowice per tutta la durata della manifestazione. Non solo ho la fortuna di godermi la performance tra piacevoli rimbombi delle casse audio, circondata dai migliori fotocronisti internazionali e non, ma la possibilità di confrontarmi con la band subito dopo la sua esibizione. Vi sarà svelato tutto nelle parole sottostanti. Anzi, saranno loro a svelarsi per noi. Prendetela non come un’intervista, bensì come piacevole chiacchierata tra amanti del buon blues con della fresca adrenalina post-show nel sangue. E segnatevi questo nome. Ne sentirete parlare.
The Stone Foxes: quando per la prima volta ho letto questo nome, ho subito pensato a uno speciale mix tra i Rolling Stones e i Fleet Foxes. Un buon infuso di classicismo e genere più moderno. Trattasi di puro gioco etimologico o la scelta è sinceramente indicativa delle vostre principali influenze? Spence: No, non è un gioco. E’ rappresentativo dell’influenza del classic rock (Rolling Stones, Led Zeppelin, Cream, Bob Dylan, The Band) nella musica che suoniamo. Certo, ci sono dei riferimenti non proprio musicali alla nostra infanzia ma soprattutto ai grandi nomi: pensa ad esempio a Hendrix e la sua Foxy Lady. Shannon: Stavamo cercando un sostantivo che suonasse “vecchio”. Non che volessimo riprodurre un sound vecchio: semplicemente siamo cresciuti con tutta la roba che ha elencato Spence e ci sembrava normale riferirvici. Veniamo da lì.
Avete sperimentato molto dagli esordi (2005 in veste di “college friends” suonanti in un garage) e finalmente trovato un primordiale stile roots-blues. Iniziate con cover dei classici anni 60’ (Muddy Waters, Slim Harpo, Willie Dixon) e mantenete questa influenza negli arrangiamenti anche dopo un’evoluzione all’insegna della modernità. Non a caso questa sera avete suonato “I’m a King Bee”.
Shannon: Sì. Direi che abbiamo iniziato a fare sul serio dal 2008. Prima suonavamo giusto per divertimento. Ovviamente fin dall’inizio ci dilettavamo in tradizionali cover blues (“Got my mojo working” ad esempio, ce l’hai presente?) e lo facciamo tutt’ora. Partiamo da lì e creiamo il nostro che ne risente: ad esempio “Spoonful” che abbiamo suonato prima. Spence: Quanto a “I’m a King Bee”, ci è stato chiesto di farne la cover per la pubblicità di Jack Daniel’s Tennesse Honey. Abbiamo lavorato sul demo all’incirca un mese facendo differenti versioni e finalmente trovato quella giusta.
Abbiamo parlato del passato. Cerchiamo di capire le vostre correnti simpatie musicali. Avete aperto per Cage the Elephant e i Black Keys a Phoenix. A prescindere da loro, potete suggerirci qualcosa di emergente e non, che vi ispira?
Shannon: I Dr. Dog sono veramente cool! C’è del garage sound in loro che del resto è molto diffuso a San Francisco. Anche i Wilco (a cui i Doctor si accostano) e i Thee Oh Sees. Vedi, ritorniamo a prima: tutte queste band possono dire “ok, abbiamo iniziato con i classici del blues, li abbiamo ascoltati e progredito verso qualcosa di nuovo, personale, trovando una propria strada per qualcosa di speciale”. Elliott: Cosa pensi possa ispirarci del "passato recente”?
Presumo Jack White non manchi nella lista…
Elliott: Sì! ndr: Parte un boato comune tale da seppellire la vibrante aria di un sax in prova nei camerini adiacenti…
C’è un grande salto qualitativo dal primo album “Stone Foxes” (presumo più autobiografico) al “Bears & Bulls” (apparentemente spassoso e bizzarro) e soprattutto all’ultimo “Small Fires”. Si passa dalle “garage sessions” a un lavoro di studio professionale. In particolare il secondo B&B rappresenta un terreno fertile per un graduale arrivo a temi più “seri” e ambiziosi: guerra, conflitti, pena di morte. In California quest’ultima non è stata ancora abolita e avete voluto ricordarlo stasera con “Mr. Hangman”, giusto?
Spence: Hai ragione. “Stone Foxes” non è altro che un insieme di canzoni che abbiamo registrato per divertimento. Per i nostri amici suonavano talmente bene da poterle inserire in un cd: abbiamo ascoltato il loro consiglio e iniziato a prendere le cose sul serio proprio da quel momento. E’ stata una vincita. Shannon: Anche nel primo album alcuni di questi temi vengono affrontati (“Beneath Mt. Sinai” è probabilmente la nostra prima canzone ‘politica’). Scriviamo tutti, ma questo tipo di canzoni sono generalmente farina del mio sacco. Ho sempre scritto di religione e politica, ma in un modo alquanto “diverso”. E’ veramente strano perché sul palco diamo un’impressione diversa, siamo dei veri animali: pensiamo solo a divertirci, avere una bottiglia di vino e…
Anche se qui non è permesso tenerle…
Shannon: E’ vero! E’ stranissimo! Viene visto come una sorta di pericolo! A parte tutto però, penso che ci siano posti fatti per divertirsi ma anche per dire qualcosa di reale. Non vogliamo essere “pretty” o altro, è solo un modo per parlare di cose per noi importanti.
Ritorno sul “Mr. Hangman” col quale avete chiuso. E’ stato incredibile: se qualcuno non ne conosce il testo, non può minimamente immaginare la portata politica che rappresenta, a giudicare dalla spontaneità del live. Questo gioco di leggerezza/seriosità è curioso.
Shannon: Non so te, ma quando mio padre mi faceva ascoltare Dylan da piccolo, non facevo altro che fermare tutti e chiedere in continuazione: “Secondo te, questo cosa significa”? Se uno è veramente interessato nel sentire le parole, può benissimo desumerne il significato.
Avete avuto modo di conoscere il direttore del Rawa Blues Festival, Ireneusz Dudek?
Elliott: Sì, è un grande! Shannon: E’ un pioniere dell’armonica! Mi ha detto: “Mi sto esercitando con lui!” (in riferimento a James Blood Ulmer). E’ un tipo veramente entusiasmante!
Dudek sottolinea sempre il carattere educativo del Festival che ha una funzione ben precisa: la propagazione del blues e la presa di coscienza del fatto che il rock ‘n’ roll è stato generato dallo stesso. Sembra che vi siete adattati più che bene al clima Rawa. Buon colpo.
Spence: E’ incredibile il lavoro che svolge importando band di un certo calibro. I gruppi che suoneranno dopo di noi sono espressione di un blues più tradizionale. Riesce bene a conciliare questo aspetto con sound più freschi (come i nostri). Elliott: Ciò che colpisce è la reinterpretazione di un genere creato tempo fa’. Non importa se lo esegui in modo migliore o peggiore, intendo dire, se si riproducono esattamente i sound originali o li si cambiano completamente. E’ tutta una questione di (buona) interpretazione.
Di impressioni parlando, cosa pensate del Festival? So che prima di esserne i protagonisti, non lo conoscevate.
Shannon: Siamo rimasti un po’ delusi per l’alcol! ndr: L’euforia generale viene interrotta da forti battiti alla porta: trattasi del loro traduttore ufficiale e una giovane giornalista. Ci fanno il cenno equivalente al final-countdown. Chiedo altri cinque minuti e i due ragazzi con estrema gentilezza acconsentono. Spence richiude la porta a chiave (non volevamo mica essere disturbati). Peccato i minuti si siano triplicati…
Parliamo del show e del pubblico: mi pare che gli spettatori di Spodek siano stati molto partecipativi.
Shannon: Sì! Sono stati estremamente attenti! Stavano veramente ascoltando con interesse. Battevano le mani in continuazione! Elliott: Non solo aspettavano prontissimamente un nostro cenno per iniziare a battere, ma prendevano iniziative da soli! Zachary: Spesso devi mobilitare le folle. Qui i ragazzi dicevano: “Ok, we are ready men, we wanna do this right now”! Shannon: In Mr. Hangman, di solito le persone sono ‘freddine’. Devo guidarli nei beats. Qui i ragazzi erano così pronti a battere il più velocemente possibile che a un certo punto ho perso il controllo e li ho lasciati fare! Non ci era mai capitato prima.
Pensate che sia un buon modo per iniziare a diffondere la vostra musica in Europa?
Elliott/ Spence/Zachary: Yeah! Hope so! Un modo perfetto!
State pensando ad un tour europeo?
Shannon: In realtà abbiamo già tentato di organizzarne uno prima del Rawa. Per questioni finanziarie legate allo spostamento della strumentazione, abbiamo perso la possibilità di realizzarlo.
Ho saputo che avete perso anche il vostro volo da Francoforte a Katowice. E’ vero?
ndr: Ennesima, ormai, risata collegiale… Spence: Chi te l’ha detto? Il presentatore che ci ha introdotti?
Sì, l’ha detto a tutti.
Elliott: Ma dai, cos’ha detto esattamente?
Semplicemente che vi siete addormentati nell’attesa di iniziare il boarding e che siete arrivati solo stamattina. Shannon: “ I wanna talk to him!”
Una domanda che volete io vi ponga.
ndr: “Uuuhhh”, “Wow”, “Eeehmm” di sorpresa
E ovviamente la risposta che mi darete.
Elliott: Ci dovresti chiedere se avessimo mai considerato fare del “bene” durante il tour?
Avete mai considerato fare del “bene” durante il tour?
Elliott/ Spence/ Zachary/ Shannon: Sì! Shannon: Abbiamo aderito ad un programma (SuperFoodDrive) volto a raccogliere cibo e distribuirlo per i bisognosi attraverso chioschi/banchetti alimentari attivi durante i nostri show. E’ un modo per sensibilizzare anche i nostri fan, farli collaborare con noi in prima persona. Ci rallegra che chiunque possa usufruirne. Elliott: Sono moltissime le campagne di questo genere a San Francisco e in California (anche per il gran numero dei senza tetto). Shannon: La situazione è simile a Varsavia o Cracovia?
Ebbene sì. In misura maggiore a Katowice. Cito le parole tratte da Mr. Hangman: “Aren’t you over the line?”
Elliott/ Spence/ Zachary/ Shannon: un po’ tutti! Shannon: Io ho rubato un libro su Spiderman…
Una curiosità finale: il significato di “Cotto”. Sapete che in Italia sta per qualcosa di cucinato, arrostito, fatto, anche bruciato? Shannon, sei veramente “cotto” da quei bambini nel video del singolo!
Elliott/ Spence/ Zachary/ Shannon: Veramente? Non lo sapevamo! Fantastico! E’ forte! Shannon: Sì, quei bambini sono stati incredibili!
Ora svelatemi il vero significato della vostra opening live track.
Shannon: “Cotto” è una canzone che parla di due pugili. Per esattezza Cotto è un boxer spagnolo in lotta contro un famosissimo pugile filippino. E’ talmente esausto da sfiorare quasi la morte. Sai, ci viene sempre detto di alzarci, non mollare, combattere fino all’ultimo. Qui il punto verte proprio sulla capacità di capire quando rimanere fermi, quando decidere di non alzarsi, anche se tale scelta può sembrare vergognosa agli occhi altrui.
Mi hai parlato di pugili e mi è subito venuta in mente la copertina del vostro ultimo lavoro “Small Fires”. Rivelateci qualche curiosità di questa cover originalissima. So che è piena di segreti…
Elliott: Tutti i personaggi raffigurati sono un riferimento ai testi di ciascuna canzone. Il pugile, ad esempio, rappresenta Cotto e così via.
In effetti ne vorrei una copia…
Elliott/ Spence/ Zachary/ Shannon: L’abbiamo vendute tutte! Te ne spediremo una autografata in Italia. Promise.
Grazie “San Franciscans”. Extra! Music Magazine vi aspetta in Italia.
SETLIST: Cotto Patience Ulysses Jones Spoonful Reno Passenger Train Stomp I’m a King Bee Psycho Jump in the Water Mr. Hangman
(La foto durante l'intervista di Mirela Marta Banach alla band è di @Magdalena Rejek).
Articolo del
15/10/2013 -
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