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«Fino a poco tempo prima di iniziare a pensare al disco ero ricoperto di sangue, guanti neri e coltelli in mano! Poi ad un certo punto la musica ha detto “Basta, vieni qua, torna da me”». Così, in maniera semplice e scherzosa Federico Zampaglione spiega il ritorno alle scene dei Tiromancino con l'album ”Indagine Di Un Sentimento”, dopo essersi dedicato negli ultimi anni a girare film dell'orrore. Un lavoro che nasce d'istinto, concepito proprio come uno dei suoi film, con un inizio, uno sviluppo centrale e un finale: un concept sui sentimenti in tutte le loro sfaccettature. Ce ne hanno parlato Federico e suo fratello Francesco, che ne ha curato la produzione.
Parliamo del titolo dell'album: “Indagine Su Un Sentimento”.
Federico: Si basa sull'idea di mettersi a nudo e capire chi sei e cosa vuoi. Oggi i nostri sentimenti sono a rischio, la frenesia della vita, le scadenze, gli obblighi, sono tutte cose che non ti lasciano il tempo per riflettere su ciò che hai dentro. Una piccola parte della giornata dovrebbe essere passata proprio ad indagare noi stessi e i nostri sentimenti. È un disco autobiografico, ho scritto i pezzi quasi di getto e poi li ho portati a Francesco che ha creato l'impianto sonoro, in essi è come se mi rivolgessi a me stesso, facendo luce su ciò che ho dentro: la mia relazione, la paternità, il ritiro dalla musica, tutto ciò che rientra nella sfera dei sentimenti. Credo sia il disco in cui mi sono messo più a nudo, rappresenta esattamente la mia vita in questo momento, è come se fosse il mio diario.
Il mood sentimentale delle canzoni ha condizionato anche la produzione strumentale?
Francesco: Sì abbiamo mantenuto un atteggiamento intimo anche nella parte musicale, a parte gli archi l'abbiamo suonato tutto io e Federico nel mio studio per conservare l'intimità del disco. È stato un album fatto istintivamente sia a livello di scrittura che di produzione, cercando di non usare troppi tecnicismi.
Siete stati lontano dalla musica parecchio. Come avete trovato il mondo dell'industria discografica?
Federico: È come un rientro in un mondo nuovo. C'è stato un periodo in cui tutti si lamentavano del fatto che il mercato discografico fosse cambiato, se la prendevano con internet, era diventato insostenibile approcciarsi al lavoro su un disco con questo piagnisteo. Allora mi sono immerso nella mia passione per il cinema. Io la vedo come il grossista di cavalli che piange perché qualcuno ha inventato le automobili: è il progresso, bisogna accettare la realtà ed andare avanti, senza essere pessimisti. Ci sono problemi più gravi, si può sopravvivere ad un mercato discografico meno florido.
Come nasce il brano Nessuna Razionalità, omaggio a Franco Califano?
Federico: Il maestro era morto da poco e la cosa mi aveva colpito molto, mi mancava la sua presenza. Era estate e avevo preso una casa sul Lago di Trevignano vicino Roma, c'era la tipica atmosfera sospesa dei laghi, né mare né montagna, un'atmosfera a metà che induce a pensieri malinconici. Avevo comprato un disco antologico di Califano che ascoltavo molto in quel periodo, un giorno mi sono seduto in riva al lago con la chitarra e la canzone è arrivata, me la sono ritrovata in mano all'improvviso. Poi l'ho registrata e riascoltandola ho sentito una suggestione particolare, ho notato che c'erano dei passaggi tipici degli anni '60 che non appartenevano propriamente alla mia scrittura, allora ho pensato che in qualche modo il maestro avesse intercettato la mia scintilla creativa e mi avesse voluto regalare o suggerire da un'altra dimensione degli accordi, degli spunti melodici.
Sanremo l'avete visto?
Federico: Io ho visto una serata e mezza perché ero in sala di montaggio per un lavoro legato al cinema. Onestamente mi è sembrato un po' lento, c'erano troppi intermezzi che disturbavano l'esibizione dei cantanti, pause molto lunghe, varietà, avrei preferito che il focus fosse di più sulle canzoni e gli interpreti. Per certi aspetti però l'ho trovato innovativo, c'erano dei bei pezzi: Sinigallia, Rocco Hunt, Zibba, De André, Perturbazione.
Ci torneresti?
Federico: Sanremo è sempre un terno al lotto, ci sono troppe variabili, troppe incognite. Forse lo preferisco guardare da casa. Ora c'è anche la storia dei due pezzi che è un ulteriore interrogativo, non è una cosa semplice da gestire. Poi c'è la questione tra musica e agonismo, sono due cose che dovrebbero restare separate, è una situazione che ti mette addosso una sensazione fastidiosa. Sarebbe sempre meglio evitarlo.
Federico, hai affermato che la tua voce è cambiata in questo disco.
Federico: Sì sono passati quasi quindici anni e la voce tende ad abbassarsi col tempo, se ci fate caso è successo anche ad Elton John o Sting ad esempio. Poi in questi anni ho cantato molto blues, cosa che ha facilitato il timbro che ho ora, infatti faccio quasi fatica a cantare certi pezzi dei Tiromancino in tonalità originale. Prima la mia voce non mi faceva impazzire, la trovavo troppo acuta, avevo difficoltà ad ascoltarmi, adesso invece sento di avere più di un registro e penso di essere migliorato.
E la cover di “I Never Knew Your Name” dei Madness, che hai riadattato in italiano in “Mai Saputo Il Tuo Nome” come nasce?
Federico: È nata da una folgorazione. Ero in macchina e ad un certo punto in radio sento questo brano in cui un pazzo racconta di aver incontrato una tipa che gli piace in un locale ma non ha il coraggio di chiederle il nome, poi escono dal locale e lei sparisce. Mi sono innamorato perdutamente della storia della canzone, di questo amore momentaneo. È un classico, l'ho trovata geniale. Allora ho accostato la macchina e col telefonino ho iniziato a scrivere l'adattamento del testo in italiano, Francesco rispetto all'originale gli ha dato un sound più notturno, metropolitano.
Articolo del
01/04/2014 -
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