Il 22 Maggio è uscito il disco “Confusional Quartet play Demetrio Stratos” arrangiato dal quartetto di Bologna sulla voce inedita del cantante degli Area, recuperata da nastri risalenti al 1979; per saperne di più ho incontrato i componenti del gruppo: Marco Bertoni (tastierista), Enrico Serotti (chitarrista), Lucio Ardito (bassista) e Claudio Trotta (batterista).
Come avete trovato i nastri con incisa la voce di Demetrio Stratos?
Enrico: E’ un nastro revox registrato molto bene da Gianni Gitti alla “Seconda settimana internazionale della performance” una manifestazione artistica che si teneva a Bologna. All’epoca, intorno al 1979, il periodo in cui Stratos andava in giro a fare concerti per sola voce, Gitti lavorava per lui come fonico; quando Demetrio, nonostante venisse da un ambiente professionale dal punto di vista musicale, incontrò Gianni Gitti che era, da un punto di vista tecnico veramente impeccabile; aveva microfoni eccezionali, capsule che aveva solo lui in Italia, aveva il dolby A che per il periodo di allora era il non plus ultra per avere meno rumori; Stratos quando lavorava voleva sempre lui perché gli si apriva un mondo con queste tecnologie sofisticate che per la sua voce era perfetta. Gianni registrò diverse cose di Demetrio, anche delle improvvisazioni libere e naturalmente, la performance. Noi Gianni lo conosciamo perché è stato il produttore del nostro primo disco e praticamente lo sapevamo da tempo che aveva questi nastri, però non c’era mai stata l’occasione per proporgli un lavoro su di loro; poi dopo che ci siamo riformati abbiamo pensato che poteva essere il momento.
Marco: Gianni ha una specie di archivio tipo la caverna di Ali Babà; veramente migliaia e migliaia di cose; nel corso della sua lunghissima carriera ha archiviato tutto quello su cui ha lavorato. La notizia di questi nastri era già da parecchio tempo che girava nell’aria e così meditavamo già da molto di provare a farci qualcosa, però sentivamo che era una cosa importante da non prendere sotto gamba; il nostro stile è proprio quello di pendere le cose sotto gamba, suonare di tutto e sentirsi liberi, e quindi non sapevamo bene come affrontare la cosa; quindi da un punto di vista tecnologico abbiamo dovuto affrontare la produzione in modo diverso dal solito e anche da un punto di vista … come si può dire … per quasi un anno è stato più un percorso umano che musicale perché ha significato andare ad incontrare parecchie volte la moglie di Demetrio e ovviamente parlare con Gianni Gitti. Nel frattempo abbiamo cambiato batterista, è andato via il batterista storico Gianni Cuoghi ed è arrivato Claudio Trotta per cui anche questa è stata una cosa che abbiamo dovuto assorbire all’interno di questo progetto. Da un certo punto di vista l’arrivo di Claudio è stato determinante per il disco; dopo aver digerito questa cosa siamo arrivati in studio assolutamente leggeri e liberi da ogni timore reverenziale. Praticamente abbiamo scritto e suonato un pezzo al giorno. Dal punto di vista compositivo è stato molto veloce; da un punto di vista umano è stato un processo più cauto.
E quando avete ascoltato i nastri per la prima volta che emozione avete provato?
Marco: Ma sai, il repertorio di Stratos lo conoscevamo già; la cosa che ci ha molto colpito è che dai nastri si capisce che è veramente all’apice, al top del suo lavoro con la voce.
Enrico: La cosa che mi ha colpito molto è la qualità tecnica delle registrazioni. Non ho mai sentito dei lavori di Demetrio di pari livello, nemmeno quelli pubblicati o rimasterizzati; le armoniche, la qualità della voce è ottima; il materiale di partenza era il massimo che potessimo desiderare.
Alcune cose quindi sono improvvisate e inedite, altre invece …
Marco: Una è una cover: “Cometa rossa”; in questa serata ha eseguito anche la parte per voce di “Cometa rossa” degli Area non con il testo del disco originale, e noi abbiamo usato questa cosa per suonare la nostra versione di “Cometa rossa”; abbiamo anche ottenuto un parlato che è diventato un pezzo inedito che si intitola “Manifesto” sul quale abbiamo suonato. Ad un certo punto Stratos parla alla gente e ci è piaciuto enormemente perchè dice delle cose molto significative della cultura di quel momento. Ad un certo punto si ferma e dopo questa sperimentazione vocale dice: ”qualcuno è interessato a quello che dico, volete che spieghi? Io preferire di no, perché vorrei lasciarvi libertà di sentire in sostanza quello che vi pare”.
Claudio: Che in poche parole è la sintesi artistica di quel periodo. Però se guardi a livello politico e sociale nel ‘79 si ferma un movimento; infatti nel concerto del ‘79 ci sono delle parole profetiche di Pagani che dice che la forza propulsiva era finita e tutto si era piallato sull’edonismo culturale.
Ed è per questo motivo che alla fine degli anni ’70 vi siete fermati per riprendere nel 2011? Spiegatemi i due eventi.
Marco: Come abbiamo smesso è un po’ lungo da raccontare, è stato un momento molto particolare; si era fermata l’onda propulsiva che ci aveva fatto nascere; il progetto è rimasto nella storia del rock italiano; abbiamo scritto qualche pagina di storia che è rimasta; poi negli anni ‘80 quest’onda si è spenta, si è smorzato tutto; e un progetto come il nostro difficilmente poteva continuare, magari adeguandosi a qualche mercato; purtroppo il nostro era un tasso artistico troppo alto. Ci siamo riformati per caso: dopo credo 35 anni che non ci eravamo visti è uscita un’antologia curata da Alessio Rubini che è uno dei primi produttori del nostro progetto, allora ci siamo trovati ad ascoltare queste cose e ci siamo divertiti tantissimo; così ci siamo chiesti: “perché non ci troviamo a suonare; solo suonare, solo per noi quattro”. Ed è stata una cosa molto forte, molto bella ed emozionante. Abbiamo suonato per tre ore senza dirci una parola e abbiamo visto che quello che facevamo 30 anni prima era ancora dentro di noi, come modi di pensare ai pezzi, agli stacchi, improvvisare, e poi abbiamo continuato.
Apro una piccola parentesi: qualche mese fa è morto Roberto Freak Antoni un personaggio molto importante per Bologna. So che lo conoscevate; parlatemi un po’ di lui.
Marco: All’epoca dei gruppi di Bologna Rock c’erano tantissime band e la più importante furono gli Skiantos, band che diede inizio all’onda del nuovo rock italiano e inventarono il rock demenziale.
Lucio: Abbiamo suonato molto con gli Skiantos anche se il nostro primo impatto tra noi e loro, non con Roberto ma con gli Skiantos, è stato uno scontro perché non volevano che suonassimo; con Roberto invece c’è stato sempre un rapporto cordiale. Skiantos e Gaznevada erano durissimi e non volevano che noi suonassimo perché non eravamo abbastanza Rock. Secondo loro.
Enrico: Roberto ci ha sempre supportati ma diceva che eravamo un po’ difficili un po’ ostici e che la nostra strada era un po’ in salita, ma lo sapevamo anche noi.
Marco: All’epoca ci chiamavamo Confusional Jazz Rock Quartet e questo “Jazz” non andava molto giù a quelli che si sentivano “Rock” e basta. Ma noi suonavamo tantissimi generi, un pezzo diverso dall’altro e alla fine siamo saliti sul palco del Bologna Rock e abbiamo devastato; i commenti alla fine della serata furono che il nostro attacco è stato il più punk della serata. Quando è uscito il primo disco, Oderso ci consigliò di togliere “Jazz” e “Rock” ed è rimasto solo “Confusional Quartet”. Incontrammo anche Johnson Righeira: lui venne a Bologna per suonare il suo genere anni ’60 e il suo primo demo lo suonò insieme a noi; suonammo i suoi pezzettini anni ’60 e forse c’era già una bozza di “L’Estate sta finendo”. Abbiamo suonato molto anche con i Gaznevada.
Tornando al CD, come è stato il vostro approccio?
Lucio: L’approccio è stato prima di tutto molto rispettoso di quello che stavamo ascoltando perché era una cosa importante e poi perché … come dire … abbiamo cercato di integrarci con la sua voce senza che fosse lui il nostro cantante ne che fossimo noi la sua band; nello stesso tempo cercando di non fare delle cose troppo difficili da capire, come quelle di tanti anni prima; però nemmeno cose troppo commerciali nel senso negativo del termine, ma più fruibili; puoi ascoltare un pezzo dove c’è Stratos che canta o parla e noi che suoniamo. Basta.
Enrico: Stratos fa questi vocalizzi con queste timbriche molto particolari e una persona che non conosce la sua voce può pensare a dei sintetizzatori, a degli effetti, ma … è solo lui. Infatti il disco si chiama “Confusional Quartet play Stratos” perché abbiamo usato solo la sua voce.
Marco: Sicuramente si è formato molto interesse intorno al disco; i pezzi sono firmati dai Confusional Quartet “E” da Demetrio. Sono pezzi inediti firmati anche da Demetrio Stratos; è una cosa molto delicata e molto importante; una cosa molto bella che ha detto Paolo Tofani, il chitarrista degli Area, è stata “probabilmente se Demetrio fosse vivo gli piacerebbe”; anche perché non tenta di ammiccare alla musica colta, seria, concettuale; non è nemmeno il tentativo di rifare gli Area; e questa cosa ci ha fatto molto piacere.
Enrico: Io poi che l’ho sempre ammirato e che è sempre stato un punto di riferimento, sono molto contento di quello che ha detto. Per me l’avventura di questo disco potrebbe anche finire con le sue parole.
Questa domanda l’ho già fatta ad altri gruppi che compongono musica strumentale: come si da il titolo ad un brano privo di parole?
Lucio: Nel nostro caso, ad un certo punto della lavorazione, Enrico in particolar modo tira fuori dieci titoli che potrebbero essere qualsiasi cosa e abbiniamo i titoli alle musiche.
Enrico: Si va un po’ per assonanze; si dice “Facciamo quello in sei ottave o quello che inizia punk” poi piano piano ti salta in testa qualche parola per qualche suggestione che ti da il pezzo e si battezzano.
Lucio: Ti svelo un aneddoto: la maggior parte dei pezzi dal vivo, li chiamiamo come li chiamavamo prima, per esempio “facciamo quello punk” perché a volta si fa fatica a chiamarli col titolo giusto. Ma poi chi se ne frega, il titolo alla fine è una convenzione.
Claudio: Io è da poco che sono nel gruppo. Conoscevo già il vecchio materiale dei Confusional Quartet e sono stato chiamato per sostituire il batterista storico; la cosa interessante è che mi hanno detto “vieni a registrate la batteria del disco con Stratos” che adoro come loro; ammetto che solitamente non suono questo tipo di musica ma la prima volta che ho ascoltato le basi, loro mi hanno detto “reagisci a quello che senti”; quello che sentivo all’inizio era un disco ambient; mentre provavo li guardavo e mi sono piaciute le loro facce; me li hanno fatti sentire tutti e dopo abbiamo iniziato a costruire le batterie e io reagivo alle loro facce. Mi sono lavato la mente e mi sono buttato nel progetto, cercando di capire come avevano lavorato loro; abbiamo buttato giù il grezzo reagendo in modo emozionale. La cosa interessante è che il lavoro che loro hanno fatto sulla voce di Stratos non solo è rispettoso ma molto emozionale. È per questo che è un disco interessante; mentre io provavo mi sentivo in sintonia con quello che loro avevano creato e soprattutto con il pathos di Demetrio. C’era un onda che sentivo e a cui reagivo; spero anche di vederla nel pubblico questa emozione che è stata la mia reazione. La cosa buffa è che è un disco molto suonato ma è un disco fluttuante; ha una vibra particolare; e c’è Demetrio. C’è tanto Demetrio. Si sente soprattutto ascoltandolo più volte che c’è molto Demetrio. Alla fine uscirà Demetrio e sempre meno la musica. Ed è per questo che è un disco spirituale.
Articolo del
30/05/2014 -
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