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SEGUE DALLA PRIMA PARTE
Continuiamo il racconto del nuovo disco dei Piccoli Omicidi, la cui uscita è prevista a settembre per l’etichetta Still Fizzy Records, in attesa di sentirli dal vivo a Roma e in tutta Italia. Ci eravamo lasciati parlando della costruzione del disco, e dell’esperienza fatta in questa produzione artistica con Michele Pazzaglia presso lo Studio Jork (Slovenia).
Testi e musiche sono scritti solo da te o c’è un contributo da parte del gruppo? (che in questo momento mentre noi parliamo è molto silenzioso, ma io so che hanno molto da dire…) (Pier) Questo lavoro l’abbiamo scritto a quattro mani e tra l’altro in uno spazio temporale molto ristretto, fondamentalmente in una settimana. Ci siamo messi a tavolino io e il maestro Martinelli che è qui con noi, a pensare e a realizzare proprio il colore che volevamo dare alle stanze di questo albergo,. E quello è stato il lavoro fondamentale perché abbiamo definito il mondo attorno al quale giravano le situazioni e i momenti di tutto quanto il progetto. E’ ovvio che successivamente nel momento in cui si doveva definire la costruzione di tutte le canzoni ci siamo messi tutti e quattro insieme, alla vecchia maniera, a fare le prove per farne un disco. Allora ai due signori della sezione ritmica chiederei qual è stato il loro contributo alla costruzione del disco e se ci sono state delle differenze tra questo lavoro e il precedente in termini di stile, di ritmiche, o se c’è stato un filo logico che vi siete portati dal disco di tre anni fa.
(Enrico) Per quanto mi riguarda, io non ho preso parte nel disco precedente per cui posso parlarti di questo. Per quanto riguarda l’apporto dato, quando un disco viene scritto in questa maniera quello che un musicista deve fare secondo me è mettere a disposizione quello che sa fare tecnicamente e anche a livello emotivo, prima di tutto in una fase di ascolto per cercare di capire quello che chi ha scritto il pezzo vuole tirare fuori dal brano, dopodiché cercare di metterlo in pratica. Non ci metti sempre tutto quello che sai o che vuoi fare, è tutto volto a dare una funzionalità al brano. In realtà è una cosa che si fa insieme. In questa fase, che non sono solo prove tecniche, si prova a tirarlo fuori come si è capito che dovrebbe essere. Quindi anche le ritmiche che sono la base, bene o male si decidono durante le prove. L’apporto più che altro è riuscire a mettersi in ascolto e capire quello che deve essere percepito dal brano o addirittura dell’album intero, perché le reazioni possono essere diverse e magari alla fine c’è un legame, e metterci dentro quello che si sa fare in questa direzione.
(Roberto) Aldilà delle parti ritmiche, quello che diceva Enrico mi trova completamente d’accordo. La cosa importante è costruire il colore che deve avere ogni singolo pezzo, questo è fondamentale. Basso e batteria creano questo incastro di Groove che da una prima base, un fondo a qualsiasi tipo di quadro. Io penso che questo disco, anche per com’è stato pensato all’inizio in scrittura, quel minimo di pre-produzione che abbiamo fatto, e la produzione qui, sia un disco molto più live, che rappresenti molto di più come siamo noi quattro insieme in questo momento. Il disco vecchio è molto più pensato secondo me, più cerebrale, con una forte connotazione. Questo è un disco più diretto, a modo suo più semplice, dove semplice non equivale a scarso. Semplice con meno fronzoli, più suonato live. Anche il fatto di come l’abbiamo registrato praticamente in presa diretta tutti e quattro insieme, con qualche sovra incisione successiva, secondo me è proprio il senso che volevamo dargli, come situazione e come impatto. Questo è in breve quello che è successo e quello che ascolterete prestissimo. Chiedo a Giulio se vuole aggiungere anche lui qualcosa…
(Giulio) Loro hanno già detto tutto. La cosa bella è che parlandone con Michele che ci sta aiutando sia da un punto di vista di produzione che da un punto di vista di suoni, c’è questa tendenza a ritornare indietro a fare dischi tutti live dentro la sala, perché si crea quel momento, quella situazione proprio di band, e noi stiamo andando in questa direzione. La cosa bella di fare le cose così è che c’è un approccio più diretto e il rovescio della medaglia è che magari torni di là in sala e magari ti accorgi che ci sono cose che non funzionano bene come tu pensavi, e la cosa ancora più bella è che, per riprendere il discorso di fare le cose alla vecchia maniera, tante cose sono nate qua. Magari le avevamo pensate in maniera diversa oppure dicendo “boh, vediamo quando lo suoniamo cosa esce fuori”. Quindi lavorare tutti insieme per creare direttamente in studio determinate situazioni nuove, farsi venire delle idee, è una cosa bella. Ci vorrebbe un mese a stare qua…
(Roberto) Tra l’altro abbiamo abitato questi quattro/cinque giorni qui in Slovenia direttamente sopra lo studio di registrazione e inevitabilmente si crea una complicità ancora più forte tra le persone che è vitale per andare di la in sala per suonare, REC e PLAY e si registra. La situazione ideale.
(Giulio) Invece per quanto riguarda il disco precedente, avevamo fatto una presa diretta di batteria e basso e poi diciamo che pur avendo sia da un punto di vista artistico che sonoro le idee abbastanza chiare, Pier e Paolo (Benvegnù) ci hanno lavorato molto sopra, ci hanno costruito molto sopra; e quindi non è più bello o più brutto, è semplicemente un modo di lavorare e ovviamente chiaro che anche il risultato è meno elaborato, che non significa come diceva Roberto easy o semplice nel senso brutto del termine ma più diretto, ricordando che la semplicità non è sempre sinonimo di stupidità, anzi. A volte è più difficile fare le cose semplici ma d’effetto, fatte bene, piuttosto che farsi prendere la mano da milioni di arzigogoli o cose che sono belle però molto fini a loro stesse. Visto che ne abbiamo la possibilità, perché mentre noi stiamo chiacchierando, lui è rimasto qui a lavorare sui pezzi, chiedo anche a Michele Pazzaglia un suo intervento sul disco dei Piccoli Omicidi.
(Michele) Avevo già lavorato al precedente disco dei Piccoli ed ho accettato ben volentieri di lavorare a questo secondo disco. Loro sono un gruppo di persone che fanno bene alla musica, hanno una grandissima passione. Questo secondo lavoro è molto più scarno e diretto rispetto al precedente, proprio per questo gli ho proposto di registrare l'ossatura del disco suonando in diretta tutti insieme allo studio Jork in Slovenia. Completeremo il lavoro a breve presso la Jam Recordings, il mio studio, e spero di riuscire a finire il disco molto presto perché credo sia veramente un bel disco e che varrà veramente la pena di ascoltarlo.
Pier, hai già citato la presenza di “Povera Patria”, un tributo a Battiato, come anche accaduto nel precedente disco dove avevate inserito la canzone “Vedrai Vedrai” di Tenco, altro grande della musica italiana. Come si inserisce "Povera Patria" nei mondi descritti e raccontati in questo disco?
(Pier) Ma, sinceramente sono di quelle canzoni che avrei voluto scrivere io! In realtà è invidia che ti fa fare certe cose
(MG) L’avevamo detto anche per la canzone di Tenco qualche anno fa, o no?
(Pier) Assolutamente. Ma è sempre il solito discorso, è bello confrontarsi con altri autori ed entrare un pochino nelle loro parole, nella loro musica e anche affrontarli da un certo punto di vista perché sono sempre canzoni (con la C maiuscola) e scelte molto rischiose perché si affrontano dei bei monumenti. Però è interessante aldilà di vedere con i tuo occhi e capire con la tua testa questi mondi che non sono tuoi, sono di un’altra persona, però affrontarli in maniera personale, la vedo come un confronto creativo, fare queste scelte, affrontare queste canzoni, questo autori che hanno fatto la storia della musica italiana.
Abbiamo detto all’inizio che si tratta di un disco autoprodotto e in questa era di tecnologia e internet, a differenza di prima dove la radio giocava un ruolo importante per stimolare la curiosità su una canzone o un disco, la vendita di un disco inizia ancor prima che viene pubblicato tramite la sua promozione, e soprattutto ormai è quasi obbligatorio “catalogare” un disco, definire che “genere” sia, dargli un “tag” per usare un termine tecnico da social. Sul vostro primo disco si parlava di “Rock in camicia bianca”, ora dato che è evidente che nessuno di voi ora indossa una camicia bianca, questa definizione è ancora valida oppure no? O come dicono i localari quando gli porti un demo “che genere fate?”. Come vorreste che fosse seriamente definita la vostra musica?
(Pier) E’ sempre molto difficile rispondere a questo tipo di domanda. In realtà basterebbe ascoltare quello che facciamo, che si tratti del primo disco o di questo. E’ ben difficile collocare un disco fatto di canzoni: noi la prima cosa che abbiamo sempre fatto e che ci piace fare è scrivere canzoni , è questa la cosa che ci piace di più fare. E parlo di canzoni nel senso più completo del termine, cioè avere una chitarra, una voce, suonare e cantare. Poi su queste canzoni ci creiamo un mondo intorno ma non stiamo parlando di rock’n’roll – punk – soul – jazz – blues. Ci piace pensare che ogni canzone abbia una propria collocazione che è quella giusta, fregandocene altamente di quello che può essere una catalogazione di un genere musicale sinceramente, pensiamo di più a scrivere delle cose belle e che riteniamo interessanti.
Per chiudere anche in maniera goliardica se si può, siete liberi di dire quello che volete. Voi nel 2005, per caso, avete aperto il concerto di Ligabue a Campo Volo. Per ipotesi, nel 2015 chi potrebbe aprire un concerto dei PICCOLI OMICIDI, magari a Campo Volo?
(Pier) Mah, sono in molti in realtà che ci han chiesto questa cosa, adesso dovremmo valutare attentamente. Purtroppo Luciano su questa cosa qua si è anche un po’ imposto… quindi può anche darsi che… sai, ha questo modo di fare e quello che vuole lo ottiene in genere, faremo fatica a dirgli di no, però… sai, adesso i tempi forse sono poco maturi per fare delle previsioni
(Roberto) …però non so se ha l’impianto, eh… senza impianto io non so se lo faccio…
(Pier) …sì, in effetti… se porta il suo impianto io non ho problemi, però… sono cose sempre un po’ complicate da organizzare… è una cosa che cercheremo di fare, avremo anche tempo…
(Giulio – imitando voce e accento di Ligabue) …e poi GerGHeremo di valutare i ZSuoni, BerGHè alla fine Guello GHe Gonta è il ZSuono… (Roberto – guardando Giulio) ci ha messo un po’ lui a trovarlo lui.
Allora salutiamo così i PICCOLI OMICIDI: Enrico Bertani (batteria), Piergiorgio Bonezzi (chitarra e voce), Roberto Panisi (basso), Giulio Martinelli (chitarra), che tra loro si chiamano “maestri” e in effetti un pochino lo sono ma chissà in cosa…. (rispondono Roberto e Giulio insieme) Ognuno ha la sua specializzazione!
L’invito è di sentirli presto live ed acquistare ed ascoltare il loro disco che sarà in uscita a settembre, del quale però non vogliono svelare ancora il titolo, vero?
(Pier) Sì, lasciamo ancora un po’ di mistero. Tanto il titolo non avrà nulla a che fare col disco, come è giusto che sia. Cerchiamo così di confondere il più possibile la gente, che è una cosa che ci riesce benissimo del resto… (ridono)
(Foto concessa gentilmente da Enrico Maria Bertani)
Articolo del
09/05/2014 -
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